capitolo 1_R

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I'd be a rat in a cage, I'd be a slave to this place

You don't know how hard I fought to survive

Waking up alone when I was left to die- IN THIS MOMENT



Mi riprendo dal flashback quando sento le macchine dietro di me strombazzare con il clacson. Ancora quelle maledette immagini e quelle stramaledette parole.

Dio, devo farla finita di perdermi nei miei pensieri, soprattutto quando sono in macchina. Soprattutto ferma al semaforo.

Meglio ingranare la prima e partire il più velocemente possibile, chi ha voglia di sentire un branco di automobilisti incazzati? Io no di certo. La mia M4 Coupé non se lo fa ripetere due volte e lascia una fila di puntini piccoli piccoli alle sue spalle.

È più forte di me, ogni volta che vedo qualcosa che mi ricorda lui, la mia mente prende la tangente e inizia a ricordare eventi passati che credevo perduti, ma che in realtà sono indelebili nella mia mente. Il semaforo rosso, l'attesa, l'eccitazione di fare una partenza come se fossi in gara, mi riportano inevitabilmente a lui, quando da piccola mi portava a fare un giro e cercavamo quanti più semafori possibili, in modo da inscenare delle pseudo gare con chiunque incontrassimo.

Ma ahimè, quei tempi sono andati e ora mi resta solo una BMW M4 bianca, un fondo finanziario a cui non posso accedere perché quella stronza mi ha bloccato l'accesso e una macchina distrutta sotto sequestro. Come se non fosse abbastanza, sono stata costretta a fare le valigie e andarmene dalla mia città perché nella mia breve ma intensa vita ho preso una serie di decisioni di merda che mi hanno portato a questo atto estremo. Sono una fuggitiva, il bersaglio di un gioco macabro che ho deciso di intraprendere. Devo nascondermi e sperare che lui non mi trovi mai.

Alzo il volume della radio, nelle casse rimbomba Take a look around dei Limp Bizkit e provo a combattere la vocina nella mia testa che mi sussurra di premere a fondo il piede nell'acceleratore e uscire di strada, schiantarmi sul guardrail e porre fine alla mia vita. Sarebbe tutto così facile. Non soffrirei più, raggiungerei la pace eterna. Ma forse sono troppo codarda per farlo. E un po' sento di meritare questa punizione.




Dopo tre ore imbottigliata nel traffico vedere il cartello di Manhattan Beach mi fa tirare un sospiro di sollievo. Non mi sembra vero, dopo sei ore di viaggio estenuanti da Modesto sono finalmente arrivata in quella che posso considerare casa.

Perché qui abita una persona che, anche se non è una mia consanguinea, posso considerare una parente più di quelli veri. Lei c'è sempre stata per me, sin da quando sono nata e penso che 'zia' sia il nome più giusto da affibbiarle.

Svolto in 1st St e noto come tutto sia rimasto uguale dall'ultima volta che sono stata qui: le stesse villette bianche, i giardini curati con l'erba sempre tagliata, i bambini dei Jackson riconoscibili dai loro capelli rossi e le palme ai lati della strada.

Arrivo al numero 1726 e nell'esatto momento in cui accosto una chioma bionda corre fuori dalla porta, rischiando di scivolare dagli scalini della sua piccola ma accogliente villetta bianca.

Faccio appena in tempo a scendere dalla macchina che subito zia Leslie mi stritola tra le sue esili braccia. Inspiro il suo profumo di mango e coriandolo e lo imprimo per bene dentro di me. Siamo entrambe bassine, ma la vincitrice indiscussa resto io. Mi ha sempre rinfacciato la sua spanna abbondante. Quarant'anni compiuti da poco, di una bellezza disarmante con i suoi capelli biondo cenere, Leslie Krüger è un concentrato di pazzia, con la sua allegria contagiosa e il sorriso smagliante riuscirebbe a portare il buonumore persino al Grinch. Da piccola ero convinta che fosse una supereroina in incognito, capace di sconfiggere il male con la sua gioia e la sua forza d'animo, ora lo posso confermare. Mi hai salvato la vita zia Leslie.

"Tesoro finalmente sei arrivata! Ti aspettavo più di un'ora fa ma che fine hai fatto?" Chiede allontanandosi leggermente per guardarmi negli occhi, lucidi per l'emozione di rivederla dopo quasi quattro anni. Noto, però, una vena di rimprovero nelle sue pupille. "Pensavo fosse successo qualcosa, mi sono preoccupata."

La rassicuro con un buffetto sulla testa. "Traffico zia Leslie, la più grande piaga dell'umanità dopo il cambio automatico. E poi ammetto che ho saltato qualche uscita e mi sono persa nonostante il navigatore."

Al sentire le mie parole scoppia in una fragorosa risata. "Sei sempre la solita Riley, non cambierai mai." Commenta rassegnata. Ci apprestiamo a svuotare la macchina dalle quattro valigie che avevo faticato a chiudere e dai due borsoni colmi di cose. E di tanti ricordi.

"Mannaggia la miseria Riley, ma quante cose ti sei portata? Se sono tutti così pesanti mi verrà di sicuro mal di schiena." Si lamenta. "A saperlo ti avrei dato la mia carta di credito per ricomprare tutto."

Seguono due imprecazioni che farebbero invidia a uno scaricatore di porto e trattengo a stento una risata. Non sei cambiata affatto zia Leslie.

Do un'occhiata in giro e la mia testa, come se fossi al cinema e stessi vedendo una pellicola, ripropone tutta una serie di ricordi sulle mie vacanze estive e non che tenevo gelosamente custoditi. Quante volte ho provato ad arrampicarmi sulla palma nel mezzo del giardino davanti all'entrata e puntualmente ruzzolavo a terra? Troppe, ormai ho perso il conto. Magari se ci provassi ora riuscirei. Ha dell'incredibile ma mi sembra ancora di sentire i rimproveri di mamma direttamente dalla cucina. Era arrivata al punto in cui quando sentiva un tonfo non si scomponeva più.

Chissà se la zia ha ancora la piccola piscina gonfiabile, blu come il mare e con gli animali acquatici disegnati. È stato il suo regalo per il mio ottavo compleanno. Quell'estate ho passato due settimane qui con lei e se le sono venuti i capelli bianchi è da quante ne ho combinate. Ero un piccolo terremoto con una grande propensione per le cose pericolose. Ammetto che l'idea di mettere lo scivolo dentro la piscina è stata geniale, un po' meno quella di buttarmici a capofitto senza aver messo sufficiente acqua. Ho rimediato un bel bernoccolo in testa e qualche escoriazione.

Drizzo le orecchie e mi volto verso il marciapiede, attratta dal rumore. Un bambino piccolo, avrà si e no due anni, gesticola e fa i suoi discorsi sconclusionati dal suo passeggino mentre la mamma lo spinge. Sorrido. Quante scorribande ho fatto in 1st St con la mia piccola bici, rossa come la macchina di papà.

Il cuore, dopo tanto tempo, si riempie di gioia e darei veramente tutto pur di tornare indietro a quei bei tempi felici. A essere quella bambina dolce e spensierata, senza tutti questi problemi che mi tormentano giorno e notte.

La zia deve aver fatto il mio stesso pensiero, ha gli occhi lucidi mentre mi guarda con affetto. "Sei al sicuro qui, non ti preoccupare."

Percorriamo il vialetto che ci separa dalla porta di casa con le valigie appresso e, prima di salire i tre scalini con i quali so già che avrò un brutto rapporto, mi dice: "Bentornata a casa, piccola Riley." Sorrido a questo vecchio nomignolo. Devo solo nascondermi e sperare che lui non mi trovi mai. Come se fosse facile.

Devil's Sweetie (ex As yet Untitled)Onde histórias criam vida. Descubra agora