Capitolo 3

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«Sono fiero di voi ragazzi, ci vediamo il prossimo mercoledì. Mi raccomando, non assentatevi!»
Avevo pensato di partecipare a un raduno di altre persone che, come me, avevano perso delle parti del corpo e faticavano ad accettarsi e a tornare ad una pseudo quotidianità. Speravo mi facesse bene cercare di aprirmi con qualcuno che un po' poteva capirmi, e ascoltare storie di sconosciuti che sera dopo sera divenivano persone con le quali scambiare qualche parola. Ci radunavamo in una saletta vuota vicino ad una tabaccheria; era uno spazio che nessuno voleva comprare e il proprietario del negozio accanto era il fratello di Frank, l'organizzatore degli incontri. Si svolgevano dopo cena, verso le nove, e continuavano per un'oretta e mezza, totale libertà o meno di parteciparvi.
All'inizio pensavo di voler mollare, era qualcosa che mi spogliava della corazza che usavo indossare, e pensavo di non riuscirci, di non essere la persona coraggiosa in grado di poter condividere con estranei l'incubo che avevo vissuto e che stavo vivendo. Piano piano poi mi sono sciolta, le parole degli altri mi hanno rimodellata e ho cominciato a pensare che forse non sarebbe stato così male cercare di dire qualcosa.
Ancora però faticavo.
«Camille... posso parlarti un attimo?» mi richiamò Frank, mentre ciascuno stava riposizionando le sedie al loro posto.
«Certo.» mi avvicinai.
«Sono davvero felice. Grazie per aver condiviso con noi questo tuo passo in avanti... sai che significa molto quello che hai fatto?»
Avevo parlato al gruppo del mio tatuaggio e molti ne erano rimasti entusiasti.
«Lo spero, Frank.»
Era un uomo che aveva vissuto. Aveva passato tanti anni in Afghanistan ed era riuscito a superare molti ostacoli, una volta che era tornato a casa per l'incidente che gli aveva portato via braccio e gamba sinistra. Era addirittura riuscito a creare un gruppo che si sostenesse a vicenda basando tutto sul dolore e sulla voglia di ricominciare.
Avevo molta stima di lui, e provavo invidia per la forza di volontà che lo aveva fatto rialzare.
«A piccoli passi, Camille. Non temere, ritornerai ad essere quella di prima.» mi scrollò leggermente la spalla per poi sorridermi. Rimasi immobile qualche istante fissando la parete grigia di quella stanza che poi non era così triste quanto poteva apparire. Mi si inumidirono gli occhi e un piccolo sorriso incurvò gli angoli delle labbra. Mi sembrava così lontana l'accettazione di sé e la speranza di poter tornare al prima... ma notai che ce la stavo mettendo quasi tutta, la scorgevo un briciolo di quella volontà che aveva animato Frank. Abbassai il volto e sbattei più volte le palpebre. È quello che voglio.
Sospirai pesantemente per poi avviarmi verso l'uscita.
«Camille!» qualcuno mi richiamò, prima che cominciai a camminare lungo il marciapiede, e mi voltai ancora soprappensiero.
Fionn mi raggiunse sorridente, appoggiandosi alla stampella perché faceva ancora fatica a camminare con il tutore.
«Oh, ehi.» le sorrisi.
Aveva degli occhi quasi neri e la pelle olivastra. Quei riccioli ribelli le davano un tocco ancora più esotico e allegro. Mi chiesi sempre perché venisse agli incontri se riusciva a sorridere ogni qual volta che incrociavo il suo sguardo. Però sicuramente era una di quelle persone che la guerra la combatteva dentro; fuori c'era silenzio ma dentro c'era la tempesta. Ed io ero un po' così, solo che certe volte le emozioni mi tradivano e il mio sguardo cadeva nel vuoto, perdendosi in un tempo senza fine, senza suoni, senza vitalità. Mi lasciavo scivolare giù nel profondo, un profondo che assomigliava tanto ad un fondale marino scuro e impenetrabile. C'ero stata e mi chiedevo se fossi salita in superficie o se mi stessi immaginando tutto quanto.
«Ti va... non so, di bere qualcosa nel bar all'angolo?»
Usavano tutti chiamarlo "bar all'angolo" perché effettivamente quella era la sua collocazione. Solo lui aveva quella caratteristica, anche perché era l'unico nel raggio di chilometri. Lì a Pembroke era tutto un po' piccolo, minuto, riservato. C'erano poche cose, ma ci si sentiva coccolati dai mattoni delle case lungo la strada e da certi angoli verdi molto particolari. Eppure, mi vivevo poco quel posto. Uscivo di rado la sera, preferivo stare su quel divano vecchiotto a fissare uno schermo piatto, sentendomi instabile. Cercavo di rassicurare me stessa nella convinzione che sarei stata meglio, ma a ripeterlo sembrava sempre più qualcosa di lontano e inafferrabile.
«Uhm... perché no.» feci spallucce, racchiudendomi nella giacca un po' più ampia di qualche taglia. L'avevo trovata in un negozio vintage nei dintorni. Mi piaceva l'idea di cercare tra indumenti che raccontavano storie e aver la possibilità di indossarne uno e farlo mio. Apprezzavo il fatto di poter dare vita nuovamente a qualcosa che non ne aveva più la possibilità perché qualcuno aveva deciso di abbandonarlo.
«Dai, andiamo allora!» sorrise e mi persi qualche secondo ad osservarla. Non trovai niente di forzato e non smisi di chiedermi per cosa stesse lottando.
Io ero in guerra contro la vecchia e la nuova me perché non ero in grado di accettare ciò che ero, guardando in faccia la sconfitta.
Però Frank diceva che una sconfitta era relativa, doveva essere valutata da varie angolazioni perché poteva rivelarsi una vittoria.
Ancora non riuscivo a interpretarla.
«Certo.» annuii, contenta da un lato di allontanarmi per poco dalle vecchie abitudini. Si rischia di morire lentamente se ci si rende schiavi della normalità.
«Ti stimo molto per quel disegno...» allungò lo sguardo verso il ginocchio coperto dai jeans larghi per poi guardarmi negli occhi esprimendo tutta la sincerità che si nascondeva dietro il suo vero apprezzamento.
«Oh, be', non è molto ma...»
In realtà per me era anche troppo. Mentre mi si tatuava quell'animale sulla pelle mi sentivo soffocare e ripetutamente aveva mandato giù un groppo che mi si formava in gola. Non volevo dare a vedere quanto fosse stata sofferta quella decisione, e quanto soffrissi nel guardarmi allo specchio. Non ero convinta di averlo fatto per decorare il corpo, ma per dire forte e chiaro a me stessa che ero così, così rotta e rovinata.
"Devi trovare la bellezza in ciò che hai fatto, Camille. Ora ti vedi spoglia e brutta, ma devi tornare a guardarti in un modo diverso. È lo stesso discorso delle vittorie e delle sconfitte che ti ho appena fatto, ma che riguarda tutti, ragazzi miei" aveva detto Frank quella sera.

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