Capitolo 11

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La sensazione di agitazione pareva la stessa.
Non toccava a me quel giorno, ma percepivo l'ansia crescente nel corpo, le mani erano fredde nelle tasche del giubbotto. Camminavo al fianco di Fionn quando avrei voluto lasciarmi a casa come quei giornali sullo scaffale d'ingresso a prendere polvere.
Non avrei potuto sottrarmi all'appuntamento perché la mia amica mi era venuta a prendere quel venerdì pomeriggio dopo lavoro, proprio fuori dalla biblioteca, affinché l'accompagnassi fino allo studio di tatuaggi. Ero stata io, qualche settimana prima penso, a parlare di quel posto e di come mi fossi trovata bene. Fionn era rimasta incantata ad ascoltare la storia del mio tatuaggio e un giorno mi aveva confessato che se lo sarebbe fatto uno anche lei. I suoi genitori non glielo avrebbero mai permesso, ma ormai viveva da sola, e la vita era sua. Mi raccontò che era una di quelle cose che avrebbe voluto realizzare almeno una volta nella vita, e che il mio racconto le aveva dato la spinta necessaria per farle compiere quel passo. Così mi ritrovavo a camminare alla sua destra, lei con le sue stampelle e la protesi, io senza, ma con l'equilibrio instabile nella testa.
Continuavo a tenere lo sguardo fisso davanti a me nella speranza che quel negozietto per tatuaggi non si presentasse mai e che la strada fosse come l'orizzonte del mare: infinito.
Non avevo più incontrato Joshua dall'incidente di quella sera al bar dell'angolo. Nei giorni sucessivi mi ero rifugiata in casa estraniandomi da quella vita, scordandomi quasi della mia esistenza, nascondendomi pure da Fionn. Presentandomi poi il mercoledì con il gruppo, specialmente dopo il discorso di Frank, avevo trovato il giusto pizzico di coraggio per andare a lavoro senza la paura di incrociare lo sguardo di qualcuno che conoscessi. Dopo quella caduta, mi ero spaventata. Avevo avuto la sensazione di svegliarmi da un sogno per poi tornare a vivere in un altro incubo, a confondermi nella monotonia e a dipingere di bianco e nero tutt'attorno a me. Ero sprofondata in quel buco dal quale spesso tentavo di camminare alla larga, invano. In quella notte d'inverno, mentre la musica suonava e riempiva la città di Pembroke, io mi ero ritrovata inerme sul pavimento e poi in silenzio su una panchina a guardare con disperazione lo sguardo di un ragazzo che non aveva avuto paura di tenermi compagnia. Mi ero vergognata tanto, mi chiesi ripetutamente anche la mattina successiva come fosse riuscito a stare così tanto lì con me senza sentire la necessità di scappare... perché io l'avevo provata. Tra una cosa e l'altra passò una settimana ancora, prima di ritrovarmi a dover affrontare la realtà nuovamente, in quel negozio di tatuaggi. Avevo cercato di rimandare la cosa con Fionn, spostando appuntamento di sette giorni più avanti, ottenendo solo lo stesso risultato. Mi tremavano le gambe e sentivo lo scricchiolio metallico del tutore nelle orecchie, anche se probabilemente nessun altro se ne sarebbe accorto. La mia amica ci teneva tanto che la accompagnassi, non avrei avuto modo di dirle di no, soprattutto dopo tutta la pazienza che aveva avuto con me, dopo ogni sua bella parola, ogni sua attenzione rivolta a me senza mai essere invadente. Aveva cercato una volta sola di avere chiarimenti sempre su quella serata, ma non ero ancora pronta a parlarne e lei non replicò per insistere. Essere lì con lei era il minimo: non avrei permesso che ci andasse da sola come avevo fatto io.
Sospirai forte, Fionn mi sorrise. Quel sorriso ingenuo e gentile non poteva sapere quanto fossi agitata dentro, quanto fosse forte la morsa allo stomaco, e perché. Cercai un valido motivo per giustificare quella scomodità nell'animo all'idea di rivedere Joshua dopo tempo, senza aver mai avuto occasione di incontrarlo dopo quella volta, ma non riuscii a spiegarmelo. Forse avrei voluto dargli qualche spiegazione, ringraziarlo a modo mio, o fare almeno in parte tutto ciò che lui aveva fatto per me. Non si sarebbe mai reso conto, e forse nessuno in realtà, di quanto mi avesse aiutato averlo lì accanto su quella panchina, o aver ricevuto aiuto da lui per risollevarmi da terra dopo la caduta. Era come se continuasse a vedermi come prima, come se non lo scombussolasse niente, come se quei due occhi estranei non giudicassero. Anche nel silenzio, aveva saputo tranquillizzarmi, senza che ne sapessi il motivo: quale arma usava?
Un campanellino tintinnò al nostro arrivo. Lasciai entrare prima Fionn, accorgendomi di come il mio sguardo in quel momento fosse puntato a terra alla ricerca di qualcosa di indefinito. Quasi cercai di nascondermi dietro la sua esile figura.
«Oh Camille!» mi accolse con calore Carl.
«Ciao» risposi un po' imbarazzata, racchiudendomi nelle spalle. Il mio corpo smise di tremare per l'insicurezza.
«Benvenuta Fionn.» disse poi con entusiasmo alla mia amica. Ero contenta per lei perché aveva qualcuno che l'accompagnava durante quell'esperienza e c'era una persona fantastica che l'avrebbe fatta sentire a proprio agio.
«Josh sta lavorando, perciò sarò io a realizzare il tuo tatuaggio, come avevamo stabilito dall'appuntamento.» le sorrise con gioia.
«Uh bene! Sono molto emozionata.»
«Se permetti ti aiuto...» si avvicinò per prenderle il cappotto e la borsa, appendendole la roba all'attaccapanni, così che lei fosse più leggera con la stampella.
«Gentilissimo!»
«Mi fa proprio piacere avervi qui! Vieni ti faccio accomodare...» la portò verso il corridoio. «Torniamo tra un po' Camille! Non temere!»
Gli sorrisi, augurando poi buona fortuna a Fionn. Era così solare quel giorno, la bellezza che coglieva lei in ogni cosa era straordinaria. Era una di quelle persone che avrei voluto conoscere prima e meglio nel tempo, sperando di non sbagliare in quel rapporto, di non rovinarlo, ma farlo germogliare momento dopo momento.

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