Capitolo 5

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L'appuntamento al The Royal George non aveva un orario preciso, ma si svolgeva nel pomeriggio. Sarei arrivata verso le cinque perché dovevo occuparmi dei bambini del doposcuola per due ore. Pochi partecipavano la domenica, giusto chi doveva ultimare gli ultimi compiti prima dell'inizio della settimana.
Uscii dalla biblioteca accaldata, nonostante il cielo avesse un tetto di nuvole grigie, l'aria era calda. Il ventilatore aveva smesso di funzionare e comunque non bastava per tutti, quindi averlo o no non faceva molta differenza.
Quel giorno avevo dovuto seguire Lewis e non si era risparmiato nel farmi perdere la pazienza. Probabilmente i genitori non tentavano neanche nel fargli aprire il libro, perciò lasciavano a me l'arduo compito. L'unica cosa che veramente lo appassionava era il disegno, non c'era verso di fare qualcos'altro che non fosse riempire un foglio vuoto di colore e di grafite.
Passai da casa per farmi una doccia e cambiarmi, sarei passata un'ora per ringraziare Carl dell'invito, non sarei rimasta oltre.
Lo specchio del bagno era completamente appannato, il mio riflesso era sfocato, sbiadito, lontano. Fissavo quell'ombra di colori e mi persi nel calore della stanza, il vapore che piano piano svaniva. Persi diversi minuti a guardarmi, ma senza realmente farlo. Sospirai pesantemente tante volte, stringendo l'asciugamano sul mio corpo, sulla pelle ancora umida, fino a veder sbiancare le nocche delle mani. Le racchiusi in un pugno, socchiusi gli occhi.
Ce la potevo fare, dovevo farcela. Sarei stata capace di stare tra persone sconosciute, tra sorrisi estranei e risate rumorose. Sarei arrivata con la leggerezza nel cuore, ma la mente pesante di pensieri opprimenti. Però dovevo andarci, alla fine, forse, mi avrebbe fatto piacere.
Rilassai le spalle, la tensione lungo la schiena, e spostai il peso del corpo sulla mia unica gamba per rimanere in equilibrio. Una delle cose che più mi motivava a fare quel passo era raccontare poi tutto a Frank e al gruppo con il quale mi riunivo tutti i mercoledì.
Avrei condiviso questo mio piccolo passo avanti anche con Fionn. Avrei reso orgogliosa me stessa, in qualche modo.
Invece che due passi indietro e uno avanti, imparavo a farne due indietro e altrettanti avanti. Speravo solo che le cose sarebbero continuate in quella direzione, senza che precipitassero come spesso mi era accaduto nel corso dei due anni dall'incidente.
Presi il tutore e lo indossai, continuando a meravigliarmi ogni volta di come quella fosse ora la mia quotidianità. Mi vestii senza badare tanto a cosa mettessi, l'unica cosa che mi interessava era passare inosservata, tranquillamente. I jeans larghi avrebbero mascherato il problema, agli occhi degli altri sarei tornata la Camille di un tempo.
La Camille senza cicatrici, senza incubi, senza rimorsi, senza paura, senza limiti.
Limiti.
Uscii di casa, incamminandomi con le cuffiette nelle orecchie, i capelli sciolti liberi di danzare con il lieve venticello che preannunciava l'imminente pioggia.

Varcai la soglia del locale, spinsi la porta e rimasi in piedi per qualche secondo, lasciando che lo sguardo si posasse un po' su tutto e niente. Ci saranno state una ventina di persone, alcuni visi non mi erano così sconosciuti... Pembroke dopo tutto era un piccolo luogo in Galles. Avevo l'abitudine di fotografare con gli occhi ogni persona e, anche se non le conoscevo, riuscivo a ricordarmele se le incontravo più di una volta. Ciò nonostante, mi sentivo un po' un'intrusa. Era una festicciola intima, gli invitati erano clienti abituali e amici di Carl che, felicemente, ricordavano i venti anni già passati dall'apertura del salone di tatuaggi.
«Eccoti, Camille!» mi arrivò incontro il proprietario, lo stesso uomo che, seppur mi avesse vista una volta sola, mi aveva invitata.
«Ciao...» sorrisi timidamente, racchiudendomi un po' nelle spalle. Mi abbracciò, in risposta, e l'unica cosa che riuscii a fare fu restare immobile. Poco dopo alzai un braccio per cingergli la schiena, ma fu un movimento veloce e furtivo. Mi irrigidii un po', fu totalmente inaspettato. Raddrizzai la schiena e mi schiarii la gola.
«Grazie ancora per l'invito, non so ancora perché io sia qua, ma ho apprezzato molto.»
Mi sforzai di dire qualcosa di più. Avrei voluto sorridere di più, abbracciarlo con più forza e trasporto, far trasparire con semplicità la gioia di essere lì e far parte di qualcosa. Non ero brava in niente di tutto ciò, ma avrei voluto in quel momento. Esprimermi a parole mi risultava molto difficile, preferivo il suono del silenzio, ma spesso mi dispiaceva non essere in grado di dimostrare agli altri ciò che davvero provavo. Non era stato l'incidente o la mia nuova insicurezza nel mio stesso corpo, mi era sempre risultato difficile essere trasparente.
«Io ho apprezzato molto invece il tuo tatuaggio, e averti qui mi rende molto felice!» mi sorrise dolcemente, scrollandomi un po' la spalla, con fare paterno. «mi è stato riferito da Josh il motivo del tuo tatuaggio, e sono orgoglioso che il mio negozio, che dell'inchiostro, aiuti le persone a passare oltre, a guardare in faccia il passato. Sei forte, ragazza.»
Alzai l'angolo delle labbra, senza avere la forza di fare altro. Mi sorrise ancora e se ne andò per raggiungere un gruppo di persone.
Rimasi al centro del pub con lo sguardo perso, dimenticandomi d'essere lì. I rumori divennero attutiti, lontani, e rimasi solo in compagnia di me stessa.
Sapevo che prima o poi Carl avrebbe saputo del tatuaggio, e realizzai quanto fosse evidente il motivo per il quale l'avevo fatto realizzare, come Joshua avesse intuito il perché del mio disegno, senza che io dicessi nulla, senza che mi chiedesse niente. Quando mi tatuò rimase in silenzio, aveva già compreso tutto quanto. Averlo detto a Frank e al gruppo per me aveva significato tanto, troppo, e non immaginavo che più persone al di fuori di loro ne fossero a conoscenza, ma dovevo immaginarlo.
Non volevo restasse un segreto, semplicemente sentivo l'esigenza di tenermi per me quel passato di cui Carl mi aveva appena parlato.
Passato. Per me non era passato, era presente. Era un presente interminabile e senza fine.
Quel tatuaggio aveva segnato un inizio, ma non sapevo cosa ne sarebbe poi derivato. L'avrei scoperto col tempo.
Mi diressi verso il bancone per ordinare una birra, Carl aveva offerto un giro a tutti gli invitati. Sorrisi ogni tanto, quando incrociavo lo sguardo di qualcuno.
Mi sedetti nella saletta su una sedia lasciata in un angolino intimo e riservato. Ammiravo tutt'intorno, realizzando quanto questo negozio significasse per tutte quelle persone, e cosa aveva significato per me. Per me aveva segnato l'inizio, per alcuni aveva segnato la fine di qualcosa, per altri l'evoluzione, per altri ancora semplicemente era motivo per esprimere se stessi e usare il corpo come una tela.
Molti avevano la pelle cosparsa di tatuaggi, chi colorati chi in bianco e nero, alcuni fino al collo, altri lungo le braccia, e per alcuni le gambe. Immaginavo, fantasticavo sui simboli, sulle scritte in lingue straniere, sui disegni che ornavano le persone rendendole una diversa dall'altra. Arrivai anche alla conclusione che quell'inchiostro parlasse per loro, rispecchiasse la loro persona in modo silenzioso, evidente ma anche nascosto.
«Ciao!» una donna si presentò davanti a me, porgendo la mano magra nella mia direzione per presentarsi. Mi alzai per educazione e risposi al saluto.
«Sono Tilda, la moglie di Carl. Conosco tutti qui, ma mi ha detto che tu sei un viso nuovo!» parlò con fervore, un sorriso pieno di vita le animava il volto ormai non più molto giovane.
Aveva una bella presenza, ed era una di quelle persone che a pelle si percepiva subito molto simpatica e genuina.
«Oh, piacere. Sono Camille... uhm, ho fatto realizzare un tatuaggio da un ragazzo, nello studio di suo marito, la scorsa settimana.» parlai un po' indecisa, senza sapere effettivamente cosa dire. Seppur i suoi occhi così dolci ti mettessero subito a tuo agio, mi sentivo leggermente in imbarazzo.
«Josh?» si affrettò a chiedere subito.
«Sì esatto. Carl è stato molto gentile a invitarmi, non me l'aspettavo e... ancora congratulazioni per... per il negozio.»
«Ah, per mio marito è come un figlio il Forever Art, pensa che mi ci sono affezionata pure io che di tatuaggi non ne ho manco uno!» rise divertita dal fatto che lei e Carl erano due persone completamente diverse. Sembravano in qualche modo, senza conoscere le dinamiche, essere molto simili nonostante la loro diversità.
«Non le è mai venuto in mente di farsene qualcuno? Voglio dire...» non avevo intenzione di farmi gli affari suoi, ma mi faceva piacere conoscerla meglio ed essere gentile visto che si era dimostrata così contenta di parlarmi.
«Li apprezzo molto, apprezzo il lavoro che fa mio marito, ma non sono il tipo» si interruppe per sorridere fra se e se «però sono davvero entusiasta per tutta la strada che questo salone ha fatto... e per aver conosciuto persone come te.» mi guardò dolcemente. «Sei proprio una bella ragazza, e spero di avere modo di parlare con te in altre occasioni...»
Era così spontanea quella signora che mi meravigliai di come, in poco tempo, avessi incontrato persone come lei, così solari, così gentili. Non seppi cosa dire, o come agire.
«Inoltre, sono contenta che tu abbia conosciuto anche Josh, è davvero un talento da quanto mi dice Carl... dovrebbe arrivare fra poco però!» mi sorrise ancora e mi lasciò per accogliere una coppia di signori che aveva raggiunto in quel momento il locale.
Realizzai dopo che Joshua era l'unico che conoscevo, ma in quel breve tempo avevo avuto la fortuna di parlare con una persona come Tilda. Aveva manifestato un affetto spontaneo nei miei confronti, una premura nel farmi sentire tranquilla e accolta, che mi ricordò mia madre quando ancora le cose non si erano complicate. Il rapporto che avevo con lei, col passare del tempo era diventato sempre più freddo e distaccato.
Ancora dovevo aprire la lettera dei miei lasciata sul tavolo della cucina.
Mi avrebbe fatto piacere aspettare che arrivasse Joshua per poterlo salutare e ringraziare ancora una volta, ma avrei finito la mia birra e mi sarei incamminata verso casa per evitare la pioggia che diventava sempre più fitta al di là delle finestre.

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