14. Armata che vai, amici che trovi

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Non ho allertato nessuno del fatto che sarei arrivata oggi. Tanto, essendo Erwin capitano dell'Armata, sicuramente conoscerà la data dell'arrivo dei cadetti: se agli altri importerà, saranno loro ad informarsi.
Non appena entro, mi fermo un po' sulla soglia del portone, osservando la casa a cui ho tanto desiderato tornare. Non mi curo dei miei compagni che entrano tutti allegri, ignorando il miop strano comportamento, mi metto solo di lato e ricordo le mie avventure da bambina: ora che ci penso, è la prima volta che attraverso l'ingresso per entrare... quando arrivai in quel meravigliosamente terribile giorno, Levi mi portò a cavallo mentre dormivo. Solo tre anni mi separano da quell'evento, però mi sembra di appartenere a questo posto da sempre, le tracce della mia vita passata diventano sempre meno vivide ogni giorno che passa. Mio malgrado, detesto star dimenticando i ricordi del passato: la risata di mia madre, il candido divertimento negli occhi di papà, lo sguardo arcigno di zia Yui, i miei amici... mi sembrano quasi frammenti di un film drammatico visto tempo fa, non l'infanzia di una vita che mi appartiene.

Vengo interrotta dal tocco leggero di una mano fredda: "Ehi Sumire, hai intenzione di rimanere qui per sempre?"
Mi volto e quasi faccio un balzo indietro dallo stupore: Shojiro mi guarda, preoccupato. Mi affretto a scostarlo dalla mia spalla e lo guardo impassibile: "Certo che no. Perché non vai avanti?"
"Ecco io... non so dove andare. Ho pensato di chiedere a te perché delle voci al Campo dicevano che tu avessi vissuto qui e..."
"Capisco. Bene, allora. I dormitori sono da quella parte, credo."
"Ehm... ok -.
Segue un minuto di puro imbarazzo in cui mi ritrovo in seria difficoltà e non so che cosa fare: perché Shojiro, che mi ha sempre snobbata dall'alto dei suoi quindici anni, ora dice di aver bisogno di me? Nella luce del pomeriggio, mi fermo ad osservarlo davvero per la prima volta: con quell'aria spaesata, così diversa da quella del ragazzo snervante che ho sempre conosciuto, sembra totalmente diverso. Forse è per questo che gli mormoro uno strascicato "andiamo", invitandolo a seguirmi per cercare le stanze nei nostri dormitori, in un silenzio di tomba. Sono proprio disperata se permetto a Shojiro Horigawa, il mio tormento, di seguirmi nel posto in cui mi sento meglio al mondo, ma mi accorgo che ora non mi interessa: ho sempre guardato il ragazzo che mi prendeva in giro da lontano, ma ho mai osservato anche lo Shojiro che ho incrociato, anni fa, nel corridoio che conduceva alla sala della posta? Questa non è assolutamente una scusante per il suo ignobile comportamento, però decidendo di lasciarlo lì, disperso, da vera infame, non farebbe altro che rendermi uguale a lui. E mai, mai vorrò essere come Horigawa.

Camminiamo verso quella che ricordo essere la porticina di ingresso per i dormitori attraversando la piazza deserta - in questo momento tutti dovrebbero stare per finire il loro turno - e ci ritroviamo nella sala con il bancone delle chiavi, non è cambiata per niente. Chiediamo ad un soldato che ci consegna i numeri delle nostre stanze, ci guarda con un'aria di sufficienza che mi irrita molto: anche da piccola non sono mai andata molto d'accordo con lui, è un vecchio bisbetico. 

Il pavimento scricchiola sotto ai nostri piedi, quando saliamo i gradini che ci portano al pianerottolo dove le strade per i dormitori maschili e femminili si separano. Rimaniamo un po' a fissare le assi impolverate, finché Shojiro sembra riscuotersi e  mi saluta, ringraziandomi con un tono che non è per niente da lui. Poi, cosa che mi lascia ancora più interdetta, si volta nuovamente: "Sumire, ci vediamo a cena!"
Poi affretta il passo e sparisce dietro l'angolo.
Bene, ora so che il mondo è completamente impazzito: c'è sempre stato un odio reciproco tra me e quel ragazzo dagli intensi occhi verdi, che è molto selettivo con le sue amicizie. Non posso dire che mi dispiaccia questo cambiamento.

 Non posso dire che mi dispiaccia questo cambiamento

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