1 - Il tempo per dormire (1/3)

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Caldo.

Tanto, troppo. E dire che era solo febbraio.

Caterina aveva sempre sofferto il caldo. Era una ragazza che amava l'autunno, lei. Il ticchettare della pioggia in un giorno di nebbia, chiusa in casa a spararsi maratone di Netflix. Onestamente, si chiedeva come fosse possibile che in un paese come l'Egitto potesse esserci vita sostenibile per l'uomo.

A questo pensava la sua prima notte a Luxor, nella residenza di Anubi. Si rigirava nelle lenzuola pregiate, sudata, facendosi schifo da sola. La notte pareva tanto densa da poterci nuotare dentro. Gli Dei e i faraoni degli affreschi parevano tutti scrutarla con i loro occhi di profilo, e di certo non contribuivano a farle prendere sonno.

Alla fine, decise di alzarsi. Starsene a rotolare tra le lenzuola l'avrebbe solo fatta innervosire di più.

Si sollevò e sbuffò via il calore. Si chiese se in casa di un Dio fosse lecito e possibile sperare nella presenza di un condizionatore, o un ventilatore. No, con tutta probabilità, perché non aveva visto alcun elettrodomestico in giro. Non aveva visto nemmeno prese elettriche, per la verità, e le sovvenne che il cellulare stava iniziando a scaricarsi.

Dei. Tanto fichi, tanto onnipotenti, e poi chi era stato a scoprire la corrente elettrica? (Già, chi era stato? Non le veniva in mente, ora... ma di certo non un Dio).

Si sporse sul comodino e accese con l'accendino la lampada a olio, per scacciare un minimo di quella coltre di buio che stringeva come una camicia di forza. Appena l'ebbe fatto, gli affreschi divennero meno minacciosi, la stanza parve tornare calda e accogliente. Fuori, il Nilo illuminato dalla luna piena scorreva beato, nel più completo silenzio.

Caterina decise di fare un giro. Avrebbe voluto leggere qualcosa o controllare i social, ma non poteva scaricare il cellulare e, a dirla tutta, aveva voglia di ficcanasare. Quando le sarebbe ricapitato di essere a casa di un Dio? Magari avrebbe potuto trovare la fonte dell'eterna giovinezza e, beh, inciamparvi dentro per caso. Era un'eventualità da non escludere.

Inforcò le ciabatte infradito e decise di uscire, di fare una passeggiata per conciliare il sonno. Non si preoccupò di vestirsi e rimase in maglietta e culotte. Tanto, Anubi non sembrava tipo da disapprovare il déshabillé.

Appena fuori, trovò con piacere il corridoio illuminato, solo in modo un poco più soffuso data la tarda ora. Lungo tutte le pareti di arenaria beige, scorreva un nastro decorativo in oro massiccio, intagliato di geroglifici: rifletteva la luce delle torce e a Caterina dava l'idea di trovarsi in un portagioie.

La ragazza decise di passeggiare fino in fondo al corridoio. Poi, quando ne incontrò uno perpendicolare, decise di arrivare percorrere anche quello. Tenne a mente le svolte, per paura di perdersi.

Infine, giunse in un cortile interno. C'era una fontana profonda e rettangolare, al cui centro stava la statua di uno sciacallo (non Anubi, un vero e proprio quadrupede), seduto e con le orecchie dritte, appuntite verso il cielo. Tutto intorno, dalle pareti del perimetro, verdi piante rampicanti.

Caterina si avvicinò alla fontana e immerse una mano. Si chiese se fosse una specie di acqua santa e fosse irrispettoso quel che stava per fare, ma comunque si rinfrescò la nuca. E proprio lì, quando tornò dritta in piedi, se ne accorse: dall'altra parte c'era Anubi. Sì, stavolta era lui, non una statua.

Se ne stava appoggiato alla parete del portico opposto, a metà tra due colonne, le braccia conserte. La stava osservando con la testa inclinata di lato, incuriosito. Di fianco a lui, un'enorme porta d'oro: doveva essere la sua stanza.

Caterina si ricompose e, non sapendo che fare, alzò una mano in segno di saluto.

Anubi non ricambiò. Rimase immobile a braccia incrociate. Lei, da lontano, non era più sicura non fosse una statua.

"Caterina, qual buon vento!" disse infine, dandole segno di essere vivo.

La ragazza fece spallucce e strinse le labbra.

"Eh, vento caldo."

Non sapeva bene come comportarsi. Era capitata nell'ala sbagliata, questo era poco ma sicuro. Magari quello era il cortile privato del Dio e non era proprio ortodosso che ci si fosse infiltrata in mutande. Ma Anubi, dal canto suo, non la mise mai a disagio: non fece altro che ridacchiare (o tentare di farlo in modo da sembrare umano), e inclinare la testa dall'altro lato, le orecchie rigide e vigili.

"Non ti starai mica lamentando del clima!" la prese in giro, "Innanzitutto, è da vecchi, dovrei farlo io. E poi siamo solo in febbraio, devi ancora sperimentarlo il vero calore di questa terra."

"Come fai col pelo?"

Anubi si strinse nelle spalle muscolose, libere da vesti.

"È corto, si sopporta. E poi protegge dalle scottature. Ade me lo invidia molto." Dicendolo si passò un dito sul bicipite, fiero della lucentezza del vello scuro, vantandosene. Per un attimo, Caterina si chiese se ai suoi occhi apparisse come un osceno essere inferiore, rosa e glabro.

Infine, come risvegliandosi dalla narcisistica adorazione della propria pelliccia, guardò di nuovo in direzione della ragazza. Con lo stesso dito con cui si stava accarezzando il braccio, la chiamò a sé, in modo allusivo. Caterina si avvicinò, senza vergogna e con attitudine più sarcastica che sedotta.

"Triste orario per starsene in giro tutti soli, gattina" iniziò, mettendo nelle parole il suo solito, velato erotismo, "spero che non ti abbiano svegliato i nostri schiamazzi."

Accennò alla camera e Caterina intuì si stesse riferendo a lui e alle concubine. Ma non si lasciò impressionare e incrociò le braccia anche lei, facendogli da specchio.

"No, non riuscivo a dormire per l'afa. E tu? Non hai le tue altre gattine adoranti da servire?"

"Riprendevo fiato."

E le fece l'occhiolino, giocoso e seducente al tempo stesso. Caterina trattenne riso e imbarazzo, scuotendo la testa e disapprovando. Ma non poteva negare né nascondere di sentirsi trafitta da quello sguardo appuntito, da quelle due biglie piccole e vitree che aveva per occhi.


Come la Luna e le StelleDove le storie prendono vita. Scoprilo ora