10. Incubo

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Varcata la soglia di casa mia, un brivido freddo che partì dal cuore mi attraversò tutta la schiena, dalla nuca fino alla fine della spina dorsale. Odiavo avere brutti presentimenti, mi svuotavano completamente la mente, lasciando spazio unicamente per l'ansia e la paura.

Mi ritrovavo in quel momento a percorrere un corridoio ormai divenuto noto con la certezza di essere nel posto sbagliato, nel momento sbagliato. I miei passi risuonavano ovattati sulla moquette blu notte, provocandomi uno stretto nodo alla gola che con la bocca secca faticai a mandare giù.

Mi guardavo attorno, eppure non riconoscevo il posto. C'era qualcosa di sbagliato, in quella casa.

«Che silenzio».

Il commento di Juno, che camminava al mio fianco, fece sussultare il mio cuore.

«Già. Non dovrebbe essere così».

Per quanto ricordassi, mio padre poteva essere già sul posto di lavoro, ma mia madre e i miei fratelli dovevano quasi di certo essere in casa.

Mi sembrava semplicemente impossibile che regnasse un silenzio simile in quel posto.

Non che credessi alla mia ipotesi, ma forse si trovavano ancora ognuno nella propria stanza, a godersi l'unico giorno della settimana in cui potevano dormire fino a tardi.

Quasi convinta della teoria, mossi i passi verso le scale con più decisione.

«Karin...»

«Aspettami qui, Juno. Vado un attimo di sopra a chiamarli». La liquidai velocemente, prima di cominciare a salire le scale facendo i gradini a due a due.

Al primo piano il silenzio era più devastante di quanto già fosse pochi metri più sotto. Avrei sbattuto con forza i piedi a terra per rompere quel velo sottile di mutismo, se solo il mio corpo non stesse tremando senza controllo e le mie gambe mi tenessero su per miracolo. La paura mi stava consumando, ma non ne capivo ancora esattamente il motivo. I miei stavano solo dormendo, nulla di più. Li avrei svegliati e quell'incubo sarebbe finito lì.

Davanti alla stanza dei miei genitori, con una formalità che non mi era propria, bussai alla porta. Le mie nocche la prima volta sfiorarono appena il legno chiaro, la seconda lo incontrarono con molta più decisione.

Strinsi la mano tremante nell'altra, per fermare quella sciocca reazione. «Mamma?»

I secondi di silenzio che seguirono la mia voce furono lenti e pesanti. Riprovai una seconda volta, con il medesimo risultato.

Deglutii di nuovo un po' d'aria con una goccia di saliva, che non bastò a inumidirmi la gola per poter parlare con la voce chiara. «Sto entrando».

Abbassai la maniglia e spinsi appena la porta. Un raggio di luce entrò nella stanza, illuminando il nulla. Spinsi ancora, fino a spalancarla del tutto e finalmente la luce incontrò il ferro del letto matrimoniale dei miei genitori. Un freddo, grigio e nudo letto, privo del materasso.

Era l'unico mobile in quella stanza.

Immediatamente non pensai di reagire, dopo aver osservato la stanza vuota chiusi solo la porta, abbassando prima la maniglia per non far rumore.

Le mie gambe mi trascinarono verso la parte opposta del corridoio, davanti alla stanza di mio fratello. Abbassata la maniglia, lo scenario era identico al precedente. Sbattei la porta alle mie spalle e corsi verso la stanza in fondo, quella che dava alla strada. La mia.

Mi feci strada nella camera con foga, lasciando che la porta sbattesse contro il muro e tornasse indietro, socchiudendosi dietro di me. Il comò, l'armadio a quattro ante, il comodino e il letto, tutto esattamente come l'avevo trovato il giorno del mio arrivo a Winchester. Vuoto, senza traccia degli oggetti che avevo lasciato.

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