Prologo.

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Ogni tanto, quando mi viene un po' di nostalgia, mi fermo davanti alla finestra di camera mia e inginocchiata sopra il letto, osservo il parco ricco di gente che passeggia.

Sorrido, osservando due bambini piccoli che stanno correndo, un maschio e una femmina.
Improvvisamente la piccola cade e così lui si ferma, si china su di lei e le dà la sua piccola manina per aiutarla ad alzarsi.
Lei la afferra sorridendo e subito dopo balza in piedi per poi, mettersi nuovamente a correre.

Subito mi viene in mente Jamie.
Mi manca tanto.

È già passato un anno da quando il mio migliore amico ha lasciato New York per trasferirsi a Roma, in Italia.
Ormai ci sentiamo solo per messaggio e anche così raramente che a volte penso di essere rimasta solo una parte del suo passato.

Sospiro e lascio che una lacrima scenda lungo la mia guancia, la asciugo con il dorso della mano e scendo dal letto, cercando di non pensarci.
Odio piangere. Ultimamente quando penso a lui, lo faccio spesso.

Mi guardo allo specchio e sospiro.
Il mio aspetto non è più quello di una ventiquattrenne inoccupata, ma al contrario, di una donna matura che sta per iniziare la sua carriera lavorativa.

Indosso dei pantaloni neri attillati e una camicetta bianca che valorizza il mio fisico asciutto, mentre ai piedi delle scarpe con il tacco che mi fanno sembrare più alta di quello che in realtà, non sono.
Dato che sfioro a malapena un metro e sessanta.

Controllo il mio orologio al polso e sgrano gli occhi nel constatare che sono in ritardo già di cinque minuti, così afferro la borsetta da sopra il letto e mi affretto ad uscire da camera mia.

Lidia, che sta passando l'aspirapolvere mi guarda con un sorrisetto, abituata al mio solito ritardo. «Buongiorno signorina Smith». Mi dice con il suo accento spagnolo. «Buen trabajo», aggiunge nella sua lingua.

«Buongiorno Lidia e grazie.
Scusa. Sono in ritardo. A dopo!» saluto la governante, prima di scappare fuori dalla porta come un razzo e scendere le scale ancora più velocemente.

Mio padre odia il ritardo e dato che sarà proprio lui il mio capo, non mi sembra il caso di farlo aspettare ulteriormente, prima che gli venga in mente l'idea di licenziarmi senza neanche aver iniziato.

«Robert, ti amo lo sai?» esclamo, quando vedo il mio autista che mi sta aspettando con la portiera della macchina aperta.

Sorride e annuisce, divertito dal mio modo di parlargli.
«Entri signorina, il signor Smith ha già chiamato due volte».

«Lo sospettavo», alzo gli occhi al cielo e mi siedo in macchina facendo un respiro di sollievo. «Grazie!» gli dico prima che chiuda lo sportello come un perfetto gentiluomo.

Non appena prende posto anche lui, parte a tutta velocità e io lo ringrazio mentalmente, facendo un piccolo sorriso.
È così abituato al fatto che io sia sempre in costante ritardo, che sa già di dover correre come un pazzo.
Lo amo.
È inutile.

Se qualcuno di voi si sta chiedendo come mai io abbia una governante e un autista tutto per me, la risposta è semplice: sono milionaria.
In realtà lo è mio padre.
Ma sono dettagli, no?
Vi posso solo dire che ho un conto in banca così sostanzioso, che se volessi potrei vivere di rendita per il resto della mia vita.

I miei piani però, non sono questi e infatti, mi sono laureata da poco in marketing e comunicazione, in modo da prendere le orme di mio padre e poter lavorare nella sua azienda che si occupa appunto di questo settore.
Quando mi ha proposto di iniziare facendo uno stage per un anno, non ho potuto fare a meno che accettare al volo, sia per imparare meglio il mestiere, sia perché avrò la possibilità di entrare a far parte di un mondo che ancora non conosco.

Io, tu e uno stage. (Primo libro)Where stories live. Discover now