15. Ector, io e te, dobbiamo fare i conti.

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Jamie:

Non so più dove guardare, giuro.
Jillian è arrivata qui con una maglietta bianca che mostra ai miei occhi dei capezzoli chiaramente turgidi.
Vederla così, senza reggiseno, mi sta facendo andare fuori di testa, così come a Ector, che non solo è impazzito, ma sta premendo in un modo non indifferente contro i pantaloni.

È dannatamente fin troppo euforico.
Andiamo molto, molto male.
Di questo passo ci sono due ipotesi: o le salto addosso, cosa che voglio fare da parecchio, oppure cerco di calmarmi e ragionare lucidamente.

Ector è decisamente d'accordo con la prima opzione.
Non avevo dubbi.

«Non guardarmi così», strilla, coprendosi con le braccia proprio in quel punto. Non ho mai visto diventare il suo viso così rosso come in questo momento.

«Se la tua intenzione era di provocarmi, ti avviso che ci stai riuscendo alla grande», ammetto guardandola in modo malizioso.
La mia voce è roca.
Sto cercando di resistere seduto in questa sedia. La voglia di alzarmi e raggiungerla è parecchia, ma so già che se lo facessi non mi fermerei più.
L'unica cosa che ringrazio è il fatto di essere in ufficio, altrimenti non avrei risposto delle mie azioni.

Jillian sgrana gli occhi e deglutisce a disagio. «Io non ti volevo provocare. Sono uscita di fretta».

«Dormi senza reggiseno?» Mi informo con un sorrisetto sulle labbra che non riesco proprio a nascondere.

«Jamie!» Sbotta, scioccata.

Mordo le mie labbra e poi sorrido in modo provocante, appoggiando i gomiti sulla scrivania, la mano sotto il mento. «Molto interessante. Questo è chiaramente un sì».

Boccheggia in cerca di qualcosa da dire, ma non trova le parole. È sorpresa dalla mia sfacciataggine, ma ho sempre amato metterla in difficoltà.
Per di più non abbiamo mai avuto discorsi così intimi, prima d'ora e devo ammettere che sto iniziando a prenderci gusto.

Questo gioco finirà male. Mi ricorda la mia coscienza.
Ed è vero. Devo smetterla.

Mi alzo di scatto, faccio un lungo respiro e qualche passo verso la finestra per guardare il panorama, pur di distogliere lo sguardo da lei.

«Dov'è Carly?» Chiede, cambiando argomento.

Mi volto verso di lei con un'espressione annoiata «Siamo soli. Ha la febbre. Abbiamo un libro a testa da studiare», li indico con la mano sopra la mia scrivania e Jillian fa il broncio come una bambina.
Non riesco a trattenere un sorriso.

«E probabilmente sarà così per tutta la settimana. Quindi dovremo stare soli».
A me non dispiace affatto e penso neanche a lei, visto che sul suo viso è spuntato un sorriso che ora sta cercando di nascondere con un colpo di tosse.

Sposto lo sguardo sulla porta ancora aperta e vado a chiuderla, poi mi giro verso di lei la vedo con gli occhi spalancati. «P-perché hai chiuso?» Balbetta, agitata.

Inarco un sopracciglio e la guardo divertito. «Hai paura di me, Jilly?»

«No!» Si affretta a dire, per poi fare un lungo respiro. «Solo che... Gli altri potrebbero pensare male, visto che siamo soli».

Scoppio a ridere e la raggiungo. Alza lo sguardo e io mi abbasso fino ad arrivare al suo viso, poi stampo un bacio sulla sua fronte.
«E se anche fosse? Qui tutti pensano che stiamo insieme», fisso i suoi grandi occhi azzurri e piano piano scendo a guardare le sue labbra schiuse.

È venuta in ufficio con il viso ancora assonnato, i capelli con una crocchia disordinata con vari ciuffi che spuntano fuori, eppure rimane sempre sexy. Anzi, lo è ancora di più.
Mi piacerebbe vederla così, dopo una notte di sesso sfrenato.
Probabilmente non la lascerei mai dormire.

Io, tu e uno stage. (Primo libro)Where stories live. Discover now