3. La messinscena

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Due giorni dopo, Sarah si domandava come mai, con un tempo simile, Mark Thomson non se ne fosse rimasto a casa invece di rischiare di inzupparsi fino al midollo una volta sceso da quella dannata carrozza. La pioggia era talmente incessante e violenta che perfino la brughiera, in lontananza, appariva come una gigantesca nube di fumo denso tanto che non era possibile scorgere nemmeno i contorni degli alberi e delle siepi del suo giardino. Con il naso appoggiato al vetro gelido della finestra, Sarah cercava di placare il suo senso di tormento mentre si torturava le dita, in attesa che suo zio la convocasse.

Da lontano, non riusciva a vederlo adeguatamente, ma poteva scommettere che lord Thomson fosse uno di quelli che lei soleva definire damerini da quattro soldi. Era troppo alto, e quell'enorme cappello che gli copriva il capo era troppo ingombrante, il lungo bastone che appoggiava a terra troppo sottile mentre i suoi piedi percorrevano rapidamente il vialetto di ghiaia. Non sapeva quanti anni avesse, ma giurò a se stessa che, se avesse avuto più del doppio dei suoi, si sarebbe messa ad urlare. Il buon senso le suggeriva che contrarre un matrimonio con un uomo di gran lunga più anziano poteva portare ad un solo beneficio: ereditarne il denaro. Se si considerava la parte sentimentale, quella che secondo suo zio non aveva motivo di esistere, lei poteva anche cadere in miseria.

Sollevò il mento con aria fiera. Sapeva che fosse solo questione di attimi.

Nell'arco di cinque minuti lord Ashton l'avrebbe convocata, e lei avrebbe dovuto fingersi interessata a quel benedetto matrimonio almeno all'inizio. Forse poteva considerare di scappare il giorno prima delle nozze. Ma come avrebbe potuto rischiare di macchiare il buon nome della sua famiglia? E i suoi genitori, cos'avrebbero pensato se fossero stati ancora in vita?

Quel pensiero la turbò, rischiando di farla scoppiare in lacrime. Non poteva cedere in quel momento.

Avrebbe concesso a se stessa e a lord Thomson l'opportunità di conoscersi e chissà, magari in futuro, sarebbe potuta essere addirittura felice...

Il problema era che quel matrimonio le stava venendo imposto. E nonostante sapesse che c'erano dei doveri da rispettare e che suo zio ne aveva tutta l'autorità, Sarah avrebbe voluto ribellarsi.

Quando scese le scale e si ritrovò nel corridoio che conduceva in biblioteca, Sarah Ashton cercò di apparire più accondiscendente che poté. Si cullava nella speranza che Mark Thomson fosse un uomo buono, e che non l'avrebbe costretta a fare nulla che lei non volesse.

— Signorina Ashton? — la chiamò dolcemente Freya, la sua cameriera personale arrivandole alle spalle. Aveva l'età che avrebbe avuto sua madre se fosse stata viva, ed era la persona più gentile che Sarah conoscesse. La sua vita non era mai stata composta né da gentilezza, né da affetto, ma Freya le aveva sempre mostrato grande dolcezza, prendendo il posto di sua madre quando a tredici anni Sarah si era ritrovata sola. Si era spesso rimproverata per averla in qualche modo sostituita, ma per quanto si fosse sforzata di non ammetterlo, probabilmente Freya le era più legata di quanto la defunta lady Ashton le fosse mai stata.

— Avete dimenticato il nastro.

— Vi ringrazio, signora Carter.

Sarah si voltò cercando di non mostrarsi tesa, ma la donna la conosceva troppo bene. Freya Carter le rivolse un'occhiata triste quando la ragazza prese il nastrino e se lo legò al polso. Era un semplice pezzo di stoffa color zaffiro, l'oggetto più prezioso che possedesse. Sua madre glielo aveva regalato quando lei aveva cominciato a capire che, per diventare una vera donna, era necessario indossare ornamenti simili. Solo, non agghindati ai capelli. Essendosi sempre ribellata, Sarah aveva scelto di legarselo al polso anche dopo la morte dei genitori, così che avesse sempre potuto averlo davanti agli occhi.

— Andrà tutto bene, vedrete — tentò di rassicurarla la governante. Sollevò una mano e con fare materno le sfiorò una guancia, un gesto che negli ultimi anni aveva compiuto spesso per consolare la ragazza nei suoi momenti più bui. — Credo che voi siate in grado di tener testa a chiunque.

— Vorrei che fosse vero — mormorò Sarah con un sospiro mesto. Stava perdendo il suo coraggio, e se ne rendeva conto ogni minuto che la separava dall'incontro con il suo futuro sposo.
—Lo è. Solo, signorina Ashton, non lasciate che qualcuno vi costringa con la violenza a fare qualcosa che non volete fare.

Sarah non aveva ancora considerato l'eventualità che lord Thomson avesse potuto costringerla all'interno del talamo nuziale, ma doveva convenire con Freya sul fatto che di rado gli uomini non si prendevano ciò che volevano anche quando le donne non erano disposte a offrirglielo.

Il battito del suo cuore accelerò appena, ma poi si costrinse a credere che nulla di ciò che la cameriera stava dicendo sarebbe corrisposto alla realtà. Doveva essere forte.

— Starò attenta, non preoccupatevi.

Le mostrò un piccolo sorriso, anche se sapeva che Freya la conosceva perfettamente e aveva intuito il suo stato d'animo.

Sarah la congedò e si apprestò ad entrare in biblioteca.

Adesso c'era solo quella porta a separarla dal suo futuro sposo. Dopo pochi attimi di incertezza, non ci fu più nessun ostacolo.

Lord Ashton si girò verso l'entrata della biblioteca e il suo volto s'illuminò di un sorriso gioviale, cosa che la rese alquanto nervosa. Sapeva che suo zio stava fingendo. Ormai aveva imparato a interpretare qualunque sua espressione, ma lei non si scompose.

— Signor Thomson, ecco la futura sposa!

Sarah cercò di focalizzarsi unicamente sull'altro uomo. Come aveva intravisto dalla finestra della sua stanza, Thomson era alto, molto più di lei, ma si era tolto il cappello e aveva appoggiato il bastone accanto al tavolino al centro della stanza, e adesso Sarah poteva vederlo bene. Aveva spalle larghe che si tendevano sotto la giacca scura, le gambe altrettanto larghe e lunghe erano fasciate da calzoni aderenti e sembravano volerne strappare il tessuto da un momento all'altro. Si era rasato, riconobbe Sarah, probabilmente per l'occasione e i suoi capelli dorati erano in perfetto ordine, come si confaceva alla moda londinese del periodo, pettinati di lato.

Si avvicinò per squadrarlo meglio e mise a fuoco il suo viso; era un volto dai lineamenti duri, dalle labbra sottili, ma gli occhi erano così profondi che la ragazza pensò di avere un mancamento. Due grandi pozzi castani che sembrarono ispezionare il suo corpo millimetro dopo millimetro, e quando si soffermarono sulle sue labbra divennero ancora più maliziosi.

Sarah si sentì quasi spogliare con lo sguardo, e quella sorta di provocazione fece riemergere il suo spirito battagliero. Non voleva essere una dannata preda caduta nella trappola di un cacciatore.

— È un piacere fare la vostra conoscenza, signorina Ashton — le disse lui mentre Sarah, per procedura, gli tendeva la mano perché il conte potesse sfiorarla con le labbra.

Anche la sua voce era profonda, ma fin dal primo istante lei la considerò non appropriata.

— Il piacere è mio, signor Thomson— gli rispose mettendo in scena la sua espressione più civettuola. — Spero che il vostro viaggio non sia stato troppo stancante.

— Niente affatto. E anche lo fosse stato, vi assicuro che il gioco vale la candela in questo caso.

Sarah non poté fare a meno di avvampare a quell'affermazione, ma per fortuna sullo zio fu lesto a intervenire.
— Che ne dite di prepararci per il pranzo? È quasi ora, non trovate? E nel pomeriggio potrete approfondire la vostra conoscenza.

— Sono assolutamente d'accordo — disse lei con un sorriso fin troppo smielato perfino per i suoi standard.

— Molto bene — accondiscese Mark Thomson, porgendole il braccio in un chiaro segno di invito.

— Volete accompagnarmi in corridoio, nel frattempo?

Sarah sapeva che avrebbe dovuto rifiutare perché quell'uomo, per quanto attraente fosse, non avrebbe mai rispecchiato la sua idea dell'ipotetico marito. C'era qualcosa nelle movenze del suo corpo che non la convinceva, qualcosa nel suo sguardo che non riusciva a identificare. Sapeva solo che non le piaceva e che tutte le sue speranze erano appena crollate.

Eppure accettò comunque il suo braccio, decisa a tener fede alla messinscena che aveva appena preso piede nella sua testa. Lei non lo avrebbe mai sposato, ma questo nessuno doveva saperlo, almeno per il momento.

Peccato di mezzanotte Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora