CAPITOLO 72

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Quella era la fine che avrei fatto anche io se, quella volta sulla nave del Capitano, Rubyo e Gideon non mi avessero salvata. Incatenata e svenduta agli esseri dell'Altro Sole, come schiava, cavia o cena.

Tra le opzioni, l'ultima sarebbe stata la migliore.
La meno sofferente.

Lo si poteva leggere anche nei loro volti. Nessuno piangeva, urlava o si ribellava. Erano tutti apatici, con gli occhi vacui, semichiusi. Gli occhi di chi aveva perso ogni speranza e aspettava solo il momento di morire. Perchè solo la morte li avrebbe liberati da quella sofferenza, perchè tutto sarebbe stato migliore dello stato in cui si trovavano.

In quel momento, anche io, come loro, mi persi con lo sguardo, ipnotizzata dal riaffiorare dei miei ricordi.

La cella chiusa.
Il pavimento freddo.
Il pane secco.
Le catene immobili.
La focalizzazione persa.
Il ghigno di mio fratello.
I suoi occhi apatici.
La frusta stretta in mano.
Il primo schiocco.

Un dolore lancinante mi colpì la schiena e a stento riuscii a non urlare. Chiusi gli occhi. Le gambe mi tremavano. Il respiro si era fatto affannoso.

È solo un ricordo. Solo un brutto ricordo.

Ma nessuna parola era sufficiente per tranquillizzarmi. Dovevo andarmene da quel posto. Ripresi a camminare, questa volte più veloce, nella stessa direzione dalla quale ero venuta e, a stento, non inciampai negli ultimi gradini della scalinata.

Stavo ancora tremando, non riuscivo a stare in piedi. Mi accasciai alla parete: volevo sedermi, ma se lo avessi fatto avrei attirato l'attenzione di tutti. Il petto si gonfiava a fatica e nessuna quantità d'aria mi sembrava sufficiente. Sentii un improvviso bisogno di piangere.

Volevo andarmene.

Ripercorsi la strada a ritroso, facendomi guidare dalla vista dell'oceano all'orizzonte, finchè non raggiunsi nuovamente la spiaggia. Sarei arrivata a Kayl anche a nuoto, tempesta o non tempesta.

Ero arrivata a Chaot da poche ore, ma già avevo capito perchè sia Gideon che Rubyo fossero tanto d'accordo sul tenermi lontana da quest'isola. Il solo pensiero che Dollarus ci vivesse volontariamente mi fece rabbrividire. Doveva essere davvero temuto... e potente.

Il mio sogno di libertà fu però interrotto dal portale di ingresso della città. Era chiuso.

«Dove credi di andare?» Una figura, tanto alta da farmi totalmente ombra con il corpo, mi si piazzò davanti, spingendomi all'indietro.

Per poco non caddi. La forza usata era minima, ma quella lieve applicazione sarebbe bastata per farmi volare al suolo.

«Non toccarmi.» Cercai di risultare più impassibile possibile, sforzandomi di non far tremare la voce.

«È vietato il trapasso quando le porte sono chiuse.» Proseguì, senza lasciarsi intimidire.

«Lo so perfettamente. Non mi ero resa conto di che ore fossero.»

Con una smorfia infastidita, la guardia arricciò il naso, facendomi poi cenno di andarmene.
E così feci, cosciente del fatto che sarei rimasta a Chaot per la notte.

Mi avviai al più presto, in cerca di una locanda dove passare la notte, finché non incappai in una.

The good cabinet, diceva l'incisione sull'insegna penzolante.

Deglutii e spinsi la porta cigolante.

Uno scricchiolio mi accompagnò in un ambiente buio e puzzolente di alcol, la cui aria era grigia per il fumo asfissiante dei sigari.
Mi avvicinai al bancone a passo deciso, ben cosciente degli sguardi che, uno dopo l'altro, si depositavano sul mio corpo.

Royal Thief Where stories live. Discover now