65. Feelings

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LENA

First Phase

[Dolore]: Stato o motivo di sofferenza spirituale, spec. se provocata da una realtà ineluttabile che colpisce o condiziona duramente il corso della vita: tu vuoi ch'io rinnovelli Disperato dolor che 'l cor mi preme (Dante); avversità, sventura (per lo più al plurale): la sua vita è stata un susseguirsi di dolori; rammarico, dispiacere.

Due giorni e mi sembrava di essere bloccata in un dannato limbo. Un infinito buco nero che non smetteva mai, dove cadevi soltanto e non trovavi mai la luce. Era frustrante come lo stare lontano da lui mi creasse così tanto scompiglio. Avevo perso la mia stessa guida, la mia salvezza e tutto quanto per colpa delle persone attorno a noi. Non si poteva avere pace ai tempi di oggi, una storia d'amore tra due adolescenti non era più quella di una volta. Ora c'erano mille problemi da affrontare.
Torino, Milano, Firenze. Gli ultimi giorni di gita risultarono un vero e proprio inferno. Non mi stavo godendo il ritorno in patria, non stavo con Luke e ora...ora stavo per avere un dannato attacco di panico. Il dolore mi bruciava il petto, mi consumava ogni singola particella del mio corpo e non essere nella mia stanza, rese le cose più difficili. Stava per cominciare una corsa contro il tempo.
Cinque. Mi alzai dal divanetto del soggiorno e iniziai a correre. Il cuore cominciò a battermi forte.
Quattro. I corridoi dell'agriturismo mi sembravano infiniti. Il rosso del tappeto era un colpo all'occhio e le pareti bianche mi davano la nausea. Non c'era un fottuto ascensore.
Tre. Feci le scale a due a due. Altri corridoi, altro dolore al petto. Mi sembrava una lotta per la sopravvivenza, non finiva mai. Cercai di non andare contro gli altri studenti e di non cadere per terra.
«Lena, stai attenta!» urlò Crystal, attaccandosi al muro del corridoio. La mandai a quel paese e corsi ancora.
Due. Presi le chiavi della stanza, la aprii con mani tremanti. Il cuore in gola, questa che bruciava, il petto in fiamme. Chiusi la porta dietro di me e presi il cuscino sul mio letto.
Uno. Urlai soffocata dal mio stesso cuscino. Il corpo fu uno scarico di nervi. Mi sentii subito leggera, con i piedi in aria e la mia persona stesa su un materasso morbido il quale profumava di lillà. I capelli mi davano fastidio, erano di intralcio ma li lasciai sotto il mio collo e sparsi attorno la mia testa. Le mie labbra socchiuse, presero l'aria e la incalanarono dentro di me. Il petto si abbassava e alzava lentamente. Il cuore si fermò, battendo nel medesimo modo. Le mie mani sudaticce mi creavano fastidio, mi formicolavano le gambe e le braccia. Ingoiai un groppo alla gola e chiusi gli occhi. Fui avvolta dal silenzio, e lasciai che le lacrime salassero il mio viso. Ormai, distrutta, mi feci cullare dal mio stesso dolore e i ricordi mi crearono solo fastidio.
Provare questo sentimento era una tortura, una tortura bastarda che ti prendeva la vita e te la disintegrava. In polvere, che si perdeva in un soffio di vento.

Second Phase

[Malinconia]: Stato d'animo di vaga tristezza, spesso alimentato dall'indugio rassegnato o addirittura compiaciuto, nell'ambito di sentimenti d'inquietudine o delusione. La malinconia dei romantici.

Le strade di Firenze mi sembrano vuote. Mi sembravano inesistenti come se fossero solo piene di nero e neutralità. I film si proiettavano nella mia testa, giravano di continuo senza audio. Senza colore. Senza briciolo di sentimento. Sembravano delle scene neutrali, non c'erano emozioni se non il ricordo di una storia d'amore lontana, una sfumatura così dolce la quale mi mancava tantissimo.
Guardai il bracciale al mio polso, l'anello al dito e mi strinsi nella sua giacca rossa. Mi mancava tantissimo e lo avevo a pochi passi da me. Mi sembrava un'anima in pena, una figura vicina che non poteva essere tocca da me. Mi sarei scottata, bruciandomi non la mano ma il corpo intero. L'acido bollente avrebbe fatto meno male e la morte lenta mi entusiasmava molto di più. Sospirai e mi sollevai gli occhiali da sole sul naso. Il petto stava iniziando a diventare pesante, le scarpe calpestavano l'asfalto. Mi sembrava di fare sempre la stessa strada, sempre la stessa via e non arrivare ad una conclusione. Vedevo la felicità sventolare una bandiera bianca e il mio arco scoccare verso di lei. Grandissima figlia di puttana.
Stavo continuando a camminare, quando andai a sbattere contro qualcuno. Ti prego signore, fa che non sia...e vaffanculo!
«Ma che ca- oh...Lena, scusami» la sua voce era un sussurro. I suoi occhi dolci erano incorniciate da delle occhiaie viola. Il suo viso mi sembrò stanco, le sue labbra trattennero un sorriso e la barbetta accarezzava le sue guance. Indossava una maglietta bianca e dei jeans neri. Dal collo della maglia pendevano i suoi rayban. Guardai la collana appesa al suo di collo e mi trattenni.
«T-tranquillo...va tutto bene» abbassai la testa e guardai le punte delle scarpe. Bianche e rosse, le mie converse riprendevano il colore della sua giacca addosso a me. I fili della gonna di jeans sfioravano la mia pelle e Luke mi stava osservando. Il suo sguardo mi faceva male, più della sua mancanza. Vicini ma lontani, tra di noi c'era una lancia a due punte. Più ci avviciniamo più sentiamo il metallo affilato nel nostro petto. Il suo dito sotto il mio mento fu la miccia che mi fece esplodere. I miei sentimenti si riattivarono. Gli ingranaggi stavano funzionando, la mia mente accese la luce. Il mio cuore cominciò a battere forte. Il mio stomaco fu invaso da elefanti in fuga, avevano fame ed erano pronti alla carica. Il colonello de' Il libro della giungla preparava il suo esercito.
Alzai gli occhiali sulla testa e lo guardai dal basso. La sua mano era ancora a contatto con la mia pelle, il suo pollice mi accarezzava e mi lasciai cullare da quel dolce gesto. Mi mancava sempre di più, lo amavo e ora ci stavamo distruggendo. Potevo sentire benissimo il mondo caderci addosso per la milionesima volta. I suoi occhi azzurri mi guardavano e io sorrisi. Lo abbracciai con le braccia intorno al suo corpo e lui mi strinse a sé. Annusaii il suo profumo e mi sembrò una dolce ninna nanna. Le sue mani mi accarezzarono la schiena, i capelli e la sua bocca mi lasciò un bacio sulla testa. Mi sentii protetta e senza nessun problema. Lui non lo era, io nemmeno, ma la vita che ci circondava insieme ai suoi problemi creavano un disastro tra di noi. Mi mancava così tanto e questo abbraccio mi fece capire più di quanto non avessi già capito. Luke era la mia àncora, il mio tutto, la mia salvezza e la mia mano era stretta nella sua. Eravamo di nuovo sul filo del rasoio. In bilico.
«Ricorda sempre che io ci sono. Ricorda che ti amo Lena e sii forte. Usciremo da questo labirinto dell'orrore e lo faremo insieme» annuisco soltanto e mi godo quel momento. Luke era tutto, il mio tutto. L'ossigeno nella bombola per i subacquei. Mi serviva lui per essere felice, per vivere e continuare a farlo. Ma ora, tra le sue braccia, poteva solo essere un dolce ricordo e una polaroid appesa alla mia bacheca.

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