7. Caelie

160 14 1
                                    

Amavo il mio lavoro come assistente di una maestra d'asilo, davvero. L'avevo trovato durante l'estate dell'ultimo anno di liceo e da quel momento non mi ero staccata dal fianco di Dollsa, la maestra. Con gli anni, le ero diventata indispensabile per gestire i bambini e da qualche tempo cercava di convincermi a iscrivermi all'università per diventare una maestra a mia volta. Amavo il mio lavoro perché amavo lavorare con i bambini; ci sapevo fare e loro sembravano fidarsi di me. Ma non mi sarei potuta iscrivere all'università se dovevo pensare a pagare pure quella di Alex. Non l'avevano mai detto esplicitamente alla mia sorellina, ma avevo come l'impressione che lei intuisse da sola tutto ciò che riguardasse le nostre dinamiche familiari: che mamma e papà la aiutassero con le rate era un enorme punto interrogativo e andare a chiedere direttamente a loro un passo per ora fin troppo grande per entrambe. Ci eravamo abituate a una vita nostra, a un tiepido equilibrio che oscillava tra la modestia e il compromesso. Era quindi molto più saggio pensare che dovessi occuparmi io dello studio di Alex e per farlo dovevo rinunciare al mio. Non era stata una decisione difficile, anche se lei pensava il contrario; anche se tutti, se avessi detto loro come stavano le cose, avrebbero pensato il contrario. L'idea di dover indirizzare la mia vita con forza entro una determinata strada per assicurare a me e Alex un futuro stabile e decente me l'ero inculcata in testa già da quando avevo diciassette anni, quando avrei dovuto pensare a tutt'altro, quando il mio mondo ancora riluceva di una luce novella. Da allora nessuna delle due aveva messo in discussione il ruolo primario che conducevo nella coppia: io lavoravo, sostenevo entrambe, badavo a lei.

Fino a quel pomeriggio. La bomba l'aveva sganciata appena ero uscita dalla doccia, ancora avvolta dal vapore e dalla dolce sensazione dello scrub sulla schiena. Alex aveva spalancato gli occhi, sorriso e stretto la mia mano nella sua. E poi mi aveva spezzato il cuore. La notizia che la sua richiesta di una borsa di studio parziale era stata accettata avrebbe dovuto sollevarmi, farmi fare i salti di gioia, avrebbe dovuto scatenare in me la voglia di urlare. Invece mi venne da piangere.

Non piansi davanti a lei, ovviamente. Le sorrisi a mia volta, imitando la sua espressione angelica, le dissi quanto fossi felice per lei e poi decisi di prepararmi per uscire. Mia sorella mi conosceva meglio di quanto io riuscissi a comprendere me stessa, quindi mi lasciò in pace e mi disse che avrebbe preparato lei la cena. Io invece le dissi di chiamare Fay e quando la più piccola della nidiata Cade arrivò con le guance accaldate e un cartone di pizza tra le mani, le salutai e sbattei la porta alle mie spalle.

Attraversai la strada a grandi falcate, fermando una macchina grazie a un gesto della mano e mi precipitai dentro il Dive con una determinazione che non mi apparteneva. Non era il luogo ideale dove piangere ma fu lì che mi trovai a singhiozzare, le spalle alla porta d'ingresso e gli occhi stretti per non far cadere le lacrime sulle guance.

Dentro al locale, come sempre, c'era odore di tabacco e spray per legno, oltre che un olezzo di liquore e fritto. C'era già del chiasso nonostante l'orario non fosse particolarmente tardo ma non c'era la calca. In pochi fecero caso a me mentre stringevo i denti e tentavo di calmarmi. Per fortuna avevo evitato il trucco. Avanzai lungo la stanza cercando dei fazzoletti per pulirmi il naso e mi diressi al bagno. L'unica volta precedente che mi ero trovata intrappolata nella morsa dolceamara del Dive non avevo avuto il coraggio di avventurarmi nelle strutture sanitarie, immaginando chissà quale luogo reietto e maleodorante. Invece quando entrai venni assalita dall'odore di vaniglia e della candeggina. O qualcuno aveva appena commesso un omicidio e tentava di nasconderne le tracce, oppure veniva lavato con regolarità e attenzione. La seconda opzione non si confaceva alla reputazione del locale ma decisi di puntare su quella.

«Si sente troppo il profumo?»

La domanda veniva da uno dei bagni con le porte chiuse, era chiara e tremolante.

Brade || 1Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora