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«Sono in ritardo?» con il respiro affannato e una mano sul petto, Ji eun era ferma all’ingresso del negozio.

«No, tranquilla. Stavo finendo di chiudere quando sei entrata.» spensi le luci, e nel buio della notte quella punta di amara delusione tornò a farsi viva. Non era venuto e, anche se mi costava molto ammetterlo, ne ero dispiaciuta.

Chiusi a chiave la porta e infilai il cappotto che stringevo nella mano sinistra.
Mi guardai alle spalle mentre insieme alla mia amica tornavamo alla macchina, ma di lui non vi era traccia. Sospirai salendo al posto del passeggero e allacciando la cintura di sicurezza. Avevo acconsentito a cenare fuori, dopo che Ji Eun aveva scoperto di Jongin, perché smettesse di tormentarmi.
Per fortuna avevamo trovato un compromesso; saremmo uscite a mangiare fuori ma dopo saremmo tornate subito a casa.
Dovevo ancora terminare le assegnazioni settimanali del professor Lee e dalla prossima settimana sarei stata bloccata in negozio per quasi tutti i pomeriggi.
L’imminente arrivo di San valentino, per i fiorai, era un po’ come il venerdì nero che cadeva nel periodo natalizio.
Non ero mai stata amante del giorno di San Valentino, e non perché fossi single da una vita.
La ritenevo una cosa piuttosto frivola, insignificante, di una dolcezza quasi stucchevole, come quando al luna park compri lo zucchero filato e te lo ritrovi tutto appiccicato alla faccia.
Come se regalare rose rosse alla propria ragazza il giorno degli innamorati risolvesse i problemi del mondo.
C'erano cose più importanti di uno stupido mazzo di rose.
Rose, il cui prezzo triplicava, semplicemente perché c’era più richiesta.
Se gli uomini avessero avuto un pizzico di intelletto in più, forse avrebbero capito quanto le ragazze fossero cambiate negli ultimi decenni.
Non eravamo più principesse in pericolo, non cercavamo più il principe azzurro e alla fine della favola la scarpetta di cristallo probabilmente l’avremmo volentieri barattata per un bel paio di comode sneakers da ginnastica.

«Hyejin, ci sei? È da dieci minuti che fissi il vuoto…»
«Ci sono, scusami.» dissi, cambiando stazione alla radio, dove stavano trasmettendo un vecchio successo dei Backstreet boys.
«Cosa ti passa per la testa? Puoi parlarmi di tutto, lo sai. So che a volte ti infastidisco, ma ti voglio bene e vorrei solo che potessi divertirti come qualsiasi altra persona.»
«Lo so Ji eun, e te ne sono grata ma il fatto è che non lo so neppure io cosa mi passi per la testa…»
«Per caso si è rifatto vivo il ragazzo del mistero?» disse mentre eseguiva un perfetto parcheggio ad S di fronte al nostro ristorante di noodles preferito.
«No…» Mi morsi il labbro inferiore e strinsi la borsa contro il fianco con più forza.
«Quindi è questo a renderti silenziosa…» Entrammo da “Pad Thai Noodles”, dove ci scortarono ad un tavolo libero sul lato destro dello stabile. «Mi dispiace. Forse aveva altri impegni…» Si allungò accarezzandomi una spalla, in segno di conforto. «O forse, domani si presenterà con un'altra dozzina di margherite e ti chiederà di uscire!» si rianimó, lasciando trasparire dalle sue parole il suo irrecuperabile lato romantico.
«Yah! Non farti trasportare troppo ora! Lo conosco appena…» Presi il menù cominciando ad esaminare ogni singolo piatto, sperando lasciasse cadere quel tema.
Quando il cameriere venne a prendere le ordinazioni, optai per una semplice ciotola di noodles alle verdure accompagnati da carne di manzo.
«Se vuoi sapere ciò che penso su questa storia, Hyejin, te lo dico.»
Annuii, posando i gomiti sul tavolo e il mento sulle mani, in attesa. A quanto pare lei non era molto propensa a lasciar cadere l'argomento. Sbuffai, preparandomi all'ennesimo discorso sull'amore e su quanto questo fosse importante.
«D’accordo...» Prese un respiro profondo, guardandomi sinceramente. «Capisco che tu lo conosca appena e che per te ci siano cose più importanti al momento, quindi non ti sto dicendo di uscirci subito, però credo che se un ragazzo si dà la pena di comprarti dei fiori per lo meno meriti un occasione.» Abbassai lo sguardo, assimilando le sue parole e cercando di comprendere il tutto. «Tesoro, non chiudere il tuo cuore… So che non è facile, purtroppo ci saranno sempre persone che resteranno e che se andranno, ma se non li lasci neppure entrare, non scoprirai mai il posto che essi potrebbero occupare nella tua vita.»
«Ho paura, Ji eun…» confessai per la prima volta a qualcuno. Tremavo al solo pensiero di cosa tutto questo potese comportare nella mia vita. Quale cambiamento ne sarebbe scaturito.
«Chi non ne ha? Pensi che per me sia facile? Il mio ragazzo passa più tempo all’estero che al mio fianco, ma lo amo più di ogni altra cosa.» mi accarezzò la mano, stringendomi le dita. «Pensaci, va bene?»
«Lo farò, promesso.»

                                ***

Quando arrivai al lavoro quel pomeriggio ero così stanca da non riuscire a tenere gli occhi aperti.
«Ciao nonna!» le baciai le guancie; la sua pelle calda e ormai segnata dall'età aveva un ottimo profumo di muschio.
«Ciao tesoro, come stai? Sei pallida e hai le mani fredde. Non avrai la febbre?» strinse le mie mani fra le sue poi posò le labbra sulla mia fronte per sentirne la temperatura.
«No nonna, sono solo stanca e assonnata. Ultimamente seguire le lezioni è diventato spossante.»
«Mi dispiace tanto, tesoro. Facciamo che da domani ti lascerò qualche giorno di riposo e potrai tornare a lavoro quando ti sentirai meglio, d'accordo?»
Scossi la testa, negando. «No, no non preoccuparti. C'è moltissimo da fare e da sola non ce la farai, nonna.»
«Oh ma per qualche giorno saprò cavarmela benissimo, tranquilla! La tua vecchia nonna è ancora in forma smagliante!» scherzó sorridendo, e io risi con lei, abbracciandola.
«Va bene, grazie nonna. Ora sarà meglio che vada tu a riposare, sei qui da questa mattina.»
«Vado, vado! Prima però devo darti una cosa.» Andò sul retro, tornando poi con una busta di carta da cui estrasse qualcosa. «È passato un ragazzo prima e ha lasciato questo per te. Sembrava davvero un bel giovanotto!»
«Nonna!» Risi, sentendo le guance andare a fuoco per l'imbarazzo.
Più tardi rimasta sola, fissai i quattro bicchieri di carta con lo stemma di Starbucks ancora caldi e sentii il forte odore di caffè pervadere il negozio.
Accanto al porta bicchieri c'era un biglietto.

Ieri non sono riuscito a vederti.
Questo è per scusarmi.
Spero ti piaccia il caffè.
                                                  - J

Chiaramente non conosceva i miei gusti, quindi si era basato sulle scelte più comuni. Caffè nero semplice, Americano con ghiaccio, Caffè con latte di soia e infine Cappuccino.
Almeno con uno su quattro ci era andato vicino. Mancava la panna, ma in quel momento mi sarei accontentata di qualunque sua scelta.
Tracannai la metà del suo contenuto nei primi dieci minuti di lavoro, impedendo così ai miei occhi di chiudersi e lasciare che mi addormentassi sul quel bel divanetto fiorito sul retro del locale dove solitamente la nonna trascorreva in relax la pausa pranzo.
Per fortuna poi il lavoro mi tenne impegnata quasi fino a ora di chiusura. Con l’arrivo dei nuovi ordini c’era molto da sistemare, e non volevo lasciare il lavoro pesante tutto a mia nonna. Faceva già abbastanza stando dietro al resto.
L’ultimo cliente della giornata arrivò a pochi minuti dalla fine del mio turno.
Il solito scampanellio che precedeva il loro ingresso raggiunse le mie orecchie.
«Ciao Hyejin.»
Oh no. Quella voce. Quella che tanto avrei voluto sentire il giorno precedente.
Ingoiai il nodo che mi si era formato in gola al suono della sua voce e mi voltai a fronteggiarlo.
«Ciao. Che ci fai qui?» domandai cercando di apparire normale, e non imbarazzata quanto in realtà ero.
«Volevo rivederti.» con le mani nelle tasche fece spallucce, nascondendo però un timido sorriso. «Spero ti sia piaciuto il caffè e…» fece una pausa, abbassando lo sguardo mentre stringeva il labbro inferiore fra i denti. Questa doveva essere una sua caratteristica, lo faceva più spesso di quanto sembrasse. Una delle poche cose che avevo notato dopo il nostro primo incontro. «… i fiori.» continuò, rialzando i suoi occhi castani su di me.
«Si, anche se non capisco…» dissi, ancora incredula dell’accaduto.
«Cosa non capisci?»
«Perché tutto questo… Insomma, ci conosciamo appena.» Sfilai la matita dai capelli, giocherellandoci nervosa.
Senza che neppure me ne accorgessi, lui aveva raggiunto il bancone e si trovava a pochi centimetri da me.
Trattenni il respiro, paralizzandomi, quando allungò la mano verso il mio viso e con il pollice mi sfiorò la pelle appena sotto l’occhio sinistro e una ventata del suo profumo si espande attorno a noi come una piccola nuvoletta di fumo invisibile. «Brillantini.»
«Cosa?» replicai ancora stordita da lui, e dalla sua imponenza.
«Avevi qualche brillantino sul viso.»
«Oh.» Certo, i brillantini. Erano ovunque sul pavimento a causa delle ceste di fiori a cui avevo lavorato qualche ora prima. «Grazie. Sei gentile.»
Le sue fossette - così perfette da sembrare plasmate dal migliore degli artisti cinquecenteschi – fecero capolino quando il suo sorriso si allargò.
«Comunque, mi dispiace se ti sono sembrato inadeguato o se ti ho fatta sentire a disagio. Non era mia intenzione, sul serio.» in quel preciso istante diventò teso, come se fosse lui quello a sentirsi a disagio.
«No, ascolta. Non è così, cioè si, ma è stato un gesto carino. Solo che io non ti conosco, e nessuno aveva mai fatto una cosa simile per… me.»
Mi guardò, con un intensità tale da far rabbrividire ogni mio singolo centimetro di pelle. Le sue lunghe dita si avvicinarono ancora una volta al mio viso, sistemando una ciocca di capelli ribelli dietro l’orecchio. «Beh, forse era arrivato il momento che qualcuno lo facesse.»





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