Capitolo 8

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L’orologio da parete appeso in salotto segnava dieci minuti alle otto.

Ogni singolo rintocco di quelle lancette mi faceva bloccare il respiro in gola.

Ero tesa, ogni singolo muscolo era rigido e contratto quanto una corda di violino. Neppure uno dei miracolosi infusi di mia nonna aveva sortito l’effetto desiderato e ora mi ritrovavo in preda ad una crisi nervosa senza precedenti.

Secondo Ji eun non avrei dovuto essere così nervosa. Era la prima volta che uscivo con qualcuno, a differenza sua e di tutte le mie precedenti amicizie ma diceva che non era necessario agitarsi tanto.
Se si era spinto fino a questo punto significava che gli piacevo davvero. Non avrei dovuto indossare alcuna maschera, se non quella della vera me.

La ragazza timida che lavorava in un negozio di fiori e a cui piaceva nascondersi dietro un libro.

Quella sera però non ci sarebbe stato alcun libro a nascondermi, così come non ci sarebbe stato nessuno a raccogliere i cocci se le cose fossero andate come nel peggior scenario che avessi potuto immaginare.

Nonostante i miei timori, le avevo promesso che ci avrei provato. Mi sarei goduta la serata qualunque fosse stato il risvolto inatteso alla fine di essa.

Alle otto precise mi arrivò un messaggio sul cellulare.

Chiusi gli occhi, prendendo un respiro profondo e spronai la mia mente ad accettare di compiere finalmente un passo in più verso una migliore versione di me stessa.

Afferrai la piccola borsa a tracolla nera, l’unica che possedevo, e mi avviai verso l’ascensore.
Allo specchio controllai il mio riflesso, sperando fosse tutto al suo posto. Nervosamente stiracchiai alcune pieghe sul vestitino rosso e sistemai i capelli davanti alle spalle.
Ji eun aveva insistito perché optassi per una capigliatura mossa, quindi ora i miei lunghi capelli scuri erano arricciati in morbide onde.

Quando uscii dal portone principale lo trovai proprio lì, di fronte a me. Con i suoi capelli mossi e l’espressione concentrata – la bocca arricciata, le sopracciglia aggrottate, - se ne stava appoggiato allo sportello anteriore della sua auto.

Quella sera, il suo solito look casual sembrava aver lasciato il posto a uno splendido abito nero da uomo, di cui indossava solo la parte sottostante. Sopra di essa la camicia bianca con i primi bottoni slacciati, da cui traspariva ancora una volta la forma massiccia che vi nascondeva al di sotto.

Le scarpe nere lucide sfregarono sull’asfalto scuro e scrostato nel momento in cui si mosse e alzò lo sguardo ad incrociare il mio.

«Hyejin…» i suoi occhi sorsero lungo la mia figura prima di tornare sul mio viso. «Sei stupenda.»

Strinsi le labbra fra di loro, cercando di mascherare l’imbarazzo. «Grazie, sei gentile.» Il sorriso di poco fa, si allargò fino a mostrare la tenera fossette sulla guancia, la quale al momento stonava con l’abbigliamento che indossava.

«Sono felice tu abbia deciso di presentarti stasera. Ammetto che avevo paura mi dessi buca all’ultimo minuto.»

«Be, l’idea era questa ma qualcuno mi ha convinta. E poi ho qualche dubbio sul fatto che qualche ragazza possa mai darti buca.» feci spallucce, raggiungendolo.

«Mmh, direi che tu non mi conosca abbastanza. Forse suonerà un po’ narcisista ma, nonostante il mio aspetto, sono piuttosto timido quando si tratta di conquistare il cuore di una ragazza.»

«Sarà, ma non ne sono molto convinta.» ammiccai, salendo al posto del passeggero e aspettando chiudesse la portiera.

Salì dall’altro lato. «Te ne renderai conto presto.» rise, e quella voce roca ma calda allo stesso tempo, fu come un pugno alla bocca della stomaco.

«Va bene.» annuii, allacciando la cintura. «Si può almeno sapere dove siamo diretti?»

«Ehm… no. È una sorpresa.» si morse le labbra. Lo sguardo concentrato sulla strada al di là del parabrezza.

«Devi sapere che non mi piacciono le sorprese. E questa cosa mi spaventa. Se volessi rapirmi?» dissi, fingendo i un espressione seria.

«Sei seria? Ti appena detto di essere un ragazzo timido. Ti sembro un serial killer?»

«Non saprei, di solito le persone più introverse sono quelle più pericolose.»

«Ah-ah divertente!»

Il tragitto non durò molto a lungo. Raggiugemmo un piccolo distretto nelle vicinanze di Gangnam, e la sua auto posteggiò proprio di fronte a un ristorante, il Kamong.

Dall’esterno parve un locale alquanto rinomato. Enormi vetrate circondavano tutto l’edificio, illuminato solo da qualche luce sospesa sui tavoli.

Una volta scesi mi guidò su per una lunga scalinata, la quale immaginai portasse all’ingresso. Nel tragitto, fianco a fianco, il dorso delle nostre mani si sfiorava leggermente.

«Sembra chiuso. Sicuro di voler cenare qui?» chiesi, notando l’assenza di clientela e i pochi tavoli apparecchiati.

«Si, non preoccuparti. Questo posto appartiene alle mie sorelle maggiori. Ci hanno riservato un tavolo.» rispose aprendo l’enorme porta di vetro e facendomi segno di entrare per prima. Arrossì, cercando di nascondere il viso dietro i capelli lunghi, e lo ringraziai quasi in un sussurro.

«Hey Noona!» Una ragazza dai lineamenti molto simili a quelli del fratello si avvicinò sorridente. Si notava la differenza di età, ma nonostante questo anche lei era una bellissima giovane donna.
Si inchinò prima di presentarsi a me.

«Ciao! Sono JungHa, è un piacere conoscerti!» Le sorrisi, ricambiano il saluto. «Il vostro tavolo è laggiù. Io ora devo lasciarvi, i bimbi mi aspettano a casa. Ci penserà Seoyeon a voi.»

Abbracciò il fratello e ci lasciò alla cameriera, la quale ci accompagnò al tavolo.

Jongin mi scostò la sedia e per l’ennesima volta in quella serata mi ritrovai ad arrossire.

Il suo comportamento gentile e premuroso non aiutava di certo il mio cuore a non farsi imbarazzanti aspettative romantiche.

«Ma ci siamo solo noi?» domandai guardandomi attorno.

«Si, di solito questo è il giorno di chiusura, ma ho chiesto un favore a mia sorella.»

«Perché? Potevamo andare in qualsiasi altro ristorante. Seoul è piuttosto grande.» afferma, infine, curiosa.

«Lo so, ma ci tenevo a portarti qui.» sorrise e prese i menù dalle mani della cameriera, avvicinatasi proprio in quel momento. Chiese cosa volemmo da bere e Jongin mi guardò.

«Berresti del vino?»

«Ho un livello di tolleranza alcolica piuttosto basso ma immagino che un bicchiere di vino non mi farà male.»

«Perfetto. Allora ci porti una bottiglia di vino bianco, grazie.»

La bottiglia che ci venne consegnata aveva un aspetto piuttosto costoso, così come i lucidi calici di cristallo sul tavolo.
Il ragazzo di fronte a me, ne versò due dita nel mio bicchiere e fece lo stesso con il suo.
Avvicinai il calice alla labbra sorseggiandone un piccolo goccio. Le bollicine leggere mi pizzicarono la lingua ma il sapore dolce del vino risultava tutto sommato abbastanza gradevole.

«Ti piace?»

Posai il bicchiere, passando la lingua sulle labbra per toglierne i residui. «Si, non è male.»

«Visto? Dovresti fidarti più spesso di me, Hyejin!»

«Per potermi fidare dovresti avermene data occasione, ma ancora non l’hai fatto. Fidarmi del tuo gusto sugli alcolici non è sufficiente, purtroppo.»

«E cosa lo sarebbe?» inclinò il viso di lato, sorridendo.

«Mmh magari, attenuare la mia curiosità e smetterla di evitare le mie domande. Sai non so come funzioni per te, ma per quanto mi riguarda, per conoscere una persona si parla, ci si fanno domande…Non credi?» continuò a fissarmi imperterrito, senza dire una parola. «Inoltre se non ricordo male, avevi fatto una promessa.»

Sospirò, e sembrò rifletterci su. «D’accordo, però si fa come dico io. Io rispondo alle tue domande, tu rispondi alle mie. Se la cosa fosse unilaterale sembrerebbe un interrogatorio, non due persone che cercano di conoscersi.»

«Va bene, è giusto. Ma inizio io.»

«Okay. La prima?» si rilassò contro lo schienale della sedia, in attesa.

«Quanti anni hai?» iniziai con una domanda facile, che però riecheggiava nella mia mente da un po’.

«24.»

«Sul serio?» domandai incredula. Lui annuì semplicemente. «Quindi abbiamo la stessa età.»

«Si. Tocca a me. Mi hai detto che sei all’ultimo anno di Architettura…» si fermò esitante, aspettando che annuissi. «perché proprio questo?»

Ci riflettei un istante prima di rispondere. «In realtà non saprei… Fin da bambina ho sempre avuto questa passione sfrenata per l’arte, l’architettura, la fotografia – qualunque cosa riguardasse questo campo -. Ho sempre pensato sarebbe stata la mia strada, non ho mai pensato a nulla di diverso da questo.»

«E il negozio di tua nonna?»

«Quello inizialmente doveva essere soltanto un modo per pagarmi gli studi ma credo che a forza di trascorrere il mio tempo lì, abbia iniziato a piacermi sul serio. E per questo stavo pensando a un master in progettazione d’esterni, una volta finito tutto.»

La sua espressione sembrava sorpresa e meravigliata allo stesso tempo.
«Comunque era il mio turno!» dissi sorridendogli, posando poi il mento sul palmo della mano.

Rise. «Spara!»

«A proposito di fiori… Ti piacciono così tanto da aver comprato tutto ciò che era in negozio?»

«No, mi piaci tu però.»









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