Shamsia Hassani

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Shamsia Hassani è la prima graffitista afghana, che, attraverso la street art, si è fatta portavoce dei diritti delle donne.

Nata in Iran da rifugiati afghani originari del Kandahar, torna a Kabul per studiare arte. Il suo nome significa Sole, ed è essa stessa portatrice di speranza e rinascita, come il messaggio che vuole trasmettere con le sue opere.

Ispirata dall’artista inglese, Wayne Chu Edwards, si innamora delle bombolette per l’immediatezza visiva, necessaria in un paese dilaniato dagli attacchi e senza possibilità economiche.

Ma sono le provocazioni e denunce del celebre Bansky, che le indicheranno davvero il percorso artistico.

La street art è l’ancora di salvezza, i muri sono visibili gratuitamente da tutti, in modo diretto ed immediato

Il punto di contatto con gli artisti europei emerge forte nei suoi lavori, portando la malinconia di un mondo senza voce.

Significativa la sua donna in burqa seduta sui reali gradini di un’abitazione diroccata.

E’ l’incertezza femminile odierna, nell’esitazione e nella totale restrizione: non sa se riuscirà a salire recuperando una posizione più dignitosa all’interno della società, o se resterà per sempre relegata nel sottoscala.

Shamsia alterna la denuncia alla poesia, riempiendo le mura di miraggi e sogni rivoluzionari. 

E’ una delle fondatrici di Berang Arts Organization (organizzazione che promuove la cultura e l’arte in Afghanistan), e docente di scultura presso la Facoltà di Belle Arti di Kabul.

Secondo i dati ufficiali, l’Afghanistan è uno dei paesi più poveri del mondo.

Dei suoi 35 milioni di abitanti (stima del 2017) solo il 15% delle donne sa leggere e scrivere.

Le donne sono ancora proprietà degli uomini, servono principalmente a tenere in ordine la casa, a procreare, ad obbedire e tacere.

Le sue opere rompono l’approccio iconoclasta dell’arte islamica: le figure femminili che dipinge, anche se avvolte nel tradizionale chador, destabilizzano la sensibilità patriarcale.

Shamsia parla di altre città, di libertà e muri abbattuti, strade volanti. Sagome quasi cartoon, spiriti fluttuanti che emergono tra le macerie.

Hanno i contorni netti e spigolosi, sotto il burqa o l’hijab vi sono persone reali che però non hanno nemmeno il segno della bocca. Armate di strumenti musicali, una chitarra o il pianoforte, con tutta la dirompente energia di un concerto rock.

L’azzurro è il colore che spesso si alterna al nero del burqa, e volutamente deve trasformarsi nel colore della libertà.

Linee curve e arricciolate, onde del mare e del vento, emblema di parole non dette, ingoiate, taciute.

Ritrae un essere umano orgoglioso, con obiettivi e determinazione, che può apportare cambiamenti positivi.

In un’altalena di sentimenti, le sue donne mostrano lacrime, sbarre, ma anche vitalità e rinascita.

L’arte è così al servizio del suo popolo, per il riconoscimento dell’importanza del ruolo della donna nella società civile e nelle istituzioni, ma anche per i valori della pace, di solidarietà e di libera espressione della creatività nel mondo.

E’ lo strumento per raccontare la storia della sua popolazione, rompere il silenzio, dissolvere il buio.

Shamsia crea immagini titaniche nel loro sforzo di presentarsi, farsi riconoscere e accettare. Sono dei giganti che sovrastano la città, elevano in alto fin sulle nuvole il popolo femminile che è stato rimpicciolito, confinato, schiacciato.



Alcuni dei suoi più noti graffiti😍❤️:

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