Marta Vieira Da Silva

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Non tutte le bambine amano giocare con le Barbie. Addirittura alcune già fin dall’infanzia preferirebbero che Babbo Natale portasse loro una Nike Mercurial Vapor da affondare nel fango piuttosto che una Lelly Kelly con cui fare il salto della corda con le amichette al parco.

Insomma, alcune nascono con una passione ben precisa nella testa, una passione irrefrenabile ed impossibile da reprimere, meglio conosciuta come calcio.

Attaccante dell’Orlando Pride, club statunitense, bandiera e capitano del Brasile, Marta Vieira Da Silva rappresenta un vero modello di determinazione e tenacia, dentro e fuori dal rettangolo verde, non solo per la sua formidabile carriera, ma anche per la sua incredibile storia di vita. 

Nasce il 19 Febbraio del 1986 a Dois Riachos, un paesino di 12.000 abitanti a 180 chilometri da Maceiò.

Il padre abbandona la famiglia quando lei ha solo un anno. Cresce così insieme ai suoi tre fratelli sotto le premurose cure della nonna Elvira, della zia Nilda e, ovviamente, della mamma, Dona Tereza, che deve mantenere quattro figli con un salario da portinaia.

Non è sicuramente una situazione facile. All’età di 7 anni però ha già il pallone tra i piedi e dimostra fin da subito un talento eccezionale, oltre che una divampante ostinazione, che da lì in poi l’avrebbe portata lontano.

Dopo aver militato in qualche squadretta locale, finalmente arriva la grande occasione. Nel 2000 infatti, ad appena 14 anni, viene notata da Helena Pacheco, una famosa allenatrice brasiliana, ed ottiene un contratto con il Vasco da Gama femminile, che la lancia di fatto nel calcio professionistico.

Il resto è la cronaca di un successo in totale ascesa.

Nonostante non sia ancora riuscita a conquistare un Mondiale con la sua Nazionale, a livello individuale Marta è stata premiata per ben sei volte come Best FIFA Women’s Player (2006, 2007, 2008, 2009, 2010 e 2018).

Il messaggio che vuole trasmettere è quello che il calcio femminile possa un giorno acquisire la stessa credibilità e la stessa rilevanza di quello maschile.

Ad ulteriore testimonianza di ciò, ricordiamo il suo recente gesto nell’alzare la gamba davanti alle telecamere per mostrare lo scarpino con il logo rosa e blu dell’equal pay (il simbolo dell’uguaglianza salariale fra uomo e donna).

“Non c’è ancora una grande attenzione verso il calcio femminile, anche in Brasile, o almeno non quanto vorrei. Quando ero bambina sentivo dire agli uomini che questo non è uno sport da donne. Ora qualcosa è cambiato, lo sento dire già molto di meno. Il mio più grande sogno? Sicuramente vincere il titolo mondiale con la mia Nazionale”.

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