- racconto del passato - (terza parte)

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Camminavamo ormai da due ore, ma ero abituato a viaggi del genere; per raggiungere i territori di nessuno, dove avvenivano gli scontri coi draghi, spesso ci volevano tre o più giorni per arrivare al punto prestabilito. Se solo ci fossero incantesimi in grado di far volare, sarebbe molta fatica in meno sprecata. Un tempo condussi uno studio sul volo dei draghi. In uno scontro riuscimmo a mettere in fuga la fazione nemica, ma quando la nuvola di polvere rossastra, alzata dalle loro ali iniziò a dissiparsi, vidi un drago, dalla razza ancora sconosciuta, abbandonato al suolo stramazzante di dolore. Lo raggiunsi a passo lento, più mi avvicinavo più il suo respiro accelerava: era impaurito, ma non riusciva a fuggire. Lo squadrai scrutandolo fin nell'anima. Era di piccole dimensioni e la coda mozzata gli impediva di scappare, per via di una grave emorragia. Sapendo che sarebbe morto comunque, gli tarpai le ali, anche se non fu semplice per via degli spasmi e le grida soffocate di terrore e sofferenza. Comunque riuscii a mozzargliele, di certo non grazie alla sua collaborazione e ripartii col bottino. Appuntai tutte le informazioni ricavate sul mio taccuino, per poi scoprire fosse inutile e che per via della nostra fisionomia, sarebbe stato impossibile volare.

Alzai lo sguardo dimenticando quell'inutile ricordo e focalizzandomi sul tempo atmosferico. Un cielo nero, ricoperto di nuvole, nascondeva la luna incapace di illuminare la distesa; solo poche torce infuocate facevano luce, combattendo contro il vento notturno. Sfilai dalla cinta in vita una mappa per controllare se stessimo marciando nella giusta direzione; la controllai attentamente e riponendola, comandai alla mia scorta che dopo aver raggiunto quella sporgenza all'orizzonte, avremmo dovuto fare una deviazione verso est.
Camminando vari pensieri si insidiavano nella mia mente, per deviare la noia. Ripercorsi mentalmente le vicende del giorno scorso e mi soffermai sull'arrivo di quel bambino. Non sapevo cosa pensare, era letteralmente sbucato fuori dal nulla. Non era mai successo in secoli di battaglie, almeno sotto il mio comando. Il solo pensiero mi fece rabbrividire; con quei suoi occhi color del fango sapeva stregarti, farti perdere le forze. Renderti innocuo. La sensazione che provai fu indescrivibile, come se d'un tratto fossi sotto il suo controllo. Un demone, ecco quello che era. Le sue abilità potrebbero tornarci utili in battaglia, ma di certo non escludo di ucciderlo se diventasse ostile nei nostri confronti. Era una faccenda molto delicata, la svolta per vincere o cadere nella sconfitta. Ma per ora era troppo presto per fare qualsiasi considerazione.

Nel mentre cercavo di evitare l'umiliazione pubblica subita due giorni fa, una luce fulminea si scorse tra i neri cumuli. Annusai l'aria, non c'era odore di tempesta eppure... Mi fermai di scatto, guizzando lo sguardo da una parte all'altra del cielo:
"Silenzio" ordinai, quasi bisbigliando. I bagliori aumentarono, ma i tuoni non si sentivano. Un lampo lo tradì, scorsi la sua figura serpentiforme:
"Drago del fulmine. Davanti a noi. Non vi muovete". Sibilai.
Con un incantesimo sottovoce invocai un'arma. Una nebbia nera si fece strada tra le fessure delle mie mani, rivelando un arco di cristallo viola e una freccia dalla punta nera. La tensione era sempre più alta; un solo rumore e ci avrebbe riconosciuti. Volava alto, per questo non aveva ancora individuato il nostro odore. Con maestria e precisione alzai l'arco al cielo; puntando quell'unica freccia avvelenata verso le nuvole. Si muoveva sinuoso, sembrava disperso; senza più una meta. Sperduto. Una preda fin troppo semplice.
Chiusi un occhio.
Presi la mira.
Scoccai la freccia.
Fendè l'aria con un sibilo acuto,
Non ebbe neanche il tempo di capire cosa l'avesse colpito che si ritrovò precipitare, schiantandosi al suolo con un urlo e un tonfo sordo. Il cielo tornò scuro come pece.

Ci accampammo ai piedi della sporgenza rocciosa e prima di proseguire verso est, banchettammo. accendemmo un fuoco provvisorio e la carne di drago fu servita. Mangiammo in abbondanza mentre si chiacchierava del più e del meno. Ero comunque il comandante della spedizione, nonché capo dell'avamposto in cui vivevano, ma sicuramente un po' di compagnia non ha mai fatto male. Come guardie speciali, nonché scorta del capo tribù, mi avevano giurato fedeltà eterna e assoluta ubbidienza, ciononostante non era vietato scherzare con gli inferiori. In tutto la mia scorta era composta da quattro guerrieri speciali, scelti tra i migliori nell'ambito del combattimento e delle arti magiche. Era un piacere passare del tempo in compagnia di oni che non siano sudditi. Dopo esserci rifocillati, squartammo il ventre dell'animale per prendere la carne migliore e più grassosa che conservammo insieme agli altri viveri per il giorno dopo.

L'indomani una calura imprevista ci colse impreparati e quindi proseguimmo lentamente ritardando la tabella di marcia. Dopo circa  tre ore di cammino la piana rocciosa iniziò a ricoprirsi di granelli di sabbia ramati. Varcammo i confini del deserto di sangue, al centro dell'immensa distesa sabbiosa l'avamposto di Ekdikisi si estendeva in tutta la sua imponenza. Eravamo a circa metà del nostro viaggio.
Affondavo i piedi nella sabbia sunguignia, mentre ansimavo nel caldo torrido e opprimente. All'improvviso scorsi qualcosa; finalmente eravamo arrivati alla fortezza e, stranamente, anche in anticipo. Misi una mano sulla fronte per focalizzare meglio la vista sull'orizzonte sfocato e una temibile verità mi colse in pieno. Un forte vento iniziò a ruggire portando con sé sabbia graffiante. Quella che vedevo non era una fortezza, ma un'enorme nuvola di sabbia scarlatta:
"TEMPESTA DI SABBIA, DI FRONTE A NOI, A RIPARO!"
Urlai alle mie guardie, che subito intercettarono una roccia che ci fece da scudo. Qui le tempeste di sabbia durano poco ma sono molto potenti, se non te ne accorgi subito finisci morto sotterrato, per questo e per il colore peculiare del terreno, si chiama così.
Dopo l'ennesimo imprevisto ci fermammo per pranzare con i resti del drago. Per fortuna non erano andati a male per via del caldo. Tutti questi ritardi non facevano altro che alimentare la mia rabbia che avrei sfogato contro Sigma. Ogni volta che ripensavo a ciò che mi aveva detto, mi sentivo ribollire il sangue nelle vene e tutta la mia diplomazia svaniva in favore del desiderio di vendetta nei suoi confronti. Finalmente, dopo secoli capirà e si dovrà inchinare davanti alla mia superiorità. Nel corso dei decenni me ne ha fatti di torti, ma questo non posso proprio tollerarlo. Come si permette di venire nel mio territorio e insultarmi davanti alla mia gente. No; questa fu la fatidica goccia che fece traboccare il vaso; stavolta sarà diverso.
Stavolta

Avrò la mia vendetta.

- CRONACHE DEL RAGAZZO SENZA NOME - a Ninjago's fanfictionWhere stories live. Discover now