Capitolo dieci

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Shinsou's pov

Due giorni dopo che i miei amici partirono per il ritiro nei boschi, Kaminari compì sedici anni. Non avevo avuto il tempo di comprargli nessun regalo, quindi decisi di approfittare della loro temporanea assenza per prendergli qualcosa di carino. Essendo abbastanza indeciso, feci un gruppo su WhatsApp con Ashido, Sero e Kirishima.

La prima a rispondere fu la ragazza, che propose di fargli un regalo stupido e di regalargli un "minigolf da cesso". Non sapevo cosa fosse, ma solo dal nome si capiva che Kaminari, almeno per come lo conoscevano loro, l'avrebbe adorato. Kirishima, poco dopo, disse che lui e Bakugo gli avevano già preso un set di occhiali da sole in stile thug life. Per ultimo, Sero disse di volergli comprare una pokeball per metterci dentro una sua foto e andare in giro affermando di aver catturato Pikachu.

Erano tutti regali che sicuramente avrebbe in qualche modo apprezzato, ma io avrei preferito comprargli qualcosa di più serio od utile. Sebbene non avesse mai voluto parlarmene da lucido, e io non avessi mai specificato di esserne a conoscenza, sapevo che Denki usava tutte quelle stupidaggini per far finta di star bene. Contruburire ad ampliare quell'illusione era l'ultima tra le mie intenzioni. Quando chiesi se mi sapessero consigliare un regalo meno scherzoso, sul gruppo scrissero di non avere grandi idee.

Tuttavia, una decina di minuti dopo, Ashido mi chiamò.
–Pronto?
–Ciao Shinsou!– disse lei con voce allegra. –Non ho molto tempo per stare al telefono, quindi facciamo in fretta.
–Ehm... okay? Dimmi– risposi. Sentii un rumore di acqua corrente dall'altro lato del ricevitore, quindi intuii che si fosse chiusa in bagno apposta per parlarmi.
–Ho un'idea per un regalo che Kaminari apprezzerà di certo– continuò con malizia. –Chiedigli di uscire una sera a cena, quando torniamo dal ritiro.
–Uscire?!– Troppo diretta, non me l'aspettavo. –In che senso?
–Uscire nel senso di uscire! Tu e lui, da soli, da qualche parte...– spiegò; se l'avessi potuta vedere in faccia avrei scommesso che i suoi occhi sarebbero stati a forma di cuoricino o di stellina. –Gli farebbe tantissimo piacere.
–Ne sei certa?– chiesi. –Come fai a dirlo?
–Tranqui, ho le mie fonti.
–Come lo sai? Te l'ha detto lui?– insistetti.
–Fidati di me e basta. Fai troppe domande, amico... rilassati.
Acconsentii e lasciai cadere l'argomento. La curiosità non mancava, ma dubitavo che sarei riuscito a farla parlare.

–Dove dovrei portarlo?– chiesi. Se dovevo fidarmi di lei, volevo almeno che mi dicesse quante più cose possibili. Supposi che ne avesse già parlato con Denki, o che quantomeno, dato che lo conosceva più di me, avesse le idee più chiare.
–Ultimamente lo vedo più spento, o forse è stanco– mi confidò, e non potei far altro che concordare. –Portalo in un posto dove si possa rilassare. Fallo distrarre, ecco.
–In sala giochi va bene? Poco tempo fa ne hanno aperta una non troppo lontana da casa mia.
–Non so, che ne dici di un posto più tranquillo?
–Al ristorante cinese di cui parlano tutti?
–Sì dai, dotrebbe andare, come dovrei andare io.
–Eh?
–Ciau– disse, e riagganciò prima ancora che potessi ribattere. Sentii la voce di qualcun'altro, ma non ci capii niente.

Dato che però mi dispiaceva l'idea di non regalargli niente di materiale, decisi comunque di uscire e cercargli un pensierino. Presi la bici, andai al centro commerciale e iniziai a passeggiare per i negozi in cerca di qualcosa di utile. Alla fine optai per un paio di cuffie che per la loro colorazione gialla e nera a Denki sarebbero state d'incanto.

Già me lo immaginavo seduto alla sua scrivania, ascoltando qualcosa dalle cuffie mentre si faceva una canna. Avrebbe assunto un'aria davvero particolare, avvolto da quell'alone di fumo, un po' come se fosse il cantante alternativo di turno intento a scrivere un nuovo pezzo. "Sarebbe fighissimo" pensai, senza neanche rendermene conto. Con questo ovviamente non sto dicendo che sia figo drogarsi, o almeno non voglio che voi lettori la interpretiate così.

Quando tornai a casa, trovai mia madre sul divano. Fumava una sigaretta e guardava una telenovela spagnola in televisione.
–Dove sei stato?– chiese, senza nemmeno staccare gli occhi dallo schermo.
–A comprare un regalo.
–Per?– Come sempre, aveva un tono freddo e distaccato.
–Cazzi miei.

Tossì apposta, e capii di aver fatta arrabbiare.
–Un amico che fa il compleanno– risposi evasivamente. Non volevo che si impicciasse, se avessi potuto evitarlo.
–Da quando hai amici, tu?
Strinsi i denti. –L'ho conosciuto al torneo.
–E come si chiama, questo qua?
Non risposi.
–Allora, come si chiama?– il tono si fece più iracondo. –Rispondimi, coso inutile.
–Kaminari Denki– le parole mi uscirono a forza da sole. La strega mi aveva costretto a rispondere usando il quirk. Che bastarda..!
–Ah, quel biondino che ha perso contro la ragazza con i capelli fatti di rovi– Con aria di sufficienza, si voltò e mi squadrò da testa ai piedi. –Suppongo che tra perdenti si vada d'accordo, dopotutto.

Strinsi anche i pugni, così forte da lasciarmi dei segni rossi sui palmi delle mani. –Passi per me, ma non ti permettere di parlare così di Kaminari– risposi a voce alta. –Non lo conosci nemmeno!
–Abbassa i toni e porta rispetto a tua madre, deficiente.

Si alzò dal divano, mi disse di restare immobile e mi tirò uno schiaffo. –Non devi urlare. Hai capito?
–Sì.
–Quindi cosa non devi fare?
–Non devo...– cercai di oppormi, ma me ne tirò un altro più forte del precedente.
–Urlare. Non devo urlare– conclusi rassegnato, con un filo di voce. Muovere le guance faceva male, non potevo parlare più forte.
–Fila in camera tua!– indicò violentemente la porta per uscire dal soggiorno, lo sguardo indemoniato.

I miei piedi si mossero da soli, su per le scale, fino alla mia stanza da letto. Contemporaneamente, mio padre entrò in salotto. Disse qualcosa a mia madre, ma io non lo sentii. L'unica frase che compresi fu detta da lei. -Io quello lì non l'ho mai voluto!
Mio padre aggiunse qualcosa, alterato, ma ormai ero troppo lontano per sentirlo.

Tirai un sospiro di sollievo quando, appoggiato alla porta della mia stanza, l'effetto del quirk svanì. Riposi con cura il pacchetto incartato sulla scrivania, poi mi feci coraggio e mi guardai allo specchio. Avevo metà del volto completamente arrossato, ma passò in fretta. Ormai sia io che il mio corpo avevamo fatto l'abitudine a colpi e ferite ben peggiori.

Quella donna aveva iniziato a fare così da circa tre anni e mezzo o forse addirittura quattro, e negli ultimi tempi stava andando a peggiorare. Come se già non bastasse, sembrava quasi averci preso gusto a farmi soffrire. La detestavo con tutto me stesso, ma essendo comunque mia madre non potevo contraddirla.

Le sue ultime parole continuarono a rimbalzarmi per la testa a lungo; non riuscivo proprio a cacciarle fuori o a pensare ad altro. Nemmeno ripensare a Kaminari riuscì a distrarmi. Con la mente, tornavo sempre lì. Sotto tantissimi punti di vista, anche io avrei preferito non essere mai nato.

Quella sera, pur di non dover rivedere il volto di quella donna, decisi di non scendere per la cena. Verso le undici, tuttavia, mio padre bussò alla porta con un vassoio in mano.
–Ehi Hitoshi– entrò in camera, e lo lasciò sulla scrivania. Sopra c'erano un paio di piattini pieno di riso, verdure, uova e una bottiglia d'acqua. –Ti ho portato la cena.
Non lo guardai neanche in faccia, ma lo ringraziai per il cibo. Prima di uscire, mi avvisò che mia madre si era addormentata e poi si chiuse silenziosamente la porta alle spalle.
Mangiai in fretta, poi portai i piatti in cucina ed andai a farmi una doccia.

Sotto il getto dell'acqua, sentii il solito pizzicore che da tre o quattro anni a questa parte era diventato consueto. Alcune ferite ancora ben aperte, risalenti alla settimana precedente, bruciavano sotto il getto dell'acqua.

–Dov'è?– sussurrai, cercando quell'oggetto che me le aveva procurate. Quando la vidi, nascosta dietro lo shampoo, provai un fortissimo desiderio di replicare quel certo gesto una volta ancora. Faceva male, era sbagliato, ma non riuscivo a farne a meno. Quella lama rappresentava per me ciò una sorta di liberazione, e non riuscivo più a separarmente. Inoltre, per quanto possa fare impressione o essere da manicomio, sentire il sangue colare lungo le gambe mi provocava un piacevole brivido in tutto il corpo.

Avvicinai la lama e applicai una leggera pressione sulla pelle per l'ennesima volta. Non ai polsi, troppo visibili, ma ai polpacci, che non avrebbero mai dato nell'occhio e che nessuno avrebbe mai pensato di controllare. E dove, infatti, per tanti anni, il mio segreto era rimasto protetto ed al sicuro.

E anche quella sera, in un mix malato di dolore, piacere e sollievo, l'acqua della doccia si tinse di cremisi.

The Void Behind Your Eyes‐ShinkamiWo Geschichten leben. Entdecke jetzt