capitolo 1: si è abbattuta una tempesta estiva su di me

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[ Piove - Le Larve;
nei media.]

❝ Luglio mi porta la nausea

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Luglio mi porta
la nausea.

[...]

L'Estate, prepotente come sempre, era già entrata dalla finestra semiaperta di quella camera disordinata ed aveva tirato giú dal letto le sue calde e ormai inadatte lenzuola di flanella.
Park Jimin odiava l'estate, in realtà non ne era mai stato un amante: preferiva le mezze stagioni ed apprezzava di gran lunga il vento freddo dell'inverno. Quel freddo che gli faceva spaccare l'angolo delle labbra e arrossire le punta delle dita e del naso. L'inverno era il suo periodo migliore, dove poteva restarsene tutto il giorno a casa senza badare a nessuno e senza dover inventarsi futili scuse ogni qualvolta gli proponessero di andare a fare un giro; era come se, in quei mesi, potesse essere completamente sé stesso e stare al riparo dal mondo esterno.
A dirla tutta, l'estate per lui si rivelava essere una delle peggiori stagioni dell'anno a causa di quel maligno mese di luglio, in cui gli accadevano gli eventi più spiacevoli di sempre: a sei anni gli morí Mr. Sparkle, il pesciolino rosso regalatogli da suo padre; a dieci anni fu costretto ad ingessarsi il braccio destro, dopo essere caduto dalla bici; a quindici anni fu tradito dal suo migliore amico del liceo e adesso, a ben ventidue anni, aveva finito per inaugurare il primo giorno del mese rompendo il vaso di cristallo in corridoio e vomitando sul tappeto nuovo del salotto, dopo aver fatto fuori l'intera bottiglia di Martini Rosso che nascondeva nel ripostiglio per le "emergenze".
Patetico, non è vero? Cercare di racchiudere le frustrazioni che si trascinava luglio con sé in un litro e mezzo di alchol e lacrime, solo per ridursi come uno stupido cliché del sabato sera.

«Hai intenzione di svegliarti o no?!» la voce dal tono alto del suo coinquilino lo risvegliò e solo in quel momento si rese conto che non era stata l'Estate ad avergli strappato le coperte di dosso.

Il ventunenne che lo stava fissando con sguardo infuriato era Kim Taehyung, un suo caro e vecchio amico con cui, da due anni, divideva un piccolo appartamento a Seoul, nei pressi di una stazione, dopo quella frettolosa decisione di andarsene dalla loro città natale per poter intraprendere gli studi universitari: Park aspirava a diventare un bravo drammaturgo e Kim bramava di diventare un regista geniale e rivoluzionario (peccato che i progetti venissero quasi tutti bocciati dal suo insegnante e presi di mira dalle pungenti battutine del suo compagno, ma i suoi erano solo lavori tristemente incompresi).

«Che vuoi? Ridammi le coperte, dai!» protestò con parole confuse colui che se ne stava con metà della faccia spiaccicata sul cuscino, ancora impregnato di saliva.

Teneva gli occhi offuscati e pesanti, incapaci di aprirsi del tutto e la testa, che pareva essere stretta da una corona di ferro, era troppo difficile da sorreggere. Egli ricevette come risposta solo uno sbuffo e un paio di pantaloni lanciati rabbiosamente sul muso. Taehyung si era messo a raccogliere le noccioline sparse sul pavimento e i fazzolettini stracciati agli angoli della stanza, per poi controllare se stesse ancora dormendo.

l'ingestibile sfortuna di park jiminWhere stories live. Discover now