capitolo 5: scusa per il disturbo

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[Cose che non dovrei dirti - 
Cicco Sanchez, nei media] 

❝ Ti spiace tenermi la giacca e il cuore in mano per qualche minuto? ❞

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Ti spiace tenermi la giacca e il cuore
in mano per qualche minuto?

[...]

Il respiro di Jungkook si era inspiegabilmente mozzato. 
La morsa nel suo stomaco era diventata più stretta, ma egli pensò che fosse semplicemente a causa delle braccia di Jimin cinte un po' troppo forte attorno a sé.

«Posso restare qui stasera?» le labbra del maggiore premevano contro il suo petto e le parole ne furoiuscivano ovattate. L'interpellato aveva annuito, con la bocca ancora spalancata e lo sguardo intontito.

Il biondo allora si staccò da quel caldo abbraccio e si tolse la giacca a vento fin troppo umida. Il suo sguardo era triste e smarrito, di certo non appartenente al solito Park Jimin che il più piccolo era solito ricordare. 

«Potresti tenermi la giacca? Non posso tenerla addosso in queste condizioni.» disse d'un tratto, porgendogliela. 

Il moro annuí nuovamente e fece come richiesto; le parole erano ancora ferme in gola, mentre la figura di Jimin avanzava lenta e sinuosa oltre la soglia di casa, verso l'unico luogo al mondo su cui stranamente voleva essere: il divano rosso di Jungkook.
Quest'ultimo non perse tempo a seguirlo nell'accogliente appartamento, dirigendosi nel cupo corridoio, alla ricerca di vestiti nuovi per il suo inaspettato ospite.

«Indossa questi.» Jungkook era ricomparso, qualche minuto dopo, dietro di lui silenziosamente, rischiando di spaventarlo «Finirai per prendere un raffreddore conciato così.»

Il maggiore annuì, guardò la felpa bianca e i pantaloncini neri che la mano del suo amico stava ora prostando sotto al suo naso, e li prese ringraziandolo. L'altro si sedette al suo fianco e sospirò, mentre i suoi occhi vagavano sugli abiti gocciolanti del ragazzo che aveva fatto irruzione nella sua casa in tarda serata. Jimin si fissò le punte delle scarpe sporche ancora di fango e incastrò tra i denti leggermente il labbro inferiore.

«Potresti per favore voltarti?» chiese in un sottile sussurro. Il suo sguardo era fermo sul pavimento e pareva imperturbabile. 

La naturalezza e la schiettezza di quelle parole si schiaffeggiarono sul volto di Jeon Jungkook che sobbalzò dal suo posto e, imbarazzato, si voltò senza farselo ripetere due volte.

«Oh, certo! Perdonami.» ridacchiò; le dita giocherellavano nervose dietro la sua schiena. Il rumore della cinghia lasciata cadere sul parquet di legno e dei vestiti sfilati velocemente gli fecero intuire i suoi movimenti.

Quella situazione lo metteva a disagio: sapere che dietro di sé c'era probabilmente un uomo mezzo nudo, lo faceva sentire in imbarazzo. Non perchè fosse un uomo, e forse nemmeno che fosse nudo, ma semplicemente perché si trattava di Park Jimin.
Quel nome, quel viso, erano stati il suo tormento da sempre.

l'ingestibile sfortuna di park jiminWhere stories live. Discover now