La visita ad Alcatraz è una delle cose che è assolutamente necessario fare a San Francisco. Ogni turista che si rispetti, ha sottolineato Melanie quando di buon mattino ha proposto di recarsi lì, deve ammirare la bellezza dell'isola e conoscerne le vicissitudini.
È risaputa la storia dell'isola come prigione di massima sicurezza, una fortezza inespugnabile da cui era impossibile fuggire. Meno noto è il fatto che alla fine degli anni '60 gli Indiani d'America occuparono l'isola, chiedendo che fosse dichiarata una loro riserva.
«Inizialmente l'opinione pubblica era dalla loro parte» spiega Melanie mentre l'imbarcazione ci trasporta verso l'isola, «poi ci fu un incendio che danneggiò il faro, il primo faro americano sulla costa continentale, provocando problemi alla navigazione, così il Governo tagliò acqua e luce costringendoli alla resa».
Le spiegazioni di Melanie hanno come sottofondo i rumori meccanici del motore e lo scalpitio delle onde che si infrangono contro la parete dell'imbarcazione. È un mare agitato, impervio, che rende impossibile la natazione e che a tratti si oppone persino alla navigazione. È selvaggio, indomabile, vuole proteggere il suo tesoro, la sua isola.
Il mare ha una sorta di innato istinto materno, respinge ciò che non gli appartiene per proteggere i suoi figli, farebbe di tutto per loro. È disposto a combattere, ad aggredire, a sopraffare chiunque si metta sul suo cammino. Il mare vince, sempre.
«You break the rules, you go to prison. You break the prison rules, you go to Alcatraz» sentenzia Benjamin quando finalmente poggiamo i piedi sulla terraferma.
«Alcatraz è considerata la prigione all'interno del sistema carcerario perché lì venivano spediti i detenuti dalle altre prigioni federali, ma nessuna giuria poteva condannare un imputato direttamente ad Alcatraz» si appresta a spiegare William, esplicando le parole di Ben.
La prima cosa che noto, guardandomi intorno, è il cartello "Indian Welcome" che ci accoglie, simbolo di quell'occupazione a cui Mel ha accennato. In secondo luogo, è palese il contrasto tra le mura di cinta della prigione, sbiadite e logore, e la vegetazione rigogliosa dell'isola. Le finestre arrugginite e scure fanno a pugni con le tonalità di verde che animano quel luogo, rendendolo suggestivo e bello. Non avrei mai pensato di definire "bello" il carcere di massima sicurezza più famoso del mondo, ma osservando i colori accesi dei fiorellini che spuntano nelle aiuole non mi viene in mente altro aggettivo per definire questo luogo.
«Notevole, eh?!» chiede retorico Ander, affiancandomi. Non mi ha più rivolto la parola da quando abbiamo lasciato casa, né più i suoi occhi hanno incontrato i miei. Probabilmente mi ha studiata di sottecchi, cercando di scorgere debolezze per poter vincere la sfida.
Mi limito ad annuire e seguire un allegro Sebastian che zampetta accanto al padre, la manina strettamente salda nella sua. Ho l'impressione che sia un discreto birichino, deve dare del filo da torcere a quei poveri genitori.
Una lunga salita rocciosa separa il molo dall'entrata della prigione. Ci avviamo con solerzia in quella direzione senza privarci di ammirare la magnifica vista che regala sulla baia di San Francisco. Stormi di uccelli volano in quota, animando il percorso con il loro cinguettio acuto e piacevole.
Dopo una manciata di minuti finalmente giungiamo in cima, col fiato corto e le gambe dolenti nel mio caso. Le lezioni con mia madre non mi hanno certo dotato di resistenza, neppure discreta. Tuttavia, quel panorama mozzafiato è in grado di soverchiare il fiato corto e convertire la fatica in ammirazione.
«Allora, che te ne pare?» domanda Penelope affiancandomi e riprendendo a respirare con regolarità. Io ho bisogno di qualche istante in più per riprendermi e poter rispondere.
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Anche se non voglio
Teen Fiction[Completa] Grazie a un programma di scambio internazionale, una ragazza originaria di una piccola isola europea si trasferisce negli Stati Uniti per un anno, lasciandosi alle spalle la sua vecchia vita. In una città che la accoglie meglio di quanto...