37.Me ne frego

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- ... È andata così... - mormorò Marinette, una volta che ebbe finalmente terminato il suo racconto. Aveva la gola secca e gli occhi lucidi per l'emozione, ma almeno poteva ritenersi soddisfatta di essere riuscita a formulare delle frasi di senso compiuto senza inciampare troppo sulle parole. Si sentiva terribilmente stanca, quasi sfinita, eppure in quel momento sapeva di aver fatto la cosa giusta a parlarne con qualcuno. Si era liberata di un peso enorme che le schiacciava il petto da non sapeva nemmeno lei quanto, ed era questo l'importante. Nonostante il respiro irregolare e la sua irrefrenabile voglia di piangere, nel giungere a quella consapevolezza le labbra della corvina non poterono trattenersi dal sorridere. Dopotutto, si disse, ripercorrere con la propria mente le tappe di quel momento così brutto della sua vita non faceva di certo lo stesso effetto di quando le aveva vissute. Infatti: "Il peggio ormai è passato" era solita ripetere a se stessa ogni volta che i brutti ricordi tornavano a tormentarla. - Io... Non posso credere che tu abbia dovuto affrontare tutto questo, Marinette... Mi dispiace davvero tanto... - se ne uscì d'un tratto Philippe, posandole una mano sulla spalla per darle un po' di conforto. Era sincero: lo si capiva dal suo sguardo intristito, oltre che dalle sue sopracciglia incurvate all'ingiù. - So bene cosa significa avere a che fare con qualcuno che cerca in tutti i modi di demolire te e le capacità che possiedi. Mio fratello non ha mai creduto in niente di ciò che facevo: non importava quanto fossero ottimi i risultati che riuscivo ad ottenere, lui avrebbe sempre e comunque continuato a denigrarmi. - sospirò, sconfitto. - Oh... - rispose soltanto Marinette. Non si aspettava affatto una rivelazione del genere da parte sua, tant'è che iniziò a guardarlo con occhi del tutto diversi: fino a pochissimo tempo prima non avrebbe dato neanche un centesimo all'idea di instaurare un'amicizia con un tipo così sfacciato ed invadente come lui, eppure era impossibile non accorgersi di quante cose in realtà avessero in comune... - Ad ogni modo... Ora sono qui, seduto dietro alla scrivania del mio studio, con la mia carriera stilistica che sta per decollare e un bel po' di progetti in cantiere per il futuro, mentre quel fallito di mio fratello ha a malapena i soldi per permettersi una macchina, perciò... Francamente me ne fotto di quello che pensa di me. - il suo solito sorriso a trentadue denti tornò ad illuminargli il viso in un batter d'occhio, quando il ragazzo si accorse che le risate allegre dell'altra erano state provocate proprio dalla sua affermazione. Era la prima volta che la sentiva ridere in quel modo così genuino e spontaneo, rifletté, continuando a guardarla. - No, a parte gli scherzi... Sono davvero contento che tu sia venuta qui e ti sia confidata con me. Anche se ci conosciamo appena sono convinto che potremmo diventare due ottimi amici: voglio che tu sappia che non sono affatto una persona cattiva, e che tutto quello che faccio lo faccio semplicemente perché mi piace aiutare le persone in difficoltà. Per questo ti chiedo di perdonarmi, se ti sembra che sia andato un po' troppo fuori dai limiti dell'invadenza. Che tu ci creda o no, è un difetto su cui sto cercando di lavorare praticamente da quando ho pronunciato le mie prime parole. - ridacchiò, prendendosi in giro da solo. Marinette, gli sorrise, in risposta, lieta di trovare una conferma alle proprie opinioni: era davvero un ragazzo per bene. - Anch'io sono contenta di avertene parlato. In fondo in fondo non sei così tanto male come pensavo. - esclamò, mentre sulle sue labbra si andava allargando sempre più un sorriso divertito. - Ah, be'... Grazie. - rise anche lui, e Marinette notò per la prima volta le minuscole rughette di espressione che gli si formavano agli angoli degli occhi. Rimase ad osservarle ancora per qualche secondo, fino a quando non scomparirono del tutto ed il silenzio tornò ad avvolgere la stanza. A quel punto Philippe si passò una mano tra i capelli con aria leggermente imbarazzata. - E comunque... Devo confessarti un piccolo segreto. - le disse, facendosi più vicino a lei. - Ho sempre pensato che Gabriel Agreste fosse un grandissimo pezzo di... - ma Marinette lo interruppe, fintamente scandalizzata. - Philippe! - strillò, spalancando gli occhi e la bocca nello stesso momento. Dopodiché gli tirò una manata sulla spalla per farlo smettere di ridere, seppure lei in prima persona stesse impiegando tutte le proprie forze per trattenersi dall'imitarlo. Quel ragazzo era davvero assurdo: non aveva mai alcun problema a dire ciò che gli frullava per la testa in qualsiasi tipo di situazione, persino in quelle meno appropriate! - Dai, non dirmi che non lo pensi anche tu, perché non ci credo affatto! - la incalzò, stampandosi in faccia un'espressione maliziosa. - Io... - Marinette esitò: non era mai stata il tipo di persona che se ne andava in giro a parlare male degli altri in quel modo, a maggior ragione se si trattava di suo suocero! - No, io non... - - Coraggio, non essere timida! Sappiamo entrambi quello che ti ha fatto: non credi anche tu che si meriti questo ed altro? - alzò un sopracciglio scuro e la fissò per qualche secondo, in attesa che cedesse. - Lui... - iniziò. - Sì? - - Lui è un... - - Forza! - - È un grandissimo stronzo! - gridò infine Marinette, lasciando di stucco persino se stessa. - Ce l'hai fatta! - esultò il ragazzo. - Come ti senti adesso: meglio, non é vero? - - Io... Mi sento benissimo. - rispose la ragazza, ancora del tutto incredula. Lo aveva detto davvero? Tutto di quella strana giornata le sembrava così assurdo, che le venne spontaneo riprendere a ridere come una bambina, nel realizzare che non provava alcun senso di colpa per aver urlato ai quattro venti ciò che pensava realmente di quell'uomo, da almeno dieci anni. - Sono fiero di te, Marinette. Il primo passo per iniziare a fregarsene dei giudizi delle altre persone è proprio questo: capire che nella maggior parte dei casi si tratta soltanto di grandissimi stronzi che cercano di buttarti giù per il puro piacere di vederti star male. E sono certo che questo sia anche il caso di Agreste, perché mi risulta difficile pensare che una ragazza umile e gentile come te possa averlo offeso in qualche modo. - disse, guardandola dritto dritto negli occhi azzurri. - Grazie, Philippe. - lei gli sorrise ancora, facendolo felice. - Sempre a disposizione. - rispose, esordendo in un occhiolino ammiccante. A quel punto della conversazione però, Marinette lanciò un'occhiata al proprio orologio e decise che si era fatto tardi e che sarebbe dovuta tornare subito a casa, così imbracciò la borsa a tracolla e si alzò in piedi, per poi rivolgergli un piccolo saluto con la mano. Ma un attimo prima che potesse voltarsi per lasciarlo tornare al proprio lavoro, il castano la richiamò: - Marinette. - - Sì? - domandò, incuriosita. - Da quello che mi è sembrato di capire, in tutti questi anni l'amore per il mondo della moda non ti ha mai abbandonata, perciò perché lasciarlo inaridire per colpa di un'idiota come lui? Sei fin troppo intelligente per non comprendere quanto sia prezioso il talento che possiedi. Per questo ti consiglio di iniziare a coltivarlo con tutte le tue forze, dal momento che la vita non è tanto generosa con tutti... - mormorò, sorprendendola. - Io... - iniziò, mordicchiandosi il labbro inferiore per il nervosismo. - Io lo vorrei tanto, davvero... Ma non so come! Insomma... In giro cercano sempre gente con molta esperienza alle spalle, e io... Be', non ho neanche una laurea! - abbassò lo sguardo sulle proprie scarpe, vergognandosi di se stessa, mentre il ragazzo che gli stava di fronte incrociava le braccia dietro la testa e la osservava con la sua solita aria noncurante. - E allora? Che problema c'é? Mio padre diceva sempre: "Non è mai troppo tardi per mettersi a studiare!" -

- Adrien! - - Adrien, ti vuoi calmare?! - lo sgridò la bionda, alzando gli occhi al cielo ed afferrandolo per le spalle per farlo voltare verso di lei. - Che vuoi?! Non vedi che sono occupato? - rispose il ragazzo, stizzito, mentre si tirava su le maniche e svuotava tutto il contenuto dei propri cassetti in giro per la stanza. - Sì, certo che lo vedo! Ma è proprio per questo che te lo dico: non vale la pena agitarsi in questo modo. - lo riprese. Era seriamente preoccupata per la sua salute, perché da quando il signor Warlow aveva raccontato loro tutta la verità, Adrien sembrava averla presa davvero molto male. Ovviamente non aveva fatto alcun cenno di voler discutere dell'accaduto, ma Chloé era del tutto certa che, per quanto cercasse di negarlo, dentro di sé Adrien stesse ribollendo di rabbia come mai prima d'allora. E lo capiva alla perfezione: insomma, quale figlio non avrebbe reagito in quel modo di fronte ad un tradimento da parte del suo stesso padre? Eppure: - Sono calmissimo. - fu ciò che rispose, forse per la centesima volta della giornata. Lo diceva per convincere in primo luogo se stesso, ovviamente, dato che non ci credeva neanche un po'. - Adrien, non hai bisogno di nascondere ciò che provi. So benissimo che sei arrabbiato, perché lo sono anch'io! Anzi, sono davvero infuriata per quello che tuo padre ci ha fatto, per come ci ha usati senza farsi neanche uno scrupolo! - esclamò. Adrien volse finalmente lo sguardo verso di lei, e annuì, amareggiato. - Hai ragione. - ammise, dopo un attimo passato in silenzio. - Ma é solo che... Io... Non riesco ancora a crederci! Lui... Lui é mio padre, capisci? Come ha potuto farmi un cosa del genere?! - si mise entrambi le mani nei capelli, spettinandoli tutti. In quel momento sentiva il corpo fremergli dalla testa ai piedi per la voglia che aveva di tirare un pugno a qualcosa. Era sempre stato un ragazzo molto tranquillo, ma la verità era che ciò che era successo aveva fatto scattare in lui degli istinti che non sapeva di possedere. Quello che più gli faceva venire voglia di lanciare tutto all'aria però, era che a causa di tutto il "lavoro" che avrebbe dovuto svolgere lì a New York, era dovuto stare lontano dalla sua Marinette per un sacco di tempo. Lei che era l'unico motivo per cui la mattina si svegliava di buon umore, pur sapendo di trovarsi lontano da casa e da tutto ciò che amava: era l'idea che presto sarebbe tornato a stringerla a sé e ad inspirare il suo dolce profumo, che gli dava la forza per sorridere di nuovo. Per questo motivo aveva deciso che non avrebbe speso un minuto di più in quello stupido hotel americano. Avrebbe preso il primo volo disponibile per tornare a Parigi dalla sua amata Puuur-incipessa e per farle una bella sorpresa: era questo il piano. Sospirò, per poi richiudere le ante del proprio armadio con un tonfo. - Me la farà pagare per avermi tenuto lontano da casa. - affermò, convinto. Chloé non poté far altro che scrutarlo con aria spaventata. - E come? - domandò: aveva paura che potesse compiere qualche sciocchezza. - Penso che la punizione migliore per quello che ci ha fatto passare sia vederci andare definitivamente via dalla sua azienda: solo così capirà di aver commesso un enorme sbaglio a prendersi gioco di noi. - le rispose. La bionda non riusciva a credere alle sue stesse orecchie: - Che cosa?! Ma sei completamente impazzito?! Tu sei il suo modello principale! Dove andrai a lavorare? - domandò, sbarrando gli occhi azzurri per lo sconcerto. - Tu non preoccuparti: troverò una soluzione. Per adesso, però, l'unica cosa che mi interessa è finire di preparare al più presto le nostre valigie, perché il prossimo aereo per Parigi parte tra sole quattro ore. -

Serena

Everything is paw-ssible with you #Wattys2022Where stories live. Discover now