Capitolo Ventisei - Lettere

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Quattro mesi dopo.

Una bambina dai lunghi capelli castani correva in quell'enorme parco, mentre il sole di inizio settembre scaldava l'atmosfera.

«Mamma! Mamma!» quella vocina si insinuò tra le mie orecchie, mi voltai sorridendo, appena in tempo per vedere la bellissima bimba correre verso di noi con una margherita tra le mani.

«Aggiungila alle altre, così possiamo terminare la coroncina» disse, mostrando fiera quel fiore dai lunghi petali bianchi.

«Certo, amore. Dammelo pure» Cara aveva allungato il braccio, prendendo la margherita dalle piccole e graziose mani di sua figlia. Abilmente legò lo stelo assieme agli altri, andando così a chiudere quella corona di fiori e poggiandola poi sulla testa della bambina.

«Ecco fatto» proclamò, facendola sorridere contenta, mentre si rimetteva a correre su quell'erba verde. Più guardavo quella bimba, più passavo il mio tempo con Cara e Simon e più sentivo la nostalgia di Ashton.

Mi chiedevo spesso se al suo ritorno anche noi avremmo potuto iniziare a costruire il nostro futuro assieme. Ma soprattutto, mi chiedevo se mai sarebbe tornato.

Ashton era partito di martedì.
Quel martedì di ormai quattro mesi prima.

Sapevo con precisione i giorni nei quali eravamo stati separati, perché a casa tenevo un piccolo calendario in cui, mano a mano, sbarravo le caselle e attendevo notizie su un'ufficiale data di ritorno.

Una data che, però, fino a quel momento, ancora non era arrivata con precisione. Inizialmente si parlava di soli sei mesi, ma poi le cose avevano preso una piega diversa. Non essendo una missione sul campo di guerra, ma un qualcosa di simile a... no, sinceramente in quel momento ancora non sapevo di cosa si trattasse. A quanto pareva il lavoro che era andato a svolgere in Sudafrica era segreto. O meglio, così mi avevano fatto intendere, dato che nessuno mi spiegava mai con precisione cosa stesse facendo laggiù.

Comunque, l'unica cosa certa era che i tempi si erano allungati oltre ogni nostra aspettativa.

Dopo il giorno della sua partenza, avevo cercato sin da subito di continuare con la mia vita, provando a vivere la mia normalità. Era stato difficile fingere che non mi mancasse e che avessi preso quella separazione con razionalità.

Ma alla fine sapevo che nessuno mi credeva quando affermavo di stare bene. E mi credettero ancora meno, quando, dopo essere andata a trovarlo, per la prima e unica volta, sostenevo di non pensare più a lui.

Appena avevo potuto, ero salita su un'aereo e l'avevo raggiunto a Città del Capo. Non era stato l'incontro che mi sarei aspettata, Ashton sembrava così diverso, così strano. Era come se tutti quei momenti passati assieme non fossero mai avvenuti.

Ad ogni mia domanda lui aveva dato una risposta vaga. Aveva evitato qualsiasi contatto fisico in presenza di altre persone e il suo comportamento paranoico mi aveva da subito allarmata.

Ma solo più tardi scoprii la ragione di tali strani e improvvisi modi di fare.

Quando ero scesa all'aeroporto, due uomini, con una divisa militare diversa da quella canadese, mi avevano prelevata e fatta salire su un furgoncino blindato. Non avevo visto la strada o qualsiasi altro indizio che mi potesse far capire dove fossimo diretti. Ashton mi aveva solo detto che dei suoi colleghi mi sarebbero venuti a prendere e mi avrebbero portata da lui e io mi ero fidata.

Midnight SkyWhere stories live. Discover now