𝓊𝓃 𝒷𝒶𝓂𝒷𝒾𝓃ℴ 𝓇𝒾𝓉𝒶𝓇𝒹𝒶𝓉ℴ;

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sᴏɴɢ:ᴅʀᴇᴀᴍ ᴏɴ, ᴀᴇʀᴏsᴍɪᴛʜ

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sᴏɴɢ:
ᴅʀᴇᴀᴍ ᴏɴ, ᴀᴇʀᴏsᴍɪᴛʜ

Jimin chiuse gli occhi, il cuore che batteva all'impazzata.
Park Jimin era il ragazzo più felice sulla faccia della terra in quel momento, eppure sentiva che quel piccolo dettaglio poteva mandare in mille pezzi il suo sogno.
Il biondo sapeva che molte cose, molte persone, sarebbero state contro di lui e Jungkook, contro quella che sembrava essere quasi una relazione.
Uno dei primi nomi al quale pensare era sicuramente Wonho.
Lui sicuramente avrebbe creato problemi, era sicuro.
Jimin, infatti, era abbastanza convinto che quei pochi giorni di pace che stava vivendo fossero agli sgoccioli, visto che Wonho sicuramente avrebbe avuto da ridire su di loro, su lui e Jungkook, ma soprattutto sicuramente si sarebbe fatto vivo per fargli pagare tutto quello che aveva fatto: l'umiliazione pubblica, il calcio nelle palle, l'aver scelto come nuovo ragazzo  l'acerrimo rivale e nemico di Wonho.
Un altro nome che spesso abitava i pensieri del biondo era quello di suo padre.
Park Dohyun.
Suo padre, e la probabile reazione che avrebbe avuto a tutto quello che stava accadendo, lo facevano tremare di paura nel sonno.
Jungkook ogni volta gli chiedeva cosa ci fosse che non andasse e lui non poteva spiegarsi.
Ed ogni volta Jimin doveva mentire.
Quello era uno dei tanti problemi che gli facevano girare la testa.
Ma quello che davvero in quel momento gli faceva storcere le budella dall'ansia era un altro problema.
Jimin e Jungkook stavano passando tantissimo tempo insieme e prima o poi Jimin avrebbe dovuto studiare.
Studiare con Jungkook.
Studiare con i suoi libri di sostegno da ragazzo ritardato.
Jungkook non sapeva nulla della sua condizione.
Jimin non voleva parlare al corvino, non voleva dirgli del suo problema, non voleva dare spiegazioni riguardo ai suoi libri che, per fortuna, lo aiutavano a capire dove le sue abilità cognitive non potevano.
Jimin si vergognava da morire.
Ma soprattutto...
Soprattutto aveva paura.
Paura che il corvino potesse lasciarlo, che potesse non amarlo più, che lo avrebbe abbandonato se avesse capito che era stupido.
Jungkook era così bravo, così colto, così intelligente, così abile nella scrittura, nei ragionamenti, nel parlare.
Mentre lui...
Lui era solo un bambino ritardato.
Come diceva sempre suo padre.
Park Jimin lo stupido.
Park Jimin il mentecatto.
Park Jimin il bambino scemo.
Erano così tanti i soprannomi, le offese che aveva ricevuto in tanti anni di scuola, che addirittura poteva scriverli tutti sul muro e tappezzarci l'intera stanza.
Ed il biondo era così sicuro che il corvino l'avrebbe mollato, che gli avrebbe riso in faccia... che ora non sapeva davvero come iniziare il discorso.
Una piccola voce dentro di sé gli diceva che Jungkook lo amava, che non avrebbe mai potuto allontanarlo per un suo difetto, per quello che era.
Eppure...
Eppure Jimin era stato abituato così tanto ad essere sminuito...
Che ora quasi non si ricordava più cosa voleva dire essere apprezzato, quasi non si capacitava di come Jungkook potesse amare uno come lui.

THE POETRY BOY | JIKOOKDove le storie prendono vita. Scoprilo ora