Capitolo 12

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Antonio sospirò, passando le dita tra le ciocche castane arruffate e ricciute, da tempo perse del loro solito splendore. Fissò scoraggiato i fogli e le lettere che sporcavano il tavolo nella piccola cucina dell'appartamento, molte delle quali avevano parole minacciose stampate sul carattere con inchiostro rosso sangue. Lo spagnolo impiegò alcuni istanti a strofinarsi duramente gli occhi stanchi prima di afferrare quello successivo, aprendolo lentamente e sfogliando il messaggio eccessivamente formale, quasi rabbioso, il quarto che avevano ricevuto questo mese dalla banca. Antonio afferrò la sua penna rosicchiata e mezza rotta e trascinò il suo taccuino verso di sé, scarabocchiando alcuni appunti dalla lettera insieme ad alcuni numeri; ormai il taccuino era quasi pieno di pagine, la maggior parte erano sparse sul pavimento della cucina in palline accartocciate.

L'improvviso, forte, orribile odore di tabacco fluttuò fin troppo sgradevole nelle narici dello spagnolo mentre si metteva al lavoro, arricciando il naso con disgusto; Antonio si alzò e girò la testa, fu sorpreso di vedere il suo compagno italiano, inquieto accanto alla porta della camera da letto dietro di lui, inalando furiosamente una sigaretta.

Antonio aveva un punto di tosse odioso. "Lovino metteresti fuori quella cosa?" chiese tra un colpo di tosse e l'altro, respingendo la nuvola grigia che iniziava ad accumularsi intorno alla sua testa. "Non fumi."

L'italiano gli lanciò un'occhiataccia, gli occhi pesanti di occhiaie. "Lo faccio quando sono stressato!" sibilò irritato facendo diversi tiri irregolari, la cenere che cadeva dalla sigaretta come neve sul pavimento.

Antonio sospirò, girandosi sullo sgabello per affrontarlo. "Smettila." affermò severamente. "Seriamente spegnilo Lovi che puzza." lo spagnolo scosse la testa, tornando alle scartoffie sparse. "... e non sul tuo braccio!" aggiunse, individuando il riflesso dell'italiano nel microonde di fronte a lui sul bancone, che stava iniziando ad arrotolarsi la manica del maglione.

Lovino digrignò i denti, gettando la sigaretta smussata nel lavandino; Antonio continuò a scarabocchiare i suoi appunti, tamburellando lentamente su una calcolatrice seduta sul tavolo di fronte a lui. L'italiano iniziò a camminare avanti e indietro per la minuscola cucina, aggirandosi intorno al tavolo come un animale in gabbia. "Non posso credere che non abbiano risposto alla nostra lettera!" ringhiò all'improvviso, facendo sobbalzare Antonio. "Maledetti stronzi..."

"... Lovi uno dei loro familiari è in ospedale in coma e il ragazzo che pensano sia responsabile è dietro le sbarre ..." spiegò lentamente Antonio per quella che doveva essere almeno la centesima volta, aggrottando leggermente la fronte quando ha perso la sua posto nel suo calcolo corrente. Sospirò, posando la penna si strofinò una mano sul viso. "... non gli importerà se suo fratello gli manda o meno una lettera dicendo loro che è innocente." mormorò, guardando tristemente il suo partner.

"Allora andremo in ospedale!" Romano scattò, interrompendo il movimento. "Andremo lì e aspetteremo che la famiglia si presenti."

Antonio scosse la testa. "... e poi cosa Lovi?" chiese incredulo.

"Parlerò con loro!" l'italiano ha sparato con decisione. "Dì loro cosa c'è e fagli capire che è stato un errore!"

"Cosa ti fa pensare di poterli convincere che Feli è innocente?" Chiese piano Antonio, alzandosi lentamente per allungare la schiena. "Non ha funzionato al processo."

Lovino sbatté le mani davanti allo spagnolo, mandando via dal tavolo i fogli e la lettera. "Quindi vuoi solo che ci arrendiamo, è così !?" chiese, oltraggiato.

Antonio inciampò un po 'sullo sgabello sorpreso. "No-"

"Pensavo che ti importasse di più di questa famiglia di quell'Antonio!" ringhiò l'italiano, lanciandosi praticamente sul tavolo verso lo spagnolo.

Shades of Innocence || 𝒂 𝒈𝒆𝒓𝒊𝒕𝒂 𝒇𝒂𝒏𝒇𝒊𝒄Where stories live. Discover now