Capitolo 5

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«È così bello poterti rivedere, Feli.» disse Antonio sorridendo calorosamente; si accomodò di fronte al moro accanto al fidanzato, dopo che si furono tutti e tre abbracciati in lacrime per qualche buon minuto.

Feliciano fece un piccolo sorriso mentre sedeva sulla scomoda sedia di plastica. «Anche tu.» mormorò piano.

«Ti trovo bene.» lo spagnolo mantenne la sua rassicurante compostezza mentre parlava, ma nei suoi occhi c'era una chiara nota di preoccupazione.

«Cazzate.» sputò Lovino osservando il fratello. Il piccolo italiano sembrava più magro di come se lo ricordassero i due, la tuta arancione pareva due taglie più grande; c'erano solchi scuri sotto i suoi occhi ambrati, spenti come se la vita gli fosse stata risucchiata via. «Sembra che non abbia mangiato da giorni.»

«Lovi...» disse gentilmente Antonio mettendogli una mano sul ginocchio.

«Sii sincero Feliciano, ti fanno morire di fame qui?» chiese il fratello maggiore sporgendosi sul tavolo; il giovane notò alcune rughe di preoccupazione che non c'erano mai state prima sul suo viso. «Perché li porterò in tribunale se così fosse!»

Feliciano scosse la testa, poggiano le mani sulle ginocchia. «No fratello, non mi stanno facendo morire di fame...sto bene.» lo rassicurò, nonostante solo metà di quella affermazione fosse vera.

Nell'ultima settimana l'unica cosa che aveva fatto andare avanti Feliciano era la visita di Lovino e Antonio. I detenuti sembravano essere tenuti all'oscuro dei giorni di visita; la prima volta che Feliciano ne aveva sentito parlare era stato quando ascoltò per caso una conversazione di due mafiosi, entrambi si vantavano di poter ricevere la visita delle loro bellissime mogli. Arthur lo aveva svegliato alla solita ora e dopo colazione, insieme ad altri carcerati del suo blocco, era stato portato nella sala delle visite.

Ogni blocco aveva dei giorni prestabiliti in cui amici e parenti dei carcerati potevano venire a farli visita. La sala era una stanza piuttosto grande e illuminata al piano superiore della prigione. Ai detenuti, prima di entrare, veniva assegnato un numero che corrispondeva a quello del tavolo su cui erano i parenti o gli amici che gli erano venuti a far visita. Il vasto spazio conteneva un centinaio di tavoli con quattro sedie ciascuno.

Nonostante il tempo trascorso lì fosse stato miserabile; Feliciano fu quasi in estasi quando vide il volto del fratello mentre le guardie lo perquisivano. E ora eccoli lì, seduti attorno al tavolo circolare al centro della stanza, circondati da altri detenuti provenienti dallo stesso blocco di Feliciano, tuttavia il volto familiare di Ludwig non si vedeva da nessuna parte.

«Allora, com'è qui Feli?» chiese Antonio, cercando di alleggerire l'umore. «È vero il sapone nelle docce?»

«Antonio!» ringhiò duramente Lovino.

Feliciano sorrise debolmente. «Non ci sono le saponette, usiamo del gel, probabilmente per evitare che succedano incidenti...» mormorò stropicciando stancamente gli occhi.

La fronte di Lovino si piegò per la preoccupazione. «Non è successo niente, vero?» chiese serio, allungando le mani per prendere quelle del fratello e stringerle nelle sue. «Nessuno ti ha dato problemi?»

Feliciano si morse il labbro, evitando gli occhi del moro. «Sto bene...» mormorò guardando entrambi con un sospiro. «Però mi mancate tanto.»

Antonio lo guardò tristemente. «Anche tu ci manchi pequeño, Vargas' Place non è lo stesso senza te.»

«Stiamo ancora lavorando sul tuo caso.» parlò Lovino con fermezza. «Siamo andati a discutere con l'ufficiale della libertà vigilata e ho persino inviato una lettera alla famiglia del giapponese chiedendo loro di fare appello per la tua innocenza.»

Shades of Innocence || 𝒂 𝒈𝒆𝒓𝒊𝒕𝒂 𝒇𝒂𝒏𝒇𝒊𝒄Where stories live. Discover now