Patriarcato

70 15 35
                                    

Sono da sempre una casalinga e non ho mai avuto ambizioni. Indosso il grembiule, le pantofole, metto la cuffietta e inizio a pulire; spesso stiro, a volte ordino la casa, ma soprattutto cucino.

Questa è la mia vita, o per meglio dire è la vita che hanno scelto per me. 

Tanti anni fa, quando ero sempre giovane, conobbi un uomo di bell'aspetto che ostentava una modesta ricchezza

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

Tanti anni fa, quando ero sempre giovane, conobbi un uomo di bell'aspetto che ostentava una modesta ricchezza. Mi portava spesso a cena fuori e mi dedicava tante attenzioni, donandole in modo talmente ossessivo che ne divenni quasi succube. Ogni mattina mi svegliavo pensando a lui, ogni notte prima di addormentarmi immaginavo il suo sorriso, ogni giorno lo portavo con me; ma non ero sicura che lui facesse lo stesso. La nostra vita ruotava attorno ai ristoranti e alla spiaggia, mentre le famiglie preparavano i corredi per l'imminente matrimonio da sogno che desideravo da quando ero bambina.

Il vestito, i regali, la cerimonia... Fu bellissimo condividere tutto assieme a lui, ma non riuscii a cogliere i segnali che involontariamente mi stava inviando:
«Meglio se non lavori, ci penso io», mi disse. E accettai subito, convinta che non poter lavorare fosse un vantaggio.
«Hai tempo per occuparti dei figli e della casa, quindi devi far brillare il pavimento ed educare i bambini», niente di troppo complicato. Ero brava a pulire e sapevo cosa fare con i più piccoli, avendo lavorato come babysitter per anni.
«Devi farmi trovare il cibo in tavola quando torno da lavoro, è l'unica cosa che ti chiedo e che devi fare». Non era l'unica, ma essendo libera da ogni impegno lavorativo potevo farlo tranquillamente.
«È meglio che non esci: devi essere concentrata sulla casa e i figli». Come sarebbe a dire? Non posso uscire? Inizialmente pensai che mentre lui lavorava io me ne stavo a casa, ma nonostante adempissi ai miei doveri lui poteva svagarsi e io no.
«È necessario che tu smetta di studiare, ti porta via troppo tempo e non ne hai bisogno. Io dovrò partire per sei mesi, devi essere sempre a casa, vigile e libera da impegni». E smisi pure di studiare. Non che facessi un'università, ma stavo recuperando gli anni di liceo persi tramite i corsi serali. 

Arrivai a non avere niente; né un diploma, né un curriculum, tanto meno esperienza in qualcosa. In tutti gli anni che avevo passato a casa assieme ai figli non avevo evoluto me stessa, rimanendo una casalinga perfetta. 

«È ora di fare un terzo figlio». Non era una proposta ma un ordine, e dipendendo completamente da lui e dai suoi soldi, dovetti accettare. Inutile affermare che se glielo avessi negato avrebbe distrutto la nostra famiglia: può una madre permettere ai propri figli di soffrire?

Improvvisamente arrivò Clarissa, dopo Marco e Gilberto. Finalmente una femmina. Ma gli occhi di mio marito andarono a guardarla come fissava me e prima che potesse rendersi conto di essere nata, lui decise il suo futuro: «Qualcuno dovrà mantenerla, meglio che si trovi un ragazzo ricco e di buona famiglia, così potrà pensare alla casa e ai figli».

E se invece Clarissa avesse voluto studiare? O viaggiare per il mondo? Chi glielo avrebbe impedito? Sicuramente lui, quell'uomo che stava considerando ogni presenza femminile della nostra famiglia come un soprammobile della cucina. I suoi genitori gli avevano impartito questa educazione e lui era cresciuto con la medesima mentalità.

Donne: quello che hanno dentro...Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora