La Sposa Bambina - Parte 3

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Passò un'altra settimana in cui vidi più la madre che lo sposo; nel frattempo vennero a trovarmi i miei fratelli, impressionati da quella bellissima casa, mentre ignorai mio padre a prescindere. Mia madre invece mi abbracciò e una volta riunite nella mia stanza cominciai a piangere: mi mancava casa mia. Lei cercava di consolarmi dicendo che lì avrei avuto una vita dignitosa, ma io le rispondevo che ero felice nella mia capanna di lamiere. Non mi fece domande intime, ma si accorse, non so come, che la mia verginità era ancora intatta. Credo che in fondo al cuore anche lei ci sperasse e le confidai che forse non mi avrebbe toccata senza il mio consenso; fu un sollievo per entrambe. A malincuore dovetti salutarli e mi impegnai di nuovo nelle faccende quotidiane, preparando la cena per mio marito e suo padre. Quella sera parlammo come sempre, ridendo e scherzando, per poi bere un po' di cha di fronte a una vera tv, nella quale sognavo di apparire un giorno. Lo dissi più volte in casa, ma quando lo facevo nessuno voleva ascoltarmi come se lo considerassero un sogno irraggiungibile. Quelle ragazze erano belle e io pure, ero sicura di avere almeno una possibilità. Quando calò la sera i genitori si ritirarono nelle proprie stanze e io rimasi con mio marito nella sala, seduti su due cuscini e catturati dalle immagini dello schermo. 

"TI piace la mia famiglia?" Mi chiese Bhudev.

"Si, la tua mamma è simpatica", lo rassicurai, bevendo un po' di cha. "E' vecchietta, ma ha molta energia".

"Mia madre ha sofferto tanto nella vita, ma è una donna forte. D'altronde ogni donna è costretta a soffrire, è cosi che va il mondo". Sorseggiò anche lui del the.

"Io non vorrei stendermi nel letto con te, signore", decisi di mettere le cose in chiaro e tastare la sua sensibilità.

Lui mi guardò con quello sguardo scuro, contornato dalla cornea giallognola e arrossata: "Ma sei mia moglie".

Ebbi paura, ma decisi di mostrare l'intelligenza che non mi era mai mancata: "Ma sono piccola! Ho solo dieci anni!" Nonostante fossi una bambina in un paese come il Bangladesh si matura in fretta.

"Io ho pagato per il tuo spirito e il tuo corpo, siamo uniti sotto lo sguardo di Allah e la nostra religione impone l'obbligo del matrimonio", il suo tono si fece minatorio. "Il divorzio non esiste in questa casa e tu devi adattarti come tutte le altre donne. E' meglio che stasera tu venga a dormire con me, altrimenti il nostro rapporto si incrinerà a tal punto che dovrò chiedere un rimborso alla tua famiglia".

Venni colpita da una forte nausea e la testa cominciò a vorticare, mi sentivo svenire e mi cadde la tazza di cha dalle mani. "Scusa", borbottai. "Voglio dormire sola in camera mia". Pulii il tappeto e nel frattempo pensai a come potesse considerarmi una sposa nonostante la mia corporatura esile, la mia voce acuta e ancora acerba, la mia mentalità matura ma che pensava più ai sogni che all'amore.

Lui mi intimò di fermarmi afferrandomi per il polso: "La mia non è una richiesta".

A quel punto capii che non aveva intenzione di trattarmi come una figlia. Mi cadde il mondo addosso e iniziai a sudare, tanto che le gambe cominciarono a muoversi da sole verso l'uscita. Lui strinse la morsa e mi guardò nemboso dritta negli occhi. Cercai di divincolarmi ma con uno strattone mi gettò lontano dalla porta. "Ora basta", ringhiò. Mi prese per i capelli tirandoli cosi forte da farmi gridare, poi mi diede uno schiaffo per zittirmi e io rimasi basita, impotente, incapace di reagire. Mi trascinò in camera sua e mi gettò di peso sul letto mentre chiuse la porta a chiave con uno scatto d'ira. Sentii la sua puzza nauseabonda nelle coperte, sui cuscini, in tutta la stanza e sentii quanto puzzasse il suo alito quando mi mise la lingua in bocca avventandosi su di me e bloccandomi le braccia. Mi divincolai, gridai, ma le sue mani mi percuotevano cosi forte da togliermi il respiro e le parole. Era violento. Era pesante. Mi stava opprimendo con il suo corpo lasciandomi sprofondare in quel materasso morbido. I miei capelli vennero tirati, le mie guance vennero leccate, la mia bocca violata più di una volta. Pensavo alle bambole, alla bambola di pezza che il primo spasimante mi regalò; pensavo ai giocattoli, ai giochi con cui avrei voluto giocare ancora per un po'; pensai ai miei poveri fratelli che sarebbero morti di fame se non avessi acconsentito; poi pensai a mio padre, a quel bastardo di mio padre che aveva permesso tutto questo. Nel frattempo sprofondavo ritmicamente nelle coperte, succube della puzza insopportabile di quell'uomo. Avevo spento il cervello e mi finsi un bambola, mentre le mie vesti vennero strappate con violenza e gettate sul pavimento. Mi sentivo come un verme che strisciava per liberarsi, ma che oppresso dal becco di un passero non aveva più scampo. Il mio destino ormai era scritto e le sue mani continuavano a premere i miei polsi. La sua bocca continuava a cercare la mia, il mio corpo, il mio seno. Il suo fetore ormai mi apparteneva e non riuscivo a togliermelo di dosso. Quella notte fu tremenda, e il dolore lancinante che provai quando violò il mio corpo mi fece svenire. Da quel momento non ricordai più niente. 

Aveva distrutto la mia infanzia, le mie aspirazioni, i miei sogni e la mia istruzione. Mi aveva annullato come un oggetto e trasformato in un corpo senza anima. Ormai mi comportavo come una bambola, che doveva assecondare i suoi desideri quando lo chiedeva per poi tornare a sbrigare le faccende. Andò avanti cosi per giorni interi, nottate intere, a volte anche la mattina prima di recarsi a lavoro. Ormai ero talmente abituata a tutto questo che nemmeno provavo dolore come la prima volta. Puzzavo come lui, ringhiavo come lui, ero succube di lui. 

Dopo nove mesi diedi alla luce una bambina e mentre lei veniva al mondo io chiusi gli occhi. Ero troppo piccola per partorire, troppo innocente per vivere cosi, troppo bambina per avere un marito. Mi lasciai morire di stenti e ne fui felice, ma la sua puzza mi avrebbe perseguitato per l'eternità.

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Questo è un argomento molto delicato e complesso, che ho cercato di riportare studiando la cultura e le usanze di un matrimonio musulmano in Bangladesh. Se ci sono degli errori perdonatemi, ma le informazioni sono cosi tante che ho avuto difficoltà nella ricerca. Comunque è chiaro che si debba combattere contro questa barbaria, che nel mondo è più comune di quanto crediamo. Anche se il fenomeno continua a calare, dall'altra parte del mondo ci sono bambine, anche di 8 anni, che devono affrontare un matrimonio e un marito. Devono fare l'amore, fare figli e provvedere ai suoceri e alla casa. A loro viene negato tutto la maggior parte delle volte, soprattutto l'istruzione e nonostante provino a scappare, spesso e volentieri, le loro famiglie le riportano dai mariti. Possiamo dire che la povertà crea disperazione, ma una cosa del genere è fuori da ogni concezione umana, è qualcosa che neanche gli animali potrebbero fare, è qualcosa di orribile e tremendo che dobbiamo fermare assolutamente. Quando ci mettiamo in casa nostra di fronte al computer, o quando ci lamentiamo per la nostra vita monotona, ricordiamoci che ci sono bambine che sopportano tutto questo. Mi meraviglio, però, che nel 2021 ci siano certe pratiche ancora legali. 

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