▶️ PRIMO QUADRO: WITCH HOUSE

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1 • L'ESTRANEO

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1 • L'ESTRANEO

La luce lunare strisciava sulle pareti, accarezzava mobili, quadri, vestiti lasciati in disordine. Sfiorava il profilo di una donna che dormiva sola nell'ampio letto matrimoniale, coperta da un leggero lenzuolo.

Le candide tende sventolavano come fantasmi, mosse dal caldo vento estivo.

Forse fu proprio quel fastidioso vento a disturbare il suo sonno, con tutti gli strani rumori che provocava fuori: scricchiolii e fruscii indistinti.

Dovrei chiudere quelle dannate finestre, pensò, stropicciandosi con due dita gli occhi assonnati.

Fu in quel momento che ebbe la strana sensazione di non essere sola in quella stanza.

Allora, trattenendo il fiato, si sollevò seduta, abituandosi pian piano all'oscurità.

Non c'è nessuno. Sono sola.

È stato solo un brutto scherzo della mia mente.

Non c'è nessuno.

Ma in un attimo qualcuno comparve. Dal nulla, quasi come per magia.

Stella lo osservò attentamente.

Era un giovane uomo avvolto in un mantello nero, abbellito da ricami floreali dorati. Aveva i capelli corti e biondi, e la mano destra piena di tatuaggi, tra i quali spiccava quello di una tigre ruggente. Il volto non era chiaramente visibile, come sfocato... eppure, ne era più che certa: l'estraneo, immobile di fronte al suo letto, la stava guardando.

Ma non ebbe paura.

Nemmeno quando questo si sfilò il mantello, rimanendo completamente nudo.

Aveva un fisico magro e tonico, e la pelle chiara, piena di tatuaggi. Sul suo petto si snodava un enorme dragone in stile giapponese.

Ma chi era quell'uomo? Più lo guardava, più si sentiva pervadere da quell'inspiegabile sensazione. Il cuore che palpitava veloce, un groviglio di emozioni annodato nello stomaco. E il mondo che girava, girava come un pazzo. Confondeva i pensieri, mescolava le carte, fino a non farle capire più niente.

Non lo conosceva. Non sapeva chi fosse, che cosa volesse. Ma ben presto si accorse che il motivo per cui quell'estraneo fosse entrato nella sua stanza, di notte, spogliandosi nudo davanti a lei, non le interessava.

In quel momento voleva solo fare l'amore con lui. Lo desiderava con ogni cellula del suo corpo, in una maniera folle, quasi malata.

Ma qualcosa la immobilizzava a quel letto, come una forza invisibile. Allora si ritrovò a pregare, a implorare un Dio in cui non aveva mai creduto, affinché quell'uomo si unisse carnalmente a lei, come un condannato a morte che, con ogni fibra del suo essere, spera nella salvezza. Perché lo amava. Era pazzamente innamorata di lui, pronta a qualsiasi cosa pur di possedere le sue carni e la sua anima.

Ma l'estraneo rimase immobile... fin quando lei non si svegliò per davvero.

Non appena la sua mente abbandonò il mondo onirico e i suoi occhi si affacciarono su quello reale, sobbalzò, sollevandosi sui gomiti e guardandosi attorno.

Ma nel buio e nell'immobilità di quella stanza, oltre a lei e al suo compagno, steso al suo fianco, non c'era nessuno.

Solo un sogno. Solo uno stupido sogno! Si disse.

Con il cuore a mille e un inspiegabile vuoto al centro del petto, si lasciò cadere sul materasso. La fronte madida di sudore, il respiro incastrato in gola.

Ma che cosa diamine mi sta succedendo?

La sua mente continuava a tornare a quella figura misteriosa. Flash velocissimi, particolari che svanivano, scatto dopo scatto.

Iniziò a percepire un senso di stordimento. La mente annebbiata. Iniziò a sentirsi spaventata. Non da lui. Ma dalle forti sensazioni che quella presenza le aveva trasmesso e che continuava a infonderle, così intense da offuscare tutto il resto.

Le sarebbero rimaste cucite addosso, impresse come un marchio a fuoco, sulla pelle e sul cuore, mentre tutti i dettagli ben presto sarebbero svaniti, lasciando solo ombre.

*****

Giada, stesa al suo fianco, si era addormentata.

Lauro sistemò meglio il lenzuolo, tirandoglielo su fino a coprirle le spalle, poi spense il televisore e uscì dalla camera, dirigendosi verso il bagno.

Aveva passato una bella serata in compagnia di quella sconosciuta. Carina e anche simpatica, si disse, mentre si infilava sotto la doccia.

Ma ora che il divertimento era finito, quel senso di vuoto era tornato a pervaderlo. Quel tarlo che da quattro anni scavava, scavava, scavava, scavava.

E i ricordi riaffioravano, come lame. Come ogni volta cercò di insabbiarli, di non pensare, mentre regolava la temperatura dell'acqua per aumentarne il calore. Si lasciò massaggiare il collo, chiudendo gli occhi, sotto il getto bollente. Ma il tarlo continuava a scavare. Un vuoto che nessun'altra donna avrebbe colmato, se non lei.

Lei che in silenzio era entrata nella sua vita in punta di piedi e poi l'aveva stravolta come un uragano. Lei, che con lo stesso silenzio da un giorno all'altro era sparita nel nulla, senza un perché.

Arrivò a pensare fosse morta, a un certo punto. A volte lo pensava ancora. Ma aveva sempre preferito vivere nell'incognita, sentendosi incapace di fronteggiare un dolore simile. Aveva preferito la sofferenza lenta, quella che annienta un pezzo per volta.

Con quei pensieri uscì dalla doccia, recuperando l'accappatoio appeso lì a fianco.

Lo indossò, distratto, perso in un passato che non c'era più, mentre si avvicinava allo specchio.

Solo quando sollevò il capo lo notò, e rimase senza fiato. Sulla superficie appannata, con un dito, qualcuno aveva tracciato una scritta.

Una brutta calligrafia, forse sintomo di fretta, di svogliatezza.

Un messaggio apparentemente innocuo agli occhi di chi non sapeva. Un'inquietante minaccia, ai suoi.

 Un'inquietante minaccia, ai suoi

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I quadri di Sin Island || Achille LauroWhere stories live. Discover now