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«Puoi cercare di stare tranquilla? Mi mandi in confusione!».
Aria si è arrampicata sulla mia spalla a mo’ di scimmia. Trema e ansima come in preda alle convulsioni e questo mi chiarisce che più della sveglia, dei clacson e delle imposte percosse dal vento, vince su tutte l’abbinamento black-out/bufera. La manda davvero nel pallone.
E comunque, meno male che il camino era acceso perché sono ancora in accappatoio; e ho con me il cellulare e la magica funzione torcia. Almeno posso raggiungere la camera da letto senza uccidermi, infilare qualcosa di più caldo e cercare la borsa con le chiavi, anche se con una mano sola e un cane terrorizzato è comunque complicato.
«Potresti evitare di mordicchiarmi l’orecchio?», piagnucolo percorrendo il corridoio.
Già muoversi nel silenzio totale, quando fuori l’oscurità continua a resistere, è abbastanza fastidioso. Non che abbia timore di qualcuno. Voglio dire, mi piacerebbe vederlo in faccia quello che tenta di approfittare di un black-out per fare irruzione in casa di una single incazzata. Per quanto ne so, non ne uscirebbe intero.
Ciò che mi preoccupa davvero è che la luce sembra essere saltata in tutta la zona e, con il freddo che fa, spero proprio che il problema si risolva alla svelta o mi toccherà accamparmi davanti al camino per scongiurare l’ipotermia.
Varco la soglia della mia stanza, sfilo a colpo sicuro la tuta dal cassetto del comò e la indosso con la destrezza di Houdini, mentre Aria, rigida sul letto, guaisce. Raccolgo lei e la borsetta, scivolata sul pavimento, e cercando di non sbilanciarmi troppo mi arrabatto alla meglio per tornare in salone, in attesa di rivedere la luce.
Quando ho appeso la tracolla nell’ingresso, subito accanto al piumino, mi procuro un pile, ci avvolgo Aria e mi lascio cadere con lei sulla sedia a dondolo, poi scorro di nuovo la mia playlist e cerco Unchained Melody, che parte all’istante.
‘Woah, my love, my darling, I’ve hungered for your touch. Along, lonely times...’.
Mi do una leggera spinta che fa oscillare in modo ritmico la sedia e subito la sento calmarsi. Il respiro si è fatto più lento e il musetto è andato a infilarsi sotto al mio collo, al sicuro tra una delle mie trecce grasse.
‘I need your love, I need your love, God speed your love to me...’.
Questa canzone è un sedativo per entrambe, a dire il vero, ed è anche la colonna sonora di tutta una vita. Idem per il film strappalacrime Ghost, che è da sempre il mio preferito.
Non entro neppure nel merito di Patrick Swayze e quanto abbia influito sulla mia sanità mentale in età adolescenziale. O come Molly e Sam, nella famosa scena del vaso di argilla, mi abbiano spinta ai peggiori espedienti per riuscire a replicarla.
Il risultato più concreto lo ottenni a diciotto anni, durante un laboratorio di scultura, al quinto anno di superiori, quando Enrico, detto il conquistatore, ovviamente su mia richiesta al punto «Ora, lascia che la creta ti scivoli tra le dita», per sbaglio si piantò una spatola nel palmo di una mano e finì all’ospedale. Dopo quell’episodio l’imbarazzo rovinò per sempre la nostra non-storia, visto che non ci fu mai un vero inizio. E le mie relazioni con gli uomini si preannunciarono decisamente inconcludenti.
Oggi, a ventisette anni suonati, ritengo di poter sopravvivere anche senza. Ho la mia piccola casa, il fuoco acceso nel camino, una dolce e fedele compagna e, dopo tutto questo tempo, posso ancora ascoltare Unchained Melody. Non sarà molto per altri, ma dal mio punto di vista è una gran fortuna, dal momento che non devo discutere con nessuno per i gusti musicali.
Accarezzo Aria, ora appisolata, quando percepisco con la coda dell’occhio che, oltre la finestra, la strada si è di nuovo illuminata.

PATRICK-DESTINAZIONE PARADISOWhere stories live. Discover now