0. Nuova vita

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Camminavo per le strade della città di Oslo, sola. 

Forse per l'ultima volta. 

Non sapevo quando sarei ritornata in questa splendida città.

 Non sapevo se mai un giorno avrei rivisto i palazzi svettanti o le rive frastagliate della mia amatissima Norvegia. 

Non sapevo nulla in realtà. 

O forse no. 

Sapevo che mi sarei trasferita a New York a breve. Mio padre aveva avuto una promozione e aveva colto l'occasione per ritornare nella sua città natale, quella città che io non conoscevo, se non per i suoi fantomatici racconti. 

Aveva lasciato tutto per mia madre. 

La donna della sua vita. 

Non aveva più nulla che lo legava alla mia città ormai e aveva deciso di ricominciare una vita con me. Non ero stata d'accordo con questa decisione, ma avevo ancora diciassette anni e, nonostante fossi maggiorenne, non conoscevo il mondo e dovevo finire gli studi. 

Per questo mi ritrovai catapultata in un trasloco improvviso. 

In una vita non mia.


Il vento freddo mi arrivava forte in volto facendomi lacrimare gli occhi e colare la matita scura. Mi strinsi nella mia felpa nera e larga mentre attraversavo il viale di casa. Questa sera avrei detto addio a tutto questo. Mi osservai intorno. 

L'altalena - che mi ero fatta costruire da mio padre alla tenera età di quattro anni - cigolava e oscillava spinta dalla corrente d'aria fredda. Un sorriso di nostalgia si fece largo sulle mie labbra, mentre un ricordo nella mia mente.

 
Era estate e faceva stranamente abbastanza caldo per indossare una leggera felpa quel pomeriggio. Mia madre era seduta su un telo a leggere un libro all'ombra dello stesso albero da cui pendeva l'altalena. Sorrideva mentre mi guardava ridere spensierata. «Voglio andare più in alto, mamma!» Lo urlavo ad ogni slancio in avanti. I capelli legati in due piccole treccine, erano ancora del mio colore naturale, nero pece. Avevo un vestitino rosa e sopra un golfino bianco, ai piedi graziose ballerine nere. «Rallenta o ti farai male.» Io non l'ascoltai e continuai a spingermi con le gambe sempre più in alto. Saltai giù - perché volevo volare come le farfalle - e urlai quando compresi che sarei caduta a breve. L'urlo agghiacciante di mia madre fece accorrere mio padre che - ancora non so spiegarmi come - mi prese quando avevo la faccia a cinque centimetri di distanza dal suolo. «La mia pazza bambina.» Mi aveva detto lui mentre mi faceva poggiare i piedi a terra.


Continuai a camminare verso casa scrollandomi di dosso quel pensiero. Dal lato opposto si trovava una fontana, bellissima. Rappresentava una sirena dal corpo magro e slanciato. Le braccia tese per sorreggersi e dalle labbra a cuore fuoriusciva un getto d'acqua fresca. I seni piccoli, ma sodi, la rendevano aggraziata e attraente allo stesso tempo. La coda era piegata indietro sotto di lei, uscendo di poco dal bordo in pietra bianca levigata. Piccoli pesci ritti creavano altri scrosci di limpida acqua. Tutto intorno si estendeva una piccola aiola di pervinche lilla ed ellebori bianchi con spruzzate di viola prugna. Tutto il giardino era ben curato e ricco di piccole aiole intorno a statue di donne nude e angeli.


I miei passi risuonarono in quel silenzio rotto dal frusciare del vento. La ghiaia sotto di me scricchiolava a causa del mio peso. Superai l'aiola più grande che si trovava al centro di uno spiazzo abbastanza largo. Era stata ideata apposta per i ricevimenti, in questo modo le auto costeggiavano la parte destra di questo insieme di fiori - attorno a una bellissima e grande statua di angelo nudo che impugnava un arco - per poi fermarsi di fronte la scalinata e proseguire per andar via. 

The bad girl's betDove le storie prendono vita. Scoprilo ora