La mia matrigna era entrata nella cabina armadio senza bussare ed era inorridita vedendomi mezza nuda.
Secondo lei pesare cinquanta chili era troppo e mi aveva consigliato di perderne almeno cinque.
Aveva poi passato in rassegna il mio intero guardaroba affermando che nulla di ciò che possedevo andasse bene per la figlia di un importante socio della Cosmopolitan Agency.
Aveva cercato di farmi buttare ogni cosa, ma mi ero opposta e avevo promesso di non indossare mai più quelle cose. Escludendo le cose che secondo lei erano passabili, come top troppo aderenti – che normalmente indossavo sotto delle felpe – oppure canottiere e tutto ciò abbastanza stretto e succinto.
Ci vuole più colore aveva poi gridato con quel suo tono mieloso e aveva afferrato un top in pizzo ricamato con bretelline sottili e un jeans nero a vita bassa troppo skinny, ma secondo lei perfetto. E, mentre io infilavo il più rapidamente possibile quegli indumenti, aveva tirato fuori dalla scarpiera tutte e cinque le mie paia di scarpe.
Le due paia di Converse erano troppo sportive, gli anfibi troppo volgari, gli stivaletti con il tacco – gli stessi che avevo indossato la sera che ci conoscemmo – troppo pomeridiani e le Vans troppo poco di classe.
«Hai delle scarpe con il tacco?» Continuava a rovistare nella scarpiera.
«Quelle.» Indicai gli stivaletti.
«Eleganti.» Alzò gli occhi.
Le tirai fuori quattro scatole da sotto la scarpiera e gliele porsi.
Erano le uniche scarpe eleganti che possedevo. Le utilizzavo agli eventi. Quegli eventi noiosissimi a cui ero obbligata ad andare.
«Queste!» Esclamò. «Semplici, comode, eleganti e poco impegnative. E completano il look femminile.»
Un sandalo dal tacco dodici sottile con un cinturino nero scamosciato alla caviglia e un piccolo brillantino pendente alla chiusura, pendeva dalla sua mano dalle unghie laccate in rosa pastello.
Indossai anche quelle.
Mi guardai allo specchio e mi sentii nuda.
Non mi piaceva essere così scoperta, avevo bisogno di coprirmi per sentirmi a mio agio.
Quando avevo indossato la canottiera a scuola era solo perché non volevo apparire come la classica sfigata che non conosce nessuno e nemmeno la città, ma ora volevo coprirmi.
Afferrai da un cassetto una felpa con zip nera e cappuccio. E la chiusi per intero.
«Lilith! No! Niente felpe. Sono poco eleganti. Terrai sopra un cappotto in stile blazer bianco. Così daremo colore. Te lo presterò io, ma oggi farà parte della nostra lista.» Batté le mani curate.
«Inoltre, vorrei indossassi una borsa. Piccolina e piatta che abbia la tracolla corta. E per la tua gioia, nera.» Scannerizzò con gli occhi lo scaffale dove avevo le mie borsette. Tutte molto piccole, nere ed eleganti.
Quando trovò quella che più le sembrava adeguata, me la passò e infilò dentro un pacchetto di fazzoletti, un piccolo pettine e il mio cellullare.
Mi portò poi in bagno e mi chiese di sedermi sul puffetto nero e argento in stile barocco che avevo accanto alla vasca. Io lo utilizzavo per metterci i vestiti puliti.
Da una mensola nera afferrò fondotinta e correttore, che io non utilizzavo spesso, e iniziò a picchiettare i prodotti sul mio viso. Odiavo essere truccata.
«Ecco fatto. Ora sei molto più bella. Tutto quel trucco ti copriva i bei lineamenti che hai di tuo padre.» Un sorriso finto le contornava il volto.
«Grazie, ma ho ripreso da mia madre.» Risposi in tono piatto e il suo sorriso svanì.
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The bad girl's bet
Teen FictionLilith Morningstar ha sempre avuto tutto ciò che una bambina di sei anni potesse mai desiderare. Ma quando una grave tragedia si abbatte sulla sua famiglia, tutto il suo mondo crolla. Poco prima di compiere diciotto anni è costretta ad abbandonare l...