Capitolo 21

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"Tua sorella? -lo guardo stranito- da quando hai una sorella? Non me ne hai mai parlato"
"Non te ne ho mai parlato perché è un ricordo molto doloroso..." dice sull'orlo delle lacrime.
"Me ne vuoi parlare ora?" gli chiedo.

Abbassa lo sguardo, evitando i miei occhi involontariamente indagatori.

"Vorrei Mike, ma è una storia lunga ed insopportabilmente triste, avvenuta quando ero ancora in Corea. Non vorrei renderti più triste di quanto tu non sia già"
"Nick, sai che starei a sentirti parlare per ore, soprattutto se mi porta a conoscere meglio te e la tua storia. Ma se ti fa stare male parlarne, aspetterò. In fondo abbiamo tutto il tempo del mondo, e non vedo l'ora di passarlo con te, conoscendoti ogni giorno di più" gli prendo il mento tra le dita e riporto il suo sguardo su di me, poi gli sorrido, per fargli capire che ciò che ho detto lo intendo sul serio.
"Grazie Mike, non sai quanto mi renda felice sentirti parlare così, e sapere che tu hai tanta voglia quanta ne ho io di costruire qualcosa assieme, anche se sembra che tutto vada contro di noi"

Restiamo in silenzio per un po', abbracciati, presi da un improvviso senso di sconforto.

"Comunque te lo voglio raccontare, perché non sappiamo cosa succederà e voglio che tu conosca anche questa parte della mia vita" dice poi Nick, afferrandomi la mano e portandomi verso il letto, dove si stende e poi fa aderire la mia schiena al suo petto, stringendomi tra le sue braccia.

"Sei comodo? -mi chiede, io annuisco cercando di girare la testa nella sua direzione, con scarsi risultati- scusa, ma non voglio essere guardato in faccia mentre racconto questa storia, è più forte di me. Ascolta la mia voce"

Annuisco di nuovo, aspettando pazientemente che inizi a parlare: sembra un argomento molto delicato per lui.

"Quando racconto questa storia mi viene sempre da piangere, è come se i miei occhi prendessero a lacrimare spontaneamente. Devi sapere che eravamo tre fratelli, due ragazzi e una ragazza: mio fratello maggiore, Jihyun, ai tempi era in Inghilterra per studiare legge, frequentava l'ultimo anno, e non sapeva nulla di tutto quello che stava succedendo. Jihyo invece era al secondo anno di medie, era due anni più piccola di me. Era una brava ragazza, tranquilla, studiosa, dedita alla famiglia. Cercavo di tenere all'oscuro anche lei, volevo proteggerla, non volevo farle perdere il sorriso meraviglioso che la contraddistingueva. Quando litigavo con i miei genitori, lo facevo solo se lei era a scuola, o comunque fuori casa. Non avrei mai potuto sopportare anche il suo abbandono, e per fortuna, almeno in quello ebbi l'appoggio dei miei. Poi si fidanzò, si chiamava SiWoo. Ero felicissimo per lei! Avevo anche conosciuto il ragazzo e sembrava un tipo apposto, pensa che sono stati insieme per tre anni. Dopo qualche tempo, però, iniziò a tornare a casa con un'aria triste, sconsolata. Durante i pasti non c'era quasi mai, diceva di dover uscire, o che si sarebbe fermata da qualche parte. Quando tornava, poi, si rinchiudeva subito in camera, e ci parlava sempre più raramente. Eppure è strano: l'amore non dovrebbe far sorridere a 32 denti, far toccare il cielo con un dito? Una persona innamorata non dovrebbe essere sempre al settimo cielo, soprattutto a quell'età? Soprattutto col primo amore? Sul momento non ci diedi troppo peso, 'sarà una mia impressione, è pur sempre un'adolescente', pensai. Un giorno pioveva molto, ma lei decise comunque di uscire con il suo ragazzo per festeggiare l'inizio delle vacanze invernali. Insomma, doveva essere una serata tranquilla, spensierata. Avevamo pensato che magari un po' di divertimento le avrebbe fatto bene. Qualche ora più tardi ricevemmo una telefonata da parte di SiWoo, con la voce rotta dal pianto: ci disse che avevano fatto un incidente, che lui stava bene, ma che Jihyo aveva una brutta cera. Ci catapultammo da loro, li prendemmo, e sfrecciammo verso l'ospedale. Io la stringevo, cercavo di darle tutto il calore possibile. La sentivo piccola, fragile, come se il solo soffio del vento la potesse sgretolare. La pioggia scrosciava ancora senza sosta, non si riusciva a vedere nulla, ma per fortuna arrivammo sani e salvi in ospedale. La visitarono, e dopo poco ci dissero che avevano trovato su tutto il suo corpo, oltre alle ferite derivate dall'impatto con l'asfalto, bruciature di sigaretta e tagli sui polsi. In quel momento realizzai. Stava soffrendo in maniera incontrollata, da sola. Stava pian piano perdendo tutte le forze, eravamo arrivati troppo tardi. Mia sorella aveva qualcosa in testa, che come un demone si era impossessato di lei e l'aveva resa un'altra persona. Ci era stata data una diagnosi, avevamo un nome per quella bestia: disturbo depressivo persistente, o Distimia. Purtroppo è più comune di quanto si immagini tra gli adolescenti, ed è molto simile alla depressione maggiore per quanto riguarda i sintomi, ma è caratterizzato dalla sua durata persistente, ovvero intorno ai due anni. Mia sorella ha sofferto in silenzio per due anni, e noi non ci siamo mai accorti di niente. Non c'è stato niente da fare. Era solo una bambina, e io non sono riuscito a proteggerla, troppo accecato dai miei problemi. Mi sento in colpa Mike, avrei potuto salvarla. Se solo me ne fossi accorto prima, se solo..."

A questo punto, decido finalmente di girarmi per abbracciarlo d'istinto. Lo lascio piangere tra le mie braccia. È una ferita ancora aperta, e lo capisco perché non è facile dimenticare, perdonarsi cose del genere.

"Non è stata colpa tua -sussurro, tentando inutilmente di calmarlo- non potevi saperlo"

So che le mie parole non servono a nulla, so che se le sarà ripetute infinite volte in un vano tentativo di convincersi che fosse così, perché in fondo è così.

"Mike, non hai idea di quanto io mi sia sentito inutile, in colpa, sotto un treno. Quando l'ho vista stesa su quel letto, immobile, fredda, è stato come se mi avessero strappato le budella. Ho realizzato che i campanelli d'allarme c'erano tutti, ma li ho ignorati, forse ho scelto di ignorarli. Forse non volevo credere che stesse accadendo proprio a lei. Proprio alla mia sorellina" scoppia di nuovo in un pianto disperato, uno di quelli che ti fanno perdere il respiro.

Dopo poco si ricompone e riprende in mano la polaroid, osservandola per un po'.

"Sai -riprende a parlare- questa foto è stata scattata il giorno del suo sedicesimo compleanno. Eravamo al parco per fare un picnic. Lei amava andarci di mattina presto, vedere l'alba dietro le sagome dei grattacieli, stendersi sull'erba, osservare il cielo e cercare di indovinare la forma delle nuvole, assaporando il profumo dell'erba ancora umida di rugiada, e dei pochi fiori ancora presenti, sintomo dell'arrivo imminente dell'inverno –si prende un momento per assaporare ancora quegli attimi- le mascherava proprio bene le emozioni" un sorriso amaro si fa largo sul suo viso, ancora arrossato e rigato da poche lacrime.

Author's note

Ok, ammetto che non è proprio il capitolo migliore per ritornare a pubblicare, MA sono tornata. Mi dispiace per questa pausa lunghissima, ma l'ispirazione mi ha abbandonata per un po', anche per avvenimenti non proprio piacevoli. Non voglio promettere che sarò sempre costante con gli aggiornamenti, ma voglio provarci.
Grazie per la pazienza, se siete ancora qui, se no lo capisco e vi abbraccio forte. Un bacio a tutti❤️

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