Capitolo 3

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Le ho lasciato il bagno per prepararsi e io ho ordinato la cena alla cucina dell'hotel. Ho trasformato un tavolino traballante in una tavola e ho strappato un fiore finto da una composizione per farlo vivere in un vaso d'acqua di cui non conosce sapore; mi sono sistemata i pantaloni neri e la camicia bianca pentendomi di non aver indossato qualcos'altro, come quel tubino rosso che nell'acquistarlo, ho immaginato i suoi occhi addosso.

L'ho sentita infilarsi i tacchi e sospirare dall'altro lato della porta del bagno e sono rimasta qualche attimo con l'orecchio teso a sognarla, dipingendola mai bella quanto sarebbe stata quando me la sarei trovata di fronte: il blu notte di quel vestitino che taglia le sue cosce, i suoi occhi chiari marcati dal tratto scuro dell'eyeliner, mi fa sussultare.

«Sei bellissima.» anticipa lei, mi coglie di sorpresa perché non so ricevere complimenti, perché nessuno me l'aveva mai detto con quella sincerità che ogni parola pare emozionarsi nell'essere pronunciata, perché è lei che me lo dice, lei che sembra una dea.

«Dovrei essere io a dirtelo.»

Ignora il mio commento e gioca «Sei puntuale, si vede che è il nostro primo appuntamento.» Gioca per celare un evidente timidezza che le arrossa il viso e le fa stringere più forte la pochette fra le mani, mani frenetiche che hanno timore di incontrare le mie. Il mio braccio cinge la sua vita, il suo braccio attorno alle mie spalle, ridiamo perché sembriamo due bambine in una recita, in un gioco nell'attesa che mamma e papà tornino a casa.

Passeggiamo su e un giù per la stanza centocinque come se fossimo sul ciottolato di una vecchia cittadina dove i negozi sono ancora aperti e la gente è ancora riversa fuori dalle case per compere, chiacchiere e stralci di sole che stanno per lasciare il posto all'incanto lunare che libera segreti e uccide menzogne. Insceno l'acquisto di una rosa sotto i suoi occhi, temo mi giudichi stramba finché anche lei non saluta quell'immaginario fiorista.

Mentre spingo la sua sedia sotto al tavolo, bussano alla porta e mi trovo di fronte un annoiato dipendente dell'hotel con due cartoni di pizza. Portiamo le pizze in tavola e le dico «Avrei voluto qualcosa di più - di meno pizzoso per il nostro appuntamento, ma...»

«Va benissimo così,» affonda le dita nella crosta calda e sporcandosi appena le labbra col pomodoro aggiunge «la pizza italiana è sempre la migliore per chi non può mangiarla ogni volta che vuole, e poi nessuno mi ha mai portato ad un appuntamento così...»

«Così assurdo?» suggerisco io.

Ride coprendosi la bocca con la mano e il suo ginocchio sfiora il mio bloccando ogni mio gesto, ma lei non se accorge impegnata a inghiottire quella margherita che la rende un po' bambina «E' magico. Assurdo, ma magico.»

È per via dei suoi occhi sibillini o forse del tremore della sua mano, ma mi sento libera di respirare nel sentire che quella magia non è un sogno a senso unico. 

«E pizzoso!» ripeto io e lei scoppia a ridere fragorosa e dirompente, incurante del movimento scomposto del suo corpo a ogni suo grugnito a cui m'unisco contagiata.

«In realtà ho avuto appuntamenti più assurdi.»

«Raccontami.»

«Fred mi ha portato al cinema con i suoi genitori.»

«Cosa? Stai scherzando?»

«Ha anche cercato di baciarmi! Però avevamo quattordici anni, lo posso perdonare.»

«E' stato il tuo primo ragazzo?»

«Fred? No! Non mi sarei mai messa con uno come lui. Il mio primo ragazzo è stato Liam, suonava in una band ed era terribilmente bello, bello e dannato. Mi ha spezzato il cuore, come tutti quei cattivi ragazzi che vuoi trasformare in principi azzurri. Così io sono finita con il cuore spezzato e lui con quasi tutte le ragazze della scuola.»

«Il fascino dello stronzo.»

«Mi ha lasciato il giorno del ballo di fine anno e così ci sono andata con Chris, un amico di mio fratello che ho scoperto aver sempre avuto una cotta per me.»

«Ballo di fine anno salvato.»

«Voi qui non lo organizzate vero?»

«No, grazie al cielo!»

«Perché?»

Senza nemmeno comandarle le mie mani indicano il mio corpo come un tronco di legno mentre ricordo un'imbarazzante versione adolescenziale di me stessa che si dimena in discoteca «Non ho speranze, sono proprio impedita.»

«Non ci credo. E' solo questione di pratica.» Si alza in piedi, si sporge oltre di me per avviare una playlist dal suo telefono poi, allungandomi la mano, aggiunge «E di lasciarsi andare.»

«Non ci pensare nemmeno!» mi tiro indietro, spingo contro lo schienale della sedia e scuoto il capo, ma il suo volto resta deciso e rassicurante così non posso far altro che abbandonandomi alla sua mano che scorre sulla mia schiena mentre l'altra stringe la mia.

Non distoglie i suoi occhi dai miei.

Mi culla.

Mi culla sulle note di Dance Me To The End Of Love. Balliamo abbracciate, con la mia bocca che potrebbe baciare la sua spalla in qualsiasi momento e il suo respiro che scompiglia i miei capelli, con le sue dita affusolate arrotolate attorno alle mie; ci guardiamo tra le parole calde e rauche di Leonard Cohen che invoca Dance me to your beauty with a burning violin, dance me through the panic 'til I'm gathered safely in, lift me like an olive branch and be my homeward dove, dance me to the end of love* e ci ferisce e ci fa sobbalzare e ci fa sentire piccole e ci fa sentire speciali e ci fa stringere ancora di più l'una all'altra cancellando razionali logiche che strapperebbero le nostre mani.

Ci manca il respiro quando i nostri occhi si incontrano nell'ultimo verso così scivoliamo in un improbabile imbarazzo che ci fa spostare il capo ai lati opposti. Io mi appoggio al mobile alle mie spalle e lei si protegge il petto con le braccia: stiamo in silenzio mentre la playlist continua a cantare Leonard.

Vorrei trovare parole che sminuiscano la tensione, ma la mia bocca è secca e le mie mani tamburellano silenziose contro il verde sbiadito di quel mobile che mi sostiene dal non crollare di fronte alla sua bellezza che mi rapisce e confonde. Una parte di me vorrebbe fuggire dalla stanza centocinque e l'altra vorrebbe che il mondo fosse solo quella stanza, senza domande o definizioni o dubbi o logiche.

«Forse dovrei...» Neanche lei sa come nascondere quella cavalcata di battiti che i nostri petti non riescono a trattenere. Una cavalcata di battiti che non ha ragione d'essere, ma non possiamo trattenere perché è un anno che i nostri cuori aspettavano di potersi confondere l'uno nell'altro. Non so pensare quando lei è intorno a me, perdo ogni razionalità come se entrassi in un vortice di estasi così avvolgente da non potermene liberare. Le sue braccia ciondolano agitate e i suoi passi si fanno avanti e poi indietro e poi ancora avanti prima di appoggiarsi lievemente sulle mie labbra consentendomi di prendere il suo viso fra le mani. Un bacio lento, morbido, lungo. Un bacio bellissimo. Un bacio come quello delle favole, come quello che sognavo sin da quando ero piccola. Un bacio bellissimo dalla persona che avevo sempre sognato, e non lo sapevo.


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*Conducimi fino alla tua bellezza con un violino ardente, conducimi attraverso il panico finché potrò essere al sicuro, alzami come un ramo d'ulivo e diventa la colomba che mi riconduce a casa, conducimi fino alla fine dell'amore

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Foto di KoolShooters da Pexels

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