Capitolo 9

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La colazione è finita senza dire una parola. Lei ha mangiato due uova e un croissant inzuppato nel caffè mentre io ho bevuto a stento del caffè. Mi sono accorta di aver lasciato a lei l'unico croissant al cioccolato e che, per la prima volta, non mi è pesato rinunciare a qualcosa che amo per darlo a qualcun altro, per darlo a lei.

Lei si alza dalla tavola, si china sul trolley e continua a non pronunciare respiri. Fruga tra i vestiti e le scarpe senza guardarmi, senza cercarmi, e io mi sento sprofondare su quella sedia malamente imbottita. C'è un mondo fuori che sta cominciando a correre e c'è un mondo qui dentro che si sta fermando e io so che tra poco lei si vestirà di abiti cinici e camminerà fuori da quella porta che separa il sogno dalla menzogna. Lo farà senza mostrare ripensamenti o titubanze come un'attrice nel suo ruolo più intenso; forse mi bacerà un'ultima volta ingannata dagli occhi lucidi e poi lascerà la presa delle mie mani e se ne andrà. Questa volta sarà per sempre, me lo dice il suo corpo che evita il mio.

«E' questo quello che vuoi? Vivere in una stanza tormentata dal fantasma di noi due?» Le domando retorica fermando i suoi gesti che continuano a darmi le spalle «Perché io non voglio andarmene e vivere nell'attesa di un altro anno, nel dubbio che forse non tornerai mai più. Io voglio te e voglio essere tutto ciò che vuoi. Dimmi che non mi vuoi e non mi rivedrai mai più, dimmi che ami Dan e mi hai preso in giro... E ti odierò. Ma non dirmi che non mi vuoi solo perché hai paura, perché hai paura di essere l'attrice lesbica non è vero? Le definizioni non cambiano o rovinano ciò che sentiamo e vogliamo: camminare mano nella mano in mezzo alla gente in una vera strada, cenare insieme ad una tavola apparecchiata, litigare per cosa guardare in tv e addormentarci in un letto come questo ogni sera per poi al mattino lasciarti il mio croissant preferito perché so che piace anche a te - e tu non sai quanto io ami i croissant al cioccolato! Ma a te lo lascerei, anche se non per sempre: prima o poi dovremo trovare un compromesso. Quello che abbiamo assomiglia alla parte migliore di noi, come puoi fingere che questa stanza ci sia sufficiente?»

Le mie dita stringono la tovaglia sgualcita e lei resta ferma, china, col capo basso e la spina dorsale dritta sotto l'accappatoio che lascia scoperti solo i suoi talloni. Vorrei alzarmi dalla sedia malamente imbottita e girarla nelle mie braccia e baciarla, darle una ragione per osare vivere fuori dalla menzogna, ma non so più quale sia la verità e la bugia e se siamo figlie di un'utopia che ci ha illuso di poter vivere come nella stanza centocinque fuori dalla stanza centocinque.

Lei si alza da terra stringendo dei vestiti ipocriti contro il suo petto, non si volta e scompare dietro la porta del bagno senza un rumore. Scappo da quella sedia malamente imbottita che d'improvviso diventa di chiodi e vago sul pavimento ghiacciato. Passo dal letto che ora non sembra più morbido e vergine al bordo della scrivania e al ponte giapponese di Monet e allo smartphone che suona ancora dei nostri baci profondi e caldi e di come noi non siamo le prime ad essersi sorrise, ad essersi amate e a essersi allontanate; eppure Hey that's no way to say goodbye lamenta Leonard Cohen.

Eppure questo è il momento, Leonard, penso.

Le mie gambe cadono dentro i pantaloni neri e la camicia bianca ha perso un bottone che trovo in terra accanto alle scarpe che lei aveva scalciato via durante ore che sembrano di un'altra vita adesso.

Lo specchio mi sfida mostrandomi gli occhi di chi sta per rigare le guance, ma io non ho più paura di avere paura. Tocco il riflesso e mi presento a me stessa, ché ci siamo cercate e scontrate per più di vent'anni e ora che siamo una di fronte all'altra non sappiamo perché ci abbiamo messo così tanto tempo e così tanta paura a trovarci. Eccoci, io e me stessa ora siamo come due pezzi che finalmente si incontrano e possono completare il puzzle. Ora il puzzle è pronto e possiamo mostrarlo agli altri e comincio a piangere stringendo i pugni contro la parete che mi separa da lei, lei che è lontana e non sente i miei passi uscire dalla stanza centocinque. Non abbiamo più altro da dire ora che la menzogna ha ucciso la verità e utopia torna a vagare sola alla ricerca di qualcosa che forse non è mai stato dentro la stanza centocinque. 

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Foto di BARBARA RIBEIRO da Pexels

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