CAPITOLO 31 | Josh

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20 DICEMBRE
-96 giorni

Con lo zigomo gonfio e il costato dolorante, Josh aprì a stento gli occhi quando sentì il campanello strillare all'ingresso.

Non sapeva che giorno fosse, né tanto meno l'ora, ma dalla luce che entrava dalle finestre del soggiorno, pensò fosse passato mezzogiorno.

Si tirò a sedere sul divano, sentendo subito la faccia pulsare sotto le dita e cercò di ricordare cosa fosse accaduto la sera prima: il cervello era ancora annebbiato dall'alcol e l'erba fumata per provare a rilassarsi e, guardando la maglietta sporca di sangue, si chiese se fosse il suo o quello di qualcun altro.

Non ricordava proprio niente.

Si girò verso l'ingresso quando il campanello suonò un'altra volta e pensò di ignorare chiunque avesse deciso di rompergli le palle mentre era ancora sbronzo, ma chissà come, le gambe agirono per conto proprio e luì zoppicò fino alla porta, inciampando quasi nelle bottiglie di birra vuote sul pavimento.

«Signor Phin?» Chiese titubante un ragazzo con un gilet azzurro e un pacco rettangolare sotto braccio.

«Sono io.» Rispose roco, col sapore del sangue sulla lingua.

«Firmi qui, per favore.» Gli porse timido un palmare e Josh scarabocchiò il suo nome sul display e afferrò il pacco senza dilungarsi in ulteriori formalità.

È leggero, pensò, rientrando in casa, convinto d'aver ordinato magari qualcosa su Amazon durante un attacco di sonnambulismo, ma quando appoggiò il pacco al bancone della cucina e strappò via l'incarto, una sola occhiata e capì subito chi glielo spediva: Sarah.

Raddrizzò la tela per vederla bene e appoggiò il quadro al pavimento, contro il bancone, facendo qualche passo indietro per avere una visione migliore dello sfondo: Brooklyn Heights.

E il cuore si inceppò.

Riconobbe la Promenade deserta, illuminata dalle luci gialle dei lampioni; lui seduto sulla panchina centrale e dipinto dalle stesse mani che, fino all'ultimo, avevano cercato di consolarlo, ma l'avevano abbandonato comunque.

Senza forza, si lasciò cadere sul pavimento e gli tornarono in mente le ultime parole che gli aveva detto, prima di lasciarlo: "Non farti male", aveva pronunciato come fosse una supplica, eppure lei continuava a tormentarlo.

Lo prendeva in giro?

Lasciami in pace, pensò, allungando la mano verso la tela, intenzionato a voltarla, gettarla o darle fuoco, ma prima che potesse portare a termine uno qualunque di quei propositi, un biglietto scivolò dal retro del telaio e il tempo si fermò un'altra volta.

"Il tuo posto preferito, è diventato anche il mio. Buon Natale in anticipo.", lesse d'un fiato ed ebbe l'impulso di fracassarsi il cranio per smettere di soffrire definitivamente.

Si ricordò di quella sera passata insieme, quando lei aveva cercato di spiegargli il suo amore per l'arte, seduta sulle sue ginocchia e poi l'aveva guardato, compreso e lui aveva capito quanto la voleva.
Proprio come in quel momento, in cui desiderava solo sentire la sua voce per mezzo secondo: una parola, un sospiro, anche un insulto.

Avrebbe accettato tutto pur di riascoltarla.

Che patetico.

«Josh...», sentì l'eco del suo nome rimbombare nel cranio e alzò gli occhi su Jess che, chissà perché, se ne stava in piedi come un manichino in mezzo all'appartamento, con addosso un paio di jeans neri, una felpa e la classica acconciatura alla James Dean.

NIGHT SKYWhere stories live. Discover now