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A passo svelto, il corvino e i suoi fratelli, arrivarono davanti a un vecchio magazzino. O almeno, quello che sarebbe dovuto essere. Attorno a loro...solo buio.
Ma si riuscì a distinguere la sagoma dello scheletro di quello che avrebbe dovuto essere un edificio di diversi piani.

La luna illuminò lo sguardo di ghiaccio del signor Ackerman e a Lorenzo mancò un battito, quando lo vide intento a guardare le stelle, con in volto un’espressione spenta e senza emozioni.

Diede una lieve gomitata al gemello, facendolo voltare confuso e con un cenno del capo, gli indicò il ragazzo accanto a loro.

E dalla sua espressione si poteva vedere quanto fosse stupito: Alessandro Ackerman non mostrava mai quello sguardo. Anzi, lui non mostrava mai alcuna emozione.

L’unica cosa che esternava era la sua rabbia. Ma le altre emozioni no.

  «Alessandro» sussurrò Lorenzo, avvicinandosi al fratello. «La riporteremo a casa. Sana e salva» cercò di rassicurarlo.

Alessandro sospirò, mettendosi una mano tra i suoi sottili capelli corvini. «Lo spero» mormorò soltanto, portando lo sguardo all’edificio di fronte a sé.

  «Certo che ci tieni molto a questa donzella, eh fratello? Insomma, sembri più preoccupato per lei che per noi!» esclamò ridendo, Tommaso, guadagnandosi, da entrambi, un’occhiataccia. «Diavolo, come siete noiosi!» esclamò in un sbuffo, alzando gli occhi al cielo.

Cercarono entrambi di ignorarlo, facendo finta che non avesse detto niente. «Allora, sapete già cosa dovete fare...quindi, state solo attenti a non farvi beccare, chiaro?» spiegò loro, facendo segno di dividersi, per poi tornare con lo sguardo fisso alla porta dell’edificio.

  «Vedi, Lorenzo? Intendo proprio questo! Mica ci dice “State attenti e tornate a casa vivi”...no, lui si preoccupa per la sua donzella intrappolata e in pericolo!» riprese ironico e, questa volta, Lorenzo, cercò di trattenere le risate, invano.

  «Avete finito voi due?» chiese irritato, senza degnarli di uno sguardo. «Andate e state zitti»

Annuirono, cercando di trattenere le risate, per poi seguire le direttive del fratello maggiore che, con uno scatto, uscì dal nascondiglio impugnando la sua Colt M1900, iniziando a sparare a chiunque si sovrapponesse tra lui e l’entrata.

Una pallottola gli sfrecciò accanto al volto, ferendogli una guancia procurandogli un taglio netto poco sopra lo zigomo.

Si accovacciò dietro quelli che forse, in passato, saranno stati dei bidoni, sporgendo appena la testa.

Adocchiò diversi uomini, che stavano sparando nella sua direzione, per poi mirare e ricambiare il fuoco, fino a quando il caricatore non si svuotò.

Appoggiò la schiena contro quello sporco e consumato bidone, si sfiorò la guancia dentro con il pollice trovando del sangue che stava sgorgando dalla ferita fattasi precedentemente.

  «Tsk, figli di puttana» sibilò, toccandosi la tasca, notando la presenza di un solo caricatore. «Merda!» esclamò in un mormorio, guardandosi attorno. Non trovando alcuna arma da usare o via di fuga, sospirò irritato, ricaricando la sua pistola per poi riporla dentro la sua fodera. «Questi colpi mi serviranno per uccidere quel bastardo» sussurrò tra sé e sé.

Saettò lo sguardo verso gli Inglesi, guardando come due di loro stessero crollando al suolo, ormai in fin di vita.

Uno di loro aveva un foro in testa e gli occhi rivoltati all’indietro, mentre l’altro l’addome tutto bucherellato. Dalla camicia era forata, il sangue sgorgava velocemente macchiando di un colore scarlatto tutto il terreno attorno a lui.

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