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Il forte vento, che insistentemente e ripetutamente colpiva gli alberi, trasportava con se grosse nuvole nere, che minacciosamente contornate da lampi e fulmini, si preparavano a dare vita all’ennesimo acquazzone della settimana.

La giornata diventava sempre più cupa e triste; il tuono rumoreggiava in lontananza, dietro le colline livide e nere.

La luce metallica dei lampi inondava ogni cosa, la camera buia, il corridoio silenzioso.

Un nuovo rombo assordante, il bagliore azzurro di un lampo, un altro tuono, ancora, riempirono la stanza di luce per qualche breve istante e la pioggia scrosciò furiosa contro le vetrate.

Fuori cresceva la furia del temporale, la pioggia batteva contro la porta e la finestra.

Lo studio era illuminato dal fuoco del camino acceso, che riscaldava la stanza in quella fredda giornata di gennaio.

Il corvino sedeva di fronte alla vetrata, immerso nei suoi mille pensieri, con un vecchio libro in mano.

Rileggeva sempre la stessa frase, non riuscendo ad andare oltre.

  «Milady sorrideva. E D’Artagnan sapeva che per quel sorriso si sarebbe dannato» i pensieri gli riportavano sempre in un unico punto.
O meglio, a un’unica persona.

Sospirò, appoggiando la testa allo schienale della sedia chiudendo gli occhi.

Si voltò non appena la porta si aprì, rivelando la figura della madre con in mano un vassoio.

  «Ti ho portato del the...fa bene alla salute» disse soltanto, poggiando sulla scrivania le tazze con la teiera e, notando il libro tra le mani del figlio, sorrise, ricordandosi gli anni passati. «Era il tuo libro preferito da piccolo...giocavi sempre con tuo fratello maggiore a esser uno di loro» sussurrò, indicando con lo sguardo il volume tra le sue mani. «Ricordo che la tua frase preferita era-»
Alessandro la interruppe, prendendo la propria tazzina.

  «Tutti per uno, uno per tutti» rispose con un piccolo sorriso in volto. «Grazie, mamma» sussurrò, tornando con lo sguardo sul libro cercando di andare oltre quella semplice frase.

La donna sorrise, per poi uscire dal suo studio lasciando Alessandro di nuovo da solo. Iniziò a sorseggiare il suo amaro the nero, con lo sguardo rivolto verso il camino.

Ammirava quella leggiadra danza che creavano le fiamme. Si sedette davanti la scrivania, iniziando a sfogliare quella pila di documenti.

Ma la sua attenzione fu completamente catturata da un suono svelto di passi pesanti che si avvicinavano sempre di più verso il suo ufficio fino a quando, la porta non si spalancò d’improvviso, rivelando la figura di Diego leggermente affannato che reggeva ancora la mano alla maniglia, in una presa ferrea.

I suoi smeraldi incontrarono quelli glaciali, guardandoli con fare preoccupato.

Prima ancora che il signor Ackerman potesse aprire bocca, il minore lo anticipò.

  «Lui...è qui» disse in un flebile sussurro, con voce tremante, facendo irrigidire appena il corvino che strinse leggermente la presa di un foglio tra le mani.

  «Fa accomodare il nostro ospite» si limitò a dire con voce ferma, non facendo trapelare nessuna emozione.

Il bruno annuì col capo per poi socchiudere la porta e tornare, a passo svelto, al piano sottostante.

Intanto il corvino non si scompose minimamente. Semplicemente si limitò ad alzarsi di poco le maniche della sua camicia bianca fino ai gomiti.

Sistemò le ultime scartoffie e nel momento in cui stava afferrando l’ennesimo foglio, la porta si spalancò di nuovo rivelando, questa volta, la figura di un uomo alto e robusto.

Indossava un cappotto nero, con in testa un cilindro del medesimo colore entrambi fradici di acqua.

Si tolse il copricapo, mostrando appieno il suo volto. I lineamenti duri e gli occhi contornati da delle leggere rughe, le labbra sottili strette e leggermente screpolate dal freddo.

Con un accenno di barba grigia, leggermente più folta attorno alla bocca. I capelli bruni, con qualche riflesso grigio, erano leggermente schiacciati a causa della presenza del copricapo.

Guardò dritto negli occhi il signor Ackerman, con una luce di sfida, facendogli incontrare due pozze azzurre.

Pareva un uomo all’incirca sulla cinquantina d’anni.

La sua postura era rigira mentre stringeva una valigetta di pelle marrone leggermente consunta ai lati.

Il corvino si schiarì la gola, alzandosi dalla propria sedia.

  «Salve, a cosa devo l’onore della vostra visita, signor...?»

  «Capanzaro...Michele Capanzaro» rispose semplicemente, avanzando verso la scrivania a passo felpato, senza distogliere lo sguardo dal signor Ackerman.

  «Prego, si accomodi, signor Capanzaro» affermò indicando con un gesto della mano la sedia di fronte alla scrivania. «Posso offrirle qualcosa?» chiese cordialmente Alessandro, dirigendosi verso la cristalliera degli alcolici.

  «No, la ringrazio, sono di servizio» rispose semplicemente.

  «Un goccio ogni tanto non fa male...ma come vuole lei» ribatté, scrollando le spalle, versandosi due dita di quel liquido alcolico all’interno del suo bicchiere di vetro. «Quindi?» ribadì il corvino una volta che il bruno si sedette di fronte a lui.

  «Stia tranquillo, signor Ackerman, volevo soltanto farle delle domande» iniziò l’uomo, aprendo la sua valigetta tirando fuori un sigaro. «Le dispiace se fumo?» chiese mettendosi tra le labbra il sigaro, guardando il corvino da sopra i piccoli occhiali rotondi.

  «Si figuri» rispose, sospirando silenziosamente, passandogli il posacenere.

Speriamo che non sporchi niente con quel maledetto coso.

Pensò guardando l’uomo di sott'occhio, tornando seduto, portandosi una mano al mento.

  «Vede, signor Ackerman, non so se ne è a conoscenza ma pochi giorni fa, in questa zona, è stato compiuto un delitto» continuò riprendendo, il signor Capanzaro, accendendosi il sigaro, ispirandone il suo fumo nero.

  «Si, ne ho sentito parlare. Ma, a esser sincero, credevo che fosse una banale rissa di quartiere finita in disgrazia» mormorò il corvino, osservando come il liquido roteasse all’interno del bicchiere, «Ha già qualche sospetto riguardante l’assassino?»

  «Queste, signor Ackerman, sono informazioni private» ribatté. «Mi può dire dove stava la notte dell’omicidio?» prese un vecchio taccuino dalla valigetta.

  «A girare tra i bar» rispose con una scrollata di spalle, in modo vago alzando lo sguardo freddo sul’uomo. «Non so se mi spiego» continuò, guardandolo mentre scriveva le sue risposte. «Continui, prego» mormorò facendogli cenno con la mano di proseguire.

Si alzò dalla sedia, andando verso la vetrata.

Non smetteva di diluviare, le gocce d’acqua piovana scendevano contro il vetro creando una danza confusionaria.

Alessandro si mise una mano in tasca mentre sorseggiava il bourbon lentamente.

  «Sa dirmi in quale bar?» chiese alzando lo sguardo su di lui.

Lo teneva d’occhio e lui lo sapeva.

Alessandro si sentiva il suo sguardo pesante addosso, cercava in ogni modo di non far vedere il suo nervosismo.

Non gli piaceva essere fissato, specialmente se per lungo tempo.

  «Bene, signor Capanzaro...si è fatto tardi. Credo che le convenga andare prima che le strade si affollino di ubriaconi» affermò a un certo punto, ormai stanco delle sue domande. «Arrivederci» lo accompagnò alla porta, evitando di farsi toccare, per poi tornare nel suo studio.

Spero solo che non sospetti di Lorenzo e Tommaso, pensò sospirando, mettendo le mani tra i suoi lunghi capelli corvini.

La mia Ossessione Tahanan ng mga kuwento. Tumuklas ngayon