2. Due settimane

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One Year Ago

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One Year Ago

Juliet osservava suo padre giocare con le marionette, realizzate quando lei era piccola.

«Sei bravo» mormorò la ragazza, sorridendo. «Come fai a fargli muovere la bocca?»

«È un segreto professionale» disse lui, sorridendo a sua volta.

Sentirono il campanello del portone suonare.

Suo padre chiuse le marionette in un piccolo baule che diede alla governante, che lo portò via, e Juliet si aggiustò l'abito, assicurandosi che le pieghe della gonna fossero lisce. Si ravvivò i capelli, si sistemò le maniche, e, quando sentì suo padre sbuffare, fece cadere le mani lungo i fianchi.

Gli sorrise e lui alzò gli occhi al cielo.

«Guarda che mi stavo solo sistemando!»

Lui non fece in tempo a ribattere, che il maggiordomo entrò nella sala da tè con gli ospiti.

Erano invitati a cena i signori Terrencie e il loro unico figlio.
Erano arrivati a Londra da poco, e il signor Lowe, loro grande amico, li aveva invitati a cena per le due settimane che sarebbero rimasti.

Quando entrarono, si inchinarono tutti brevemente, e il signor Lowe li accolse con calore. Juliet notò subito il loro figlio, leggermente in disparte rispetto ai genitori. Aveva i capelli castano chiaro, corti, e gli occhi castani. Era alto, snello e attraente.

Anche lui la osservò, poi si avvicinò.

«Voi siete Juliet Lowe, sbaglio?» chiese.

«Non sbagliate» rispose lei. «E voi Rainold Terrencie, giusto?»

«Giusto.»

«Da dove venite precis-»

Il maggiordomo entrò e lei tacque.

«Signori, se siete così gentili da seguirmi in sala da pranzo, la cena è pronta» disse.

Si inchinò e uscì dalla stanza. Tutti lo seguirono in sala da pranzo.

Presero posto al lungo tavolo rettangolare. Juliet si sedette di fronte a Rainold Terrencie.

«Ditemi, signorina Lowe, siete fidanzata?» chiese, mentre una cameriera gli portava un piatto con il brodo.

«No» rispose Juliet, mettendo il cucchiaio in bocca. «E voi?»

«No» rispose lui, guardandola negli occhi.

Lei sostenne il suo sguardo intenso, per quanto potesse, finché la cameriera non le versò dell'acqua nel bicchiere, coprendole la visuale e interrompendo il contatto visivo.

Juliet riportò gli occhi sul suo piatto, osservando i pezzetti di zucchina galleggiare serenamente sul brodo.
Senza guardare quella visione disgustante, prese un'altra cucchiaiata.

Dopo cena, si diressero nel salone, dove una coppia assunta dal signor Lowe suonava il pianoforte e il violino.

«Rainold, signorina Lowe,» esordì la signora Terrencie, «ci fareste l'immenso piacere di vedervi ballare insieme?»

Juliet sorrise, tentando di dirle in qualche garbato modo di no, ma Rainold Terrencie la precedette.

«Ma certo, madre.»

La ragazza fu presa dal panico.

Guardò prima suo padre, che le sorrise, incoraggiante, poi Rainold, che le tese la mano. I signori Terrencie la guardavano senza capire perché rimanesse lì ferma, immobile, sulla comoda poltrona che aveva occupato.

Sospirò, poi si alzò e afferrò la mano di Rainold.

Lui posò la sua mano destra sulla vita di Juliet, e lei la sinistra sulla sua spalla.

I suoi occhi erano bellissimi, motivo per cui lei cercava di non guardarli. Fissava i musicisti, in particolare osservava con molta attenzione le corde del violino.

«Non vi piace guardare le persone in faccia?» fece Rainold.

«No, no» sussurrò Juliet. «Non è assolutamente come dite. Voglio dire... io non, io... non è che...»

Lo guardò negli occhi. In quello sguardo castano chiaro che da vicino sembrava splendente.

«Non pensate che io sia maleducata» mormorò.

«Non lo penso affatto, signorina Lowe.»

«Io... provo disagio a guardare le persone con... con... uno sguardo intenso.»

Lui le fece fare una giravolta.

«Il mio sguardo è intenso?»

Juliet aveva nuovamente spostato la sua attenzione sul violino.

«Come?» disse.

«Guardatemi» mormorò lui.

E lei obbedì.

Ma fece uno sbaglio. Lo sbaglio di incatenare i suoi occhi a quelli di lui, e non volersene più liberare. Di non voler più spostare lo sguardo per contemplare qualcosa di migliore, perché non c'era niente di più bello.

«Il mio sguardo è intenso?» ripeté, ma questa volta più lentamente.

«Sì» sussurrò Juliet.

E ballarono, gli occhi di lei in quelli di lui, quelli di lui in quelli di lei.

Quando la musica si fermò, a Juliet sembrò di tornare a terra, come se avesse volato per il breve tempo della sinfonia. Volato nei suoi occhi splendenti.

~•~

Due settimane dopo, Rainold partì. Juliet non sapeva quando lo avrebbe rivisto. Probabilmente mai.

Non sapeva neanche dove vivesse. A quanto pareva, viaggiava per tutto il Regno Unito, in continuazione.

Non era una paura quella che non lo avrebbe più rivisto. Era una certezza.

E fu in quel momento che Juliet capì di essersi innamorata di lui. Quelle due settimane trascorse insieme erano state ciò che aveva fatto nascere la scintilla.

Una scintilla che, Juliet non ne aveva assolutamente idea, sarebbe scoppiata di nuovo, un anno dopo, più forte di prima.

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If You Really Love MeWhere stories live. Discover now