Voce piccolina
Come sei bella la mattina
Chi lo sa
Fammi la cortesia
Dammi la tua vita
Entra nella mia
Bambola, bambolina
Affittami il tuo cuore
Lo pago come vuoiDi’ una parola gentile
Scrivimi una canzone senza fine
Io ti accompagno, se vuoi
Il tempo lo tengo tutto per noi
Posati sul cuscino
Sogna che sogno che sogni che sono vicino“Gerry! Gerry!”
Lo stacco pubblicitario durante la diretta è sinonimo di un gran marasma generale, tra fonici e addetti ai lavori che attraversano lo studio alla velocità della luce per prepararsi al riaccendersi delle telecamere, e per Giulia, in questa particolare situazione, è anche l'occasione perfetta per dare libero sfogo al tremore delle sue gambe, tenute più o meno a bada fino ad ora.
E poi, quale momento migliore per presentare i suoi genitori e un altro paio di personcine speciali a Gerry, placidamente appollaiato sulla sua poltrona e impegnato nelle consuete chiacchiere con chiunque gli passi vicino.
Così Giulia abbandona la sua postazione di stasera, quell'angoletto di studio da cui ha seguito tutto fino ad ora, lasciandosi sfuggire di tanto in tanto un'occhiata verso la porzione di platea alla sua sinistra, uno sguardo veloce a quelle quattro paia di occhi familiari che da una parte placano il suddetto tremore, dall'altra lo alimentano considerevolmente.
Si fionda attraverso lo studio, macinando i pochi metri che la dividono dalle sedute dei giudici mentre osserva lo sguardo di Gerry sollevarsi nella sua direzione e il viso di lui aprirsi in un sorriso pacato dei suoi, disponibile all'ascolto, attento a qualsiasi cosa lei abbia da dirgli.
“Posso presentarti delle persone?”, gli domanda con una voce piccola, improvvisamente emozionata da quell'incontro epocale tra i suoi due mondi, separati per questa sera dalla sottile linea divisoria tra il palco e la platea.
“Certo, certo.”, le risponde lui convinto, sollevandosi dallo schienale della sua poltrona per mettersi ben dritto e voltarsi verso il pubblico, abbastanza abituato a questo tipo di occorrenze da aver già capito tutto, “Presentami tutti.”, la invita, scrutando la platea alla ricerca di un viso che possa essere ricollegato alla ragazza in viola al suo fianco.
“Allora...”, comincia Giulia, focalizzandosi a sua volta sul pubblico finché il suo sguardo non s'imbatte in un paio di occhi del tutto simili ai suoi, “Quella bionda, la vedi lì?”, gli domanda, indicandola con un dito mentre Gerry si china appena al suo fianco per seguire meglio le sue indicazioni, “Mamma, saluta!”, la sprona, alzando appena la voce e ottenendo uno scuotimento di mani non indifferente da parte di Susi, “Ecco, quella lì è mia mamma.”, gli spiega, vedendolo annuire.
“Salve signora!”, la saluta lui, “Piacere, Gerry!”, aggiunge, facendo scoppiare quell'intero settore di pubblico in una risata fragorosa, “Ti assomiglia, eh, Giulietta?”, le dice, tornando a guardarla.
“Ma come fai a dirlo se è tutta coperta dalla mascherina?”, ride lei, percependo le sue gambe tornare finalmente ad una leggerezza priva del tarantolio agitato di poco fa.
“Dagli occhi.”, le spiega semplicemente lui, “Si capisce dagli occhi, bastano quelli.”
Forse Gerry ha ragione, forse bastano gli occhi. In fondo anche osservandoli ora, seppur distanti, ci ritrova la stessa emozione mista ad un'ansia pressoché costante che sente molto molto sua in questo momento.
Magari papà sarà più tranquillo, però, pensa, lasciando scivolare lo sguardo ad un paio di posti di distanza. Sicuramente sarà geloso che ho presentato prima mamma, questo è certo, riflette divertita.
A Gerry dice semplicemente “Quello invece è papà.”, indicandolo a sua volta con il dito e specificando sottovoce che è “Quello pelato, eh.”, strappando al suo amico conduttore una risata genuina e l'ennesimo cenno con la mano.
“Salve anche a lei!”, lo saluta, e Giulia vede suo padre ridere nonostante la mascherina che lo nasconde. Gli si chiudono gli occhi in due fessure strette strette, proprio come a lei, quasi spariscono.
“Sempre Gerry!”, continua lui con le presentazioni, trascinando la platea con sé in un altro momento d'ilarità, “Piacere!”, conclude, tornando a cercare lo sguardo di Giulia, “E i due signori tra di loro chi sono?”, le domanda con fare curioso, forse confuso dal perché suo padre e sua madre non siano seduti uno accanto all'altra.
A Giulia, di fronte a quella domanda, non può che spuntare un sorrisino incontenibile, mentre i suoi occhi tornano naturalmente a scrutare la platea, incappando in un saluto con la mano appena percepibile da parte di Pierluigi.
E' un gesto sottile, non da nell'occhio, esattamente come sarebbe se seduto là sopra ci fosse qualcun altro, magari qualcuno meno brizzolato di lui ma con la stessa identica volontà di passare inosservato, non causare eccessivo clamore, saperci essere e sostenere anche a distanza.
Al suo fianco, Lidia le getta uno sguardo con la coda dell'occhio, impegnata in una conversazione che più che parlata pare mimata insieme a sua madre.
Chissà che hanno sempre da dirsi, se lo sta chiedendo spesso, Giulia, nelle ultime ore. E' assolutamente intenzionata ad attuare la stessa pratica di sua madre, una volta che la trasferta vicentina a Roma sarà conclusa, un bel terzo grado serale sul divano per capire 'Che vi siete dette per due giorni interi, oh?' e venire a capo di questa sua curiosità vibrante. Sangio dice che non gli interessa, gli ha chiesto forse un po' troppe volte tra ieri e oggi se lui abbia la minima idea di cosa si dicano quelle due, ma Giulia è convintissima che lui finga, che sotto sotto gli importi, e che in qualche modo, forse meno esplicito del suo, il terzo grado avverrà anche un po' più a nord.
“Quelli sono i genitori di Sangio.”, dice a Gerry, che dal canto suo si limita ad annuire e a salutarli con un cenno del capo e un “Piacere!” roboante, ricambiato con un velo di timidezza.
“Hai un pubblico bello numeroso, eh?”, le sorride Gerry, portandola ad annuire, “Sia in platea che dietro le quinte.”, specifica divertito, “Sembrano tutti molto orgogliosi.”
Giulia fissa per un momento l'espressione compiaciuta di lui, rassicurante nel modo in cui quel sorriso accennato non sembri capace di mentire, poi si volta leggermente per posare di nuovo lo sguardo su quei quattro volti.
Orgogliosi, si, può darsi, forse è proprio così. Eppure questa certezza, che già si era ben sedimentata nella sua mente ancora prima che la puntata avesse inizio, non sembra bastare alle sue gambe.
E' passato un po' di tempo dall'ultima volta che sono state così poco collaborative, e anche se osservando i tratti miti di Gerry parrebbe che la cosa crei scompiglio solo nella sua stessa testa, Giulia sente il bisogno di mettere un punto alla maledetta agitazione che non sembra volersi allontanare da lei. Si facesse un bel giretto sulla Tiburtina, un paio d'ore all'aria fresca della notte le farebbero bene. Poi potrebbe tornare, senza problemi, in fondo in altri contesti hanno imparato a coesistere talmente bene al punto che Giulia la ritiene una compagna d'avventura quasi fondamentale.
E invece no, pare proprio che stasera non voglia trovare pace, e mentre i suoi occhi scuri scrutano i suoi dintorni e notano lo scompiglio generale, segno che la ripresa dopo la pubblicità è ancora lontana, la sua mente giunge ad una conclusione.
“Vado a vedere come sta Sangio.”, conclude, pronunciando quelle parole tra sé e sé, sovrappensiero, ma finendo immancabilmente per ottenere una risposta da quello che fino ad un attimo prima è stato il suo interlocutore.
“Digli che se dopo la puntata vi fermate per un momento avrò piacere di scambiare due parole, va bene?”, le fa sapere Gerry, al che Giulia annuisce, gettando un'ultima occhiata veloce verso la platea prima di schizzare nella direzione del tendaggio sui toni del blu che apre la via verso le quinte dello studio.
Fa giusto in tempo a scostare il materiale pesante della tenda per farsi strada verso la sala regia, prima che la sua frenesia la porti a scontrarsi con qualcuno, un impatto che per poco non la fa ruzzolare a terra, salvata unicamente da un equilibrio proverbiale sviluppato in anni e anni di danza.
O forse, più probabile, è solo grazie a una mera botta di fortuna se lei e Sangio non si sono abbattuti vicendevolmente, finendo invece per ritrovarsi sorpresi nel vedere l'altro davanti a sé.
“Dove vai, oh?”, gli domanda inquisitoria, spingendolo contro le spalle verso la direzione da cui è venuto, “Non puoi mica uscire da qua dietro.”, gli ricorda, “Se ti vedono sai che caos?”
Sangio sbuffa appena, recuperando le mani di lei dalle sue spalle per stringerne una e trascinarla con sé attraverso un corridoio basso e verso una stanza che Giulia conosce molto bene.
“Mica mi sarei messo al centro del palco, eh.”, precisa con una punta di sdegno, “Stavo solo venendo a vedere come andava.”
“Perché, da qua dietro non stai vedendo come va?”, gli domanda divertita, strappandogli un mezzo sorriso, prima che si infilino entrambi in una porta che fa da ingresso ad una sala oscura e tappezzata di monitor.
“Venivo a vedere come vai tu.”, le fa presente, tornando a piazzarsi sulla seggiolina dove Giulia suppone lui abbia trascorso la prima parte della trasmissione, “Il resto l'ho visto benissimo, guarda che roba.”, indica gli innumerevoli schermi davanti a loro, “Anche se quella dev'essere la mia inquadratura preferita.”, ride appena, riferendosi ad uno schermo in alto a destra, che riporta le immagini di un angolo dello studio al momento attraversato da un paio di fonici piuttosto affaccendati.
“Ma lì è dove sto io!”, sorride lei, tornando a guardare Sangio e ritrovandolo con una mano ficcata in un pacchetto di patatine.
“No, ti sbagli.”, bofonchia con le guance gonfie di uno dei suoi soliti bocconi per nulla equilibrati, “Lì è dove stanno Belen e l'altro tuo amico.”, la corregge senza un minimo di credibilità.
“Eh, perché io invece dove sto, scusa?”, ribatte lei storcendo il naso, facendo per infilare a sua volta una mano nel pacchetto di patatine che, prontamente, viene sfilato dalla traiettoria delle sue dita.
“Ah, io non lo so.”, finge lui, allungando sempre di più il braccio in modo da impedirle di raggiungere le patatine, “Ora sei qua con me, per esempio.”, le fa notare, “Non mi sembra che tu sia là.”, scherza, indicando lo schermo con un cenno del capo.
Giulia getta la spugna, rinunciando alla sua conquista del pacchetto e incrociando le braccia contro il petto, fingendosi imbronciata quanto basta perché il suo piano funzioni.
Lo sente sghignazzare al suo fianco, mentre alcuni degli addetti alla regia tornano pian piano a ripopolare la stanza dopo la loro breve pausa.
“Pensa che io stavo venendo da te per darti un bacio...”, mormora sottovoce, impegnandosi a non guardarlo per assicurarsi di non cedere subito.
“A me sembra proprio che tu sia venuta per rubare il mio cibo.”, contesta subito lui, scoppiando in una risata sguaiata quando Giulia abbandona la sua farsa per riservargli un'occhiata supplicante, “Dai, vieni qua.”, la invita, aprendo le braccia e ritrovandola subito adagiata sulle sue gambe, prima di sollevare il pacchetto nella direzione di lei.
Giulia agguanta un pugno di patatine, tenendole strette in una mano e portandosele alla bocca una ad una, osservandolo quieta mentre Sangio la scruta con un quesito scritto negli occhi.
“Hai l'ansietta?”, le domanda in un sussurro, voltandosi giusto per un istante per lanciare un'occhiata agli uomini seduti di fronte ai monitor, prima di adagiare il pacchetto di patatine sulle gambe di lei e passarle un braccio attorno alla vita.
“Come fai a saperlo?”, mormora lei con un certo stupore, notando un sorrisino consapevole spuntare sulle labbra di lui.
“Il broncio non è durato nemmeno un minuto.”, le da come spiegazione, “E ti sei lanciata qua sopra...”, continua, poggiando per un istante le mani sulle sue cosce, “...come se proprio ne avessi bisogno.”
“Io ne ho sempre bisogno...”, obietta lei con scarsissima convinzione, vedendolo subito scuotere la testa.
“Non è vero.”, replica lui, afferrando un'altra manciata di patatine e ficcandosele in bocca senza il minimo ritegno, strappandole una risata che Giulia sa essere assolutamente voluta.
“Mamma mia, perché devi mangiare così?”, prova a lamentarsi, finendo per ridere di nuovo quando lui la guarda stranito, fingendosi all'oscuro di tutto, “Sei tutto salato.”, sorride appena, passandogli un pollice lungo le labbra, almeno finché la lingua di lui non spunta, occupandosi di portare via quei granelli di sale.
Sangio la guarda negli occhi per un momento, prima di sollevare una mano per accarezzarle una guancia, ben attento a non devastare il meticoloso lavoro delle truccatrici, poi piega appena la testa di lato, poggiandola dolcemente sulla spalla di lei.
“Stai andando benissimo.”, mormora, stringendola delicatamente tra le sue braccia.
“Ho le gambe che si muovono tutte.”, gli fa sapere sottovoce, prima di lasciarsi sfuggire una risata che trascina anche lui.
“Si muovono tutte non nel modo che piace a noi?”, abbozza Sangio con una certa sicurezza, facendola subito annuire.
“Esatto.”, mormora lei, giocherellando col pacchetto di patatine tra le sue mani, “Ho un po' paura che si noti.”, gli fa sapere in un sussurro, osservandolo riemergere dal suo cantuccio contro la sua spalla.
Si passa una mano tra i capelli, Sangio, tornando a guardarla con un mezzo sorriso in cui Giulia è convinta risiedano tutte le rassicurazioni dell'universo.
“E anche se si notasse?”, mormora lui, prima di passarsi di nuovo la lingua sulle labbra, “Sei tu.”, continua, portandole una ciocca di capelli dietro un orecchio, “Sei tu e sei vera, e alle persone piaci perché sei tu.”, le ricorda, “Tu e le tue gambe che ballano anche quando non vorrebbero.”, ride appena, strappandole un sorrisino che presto si tramuta in un abbraccio.
Giulia si ritrova col viso nascosto tra i capelli di lui, riservandogli un bacino sulla testa che spera possa riassumere la sua gratitudine.
“Che bello che sei qua.”, sussurra proprio vicino al suo orecchio, sentendolo avvolgerla meglio con le braccia attorno alla vita.
“Avrei voluto seguirti da casa insieme a Gaston, ma qui hanno le patatine...”, borbotta lui, facendola ridere ancora una volta, prima che Giulia torni a guardarlo negli occhi, giusto in tempo perché un volto noto dalle sedie della regia non le faccia notare che “Stiamo ricominciando”, convincendola a scattare in piedi.
“Mannaggia oh, devo correre.”, riflette ad alta voce, facendo per scappare fuori dalla regia e verso lo studio, bloccata in partenza dalla voce di Sangio.
“Oh, le patatine!”, le fa notare, inseguendola con lo sguardo fino alla porta della sala e ricordandole che ha ancora tra le mani il pacchetto argenteo, subito riportato al legittimo - lasciamoglielo credere - proprietario, grato di riavere per sé il suo spuntino ma ancora insoddisfatto riguardo un'altra questione, “E il bacio?”
Giulia sbuffa, finendo però per sorridergli quando nota quegli occhioni celesti scrutarla con reale anticipazione, raggiungendolo in qualche passo veloce per prendergli il viso tra le mani e lasciargli un bacio particolarmente calibrato che anche lei trova a dir poco rinvigorente.
“Però non vale che mi baci così solo quando devi scappare.”, brontola lui, mentre Giulia torna a dirigersi verso la porta, voltandosi solo per contestare.
“Ma non è vero, oh!”
“Secondo me si.”, resta della sua idea lui, lanciandole un'occhiata di sfida.
“Oh, ma quanto sei bisognoso d'attenzioni!”, scoppia a ridere lei, ormai fuori dalla porta ma aggrappata allo stipite come se una forza sconosciuta non le concedesse di andarsene, “Domani rimediamo.”, gli promette con un sorrisetto, vedendolo scuotere la testa divertito mentre dal corridoio qualcuno chiama a gran voce il nome di lei.
“Dai, vai.”, mormora lui, indicando lo studio con un cenno del capo, “Di là aspettano solo le tue gambe ballerine.”
Alla fine le gambe ballerine sono riuscite a concludere la serata, e se abbiano ballato o meno per l'opinione pubblica Giulia non lo sa e forse non lo vuole nemmeno sapere, quello di cui è certa, però, è che l'hanno riportata a casa molto molto tardi, e solo ora, dopo una nottata e così ad occhio anche una mattinata sotto le coperte, cominciano a dare segno di volersi rimettere in moto.
Lei è sveglia già da un po', le lenzuola del suo letto di sempre sollevate fin sopra le orecchie, e gli occhi che da forse una mezz'ora non perdono l'occasione ormai alquanto rara di scrutare adoranti il viso addormentato di un tale a cui qualche ora fa ha promesso baci a profusione.
Se fosse sveglio si potrebbe anche fare, pensa Giulia, ma non le dispiace che non lo sia, è contenta di saperlo addormentato a quest'ora dopo settimane in cui lui tende ad alzarsi presto persino senza sveglia.
Se le chiedessero come mai la domenica è recentemente diventata il suo giorno preferito della settimana, Giulia mostrerebbe loro una foto di questo esatto istante, nel quale sono racchiuse le due motivazioni principali da cui poi scaturiscono a cascata tutte le altre, le due S capitali, Sonno e Sangio.
Combinandole si ottiene quanto di più simile al paradiso lei conosca, e dopo una serata di lavoro impegnativa come quella di ieri, forse oggi questo momento risulta ancora più piacevole.
Rannicchiata su un fianco lo osserva silenziosa, come si fa con un bambino che riposa nella culla, e in fondo volendo ben vedere tutta questa differenza non c'è.
A Sangio piace prenderla in giro dicendole che dorme con la bocca aperta, forse perché lui, al contrario, da addormentato non muove un muscolo. E non si tratta unicamente delle sue labbra, serrate in una linea sottile, lui nella sua totalità tende a raggomitolarsi su sé stesso come se il suo metro e ottanta abbondante potesse sparire nell'oceano delle lenzuola, acciambellato come una qualsiasi creaturina inerme, dal neonato con i pugni chiusi al gattino che si riposa nella lanugine della madre.
Forse, riflette Giulia, la similitudine con un cucciolo qualunque nasce spontanea per via della criniera arruffata con cui condivide il cuscino.
Avrebbe il suo, lei, di cuscino, ma oggi non sembra interessarle e anzi, se potesse avvicinarsi giusto un po' di più senza dargli fastidio lo farebbe, ma per il momento pensa che si accontenterà di avergli sottratto una metà della federa. E anche un sacco di calore, pare un fornello, questo ragazzo.
Sempre che il calore sia un qualcosa che si può sottrarre, ragiona per un attimo, forse è più un qualcosa di condiviso, generato in parti uguali da entrambi durante la notte.
Eppure no, non può essere così, lei è certa che il camino ambulante tra i due sia lui. E' freddoloso come pochi ma scalda più di un numero indefinito di coperte.
Giulia capisce che i suoi pensieri stanno prendendo una rotta tendente al surreale quando una gamba di lui si muove appena, distendendosi meglio sotto le lenzuola e accarezzando leggermente quella di lei.
Non ha la minima idea di che ore siano, così ad occhio è piuttosto tardi, ma al momento pensa che si farà bastare la necessità di volerlo sveglio accanto a lei per mettere in atto quella dolce, dolcissima routine che si premura sempre di riservargli la mattina, quando dormono insieme.
Che poi non sia più mattina, e Giulia comincia a sospettarlo vista la lingua di luce che trafigge il parquet della sua stanza, non è certo un suo problema, le tenerezze del risveglio valgono a qualsiasi ora del giorno, lei ha deciso così.
Una sua mano abbandona il calduccio delle coperte per sgattaiolare fin sopra il cuscino e insinuarsi tra i capelli di lui, le dita li scostano piano, lontani dal suo viso e soprattutto dai suoi occhi che, per quanto siano chiusi, raccontano molto.
Soprattutto, ride Giulia tra sé e sé, racconteranno di quanto sia un bugiardo e finga di dormire solo per ricevere le coccole.
La sua mano lascia le onde di capelli per scivolare lungo la fronte di lui, disegnando il dorso del naso con la punta delle dita fino a posarsi su una guancia. Lì si ferma e accarezza piano, lentamente, finché Giulia non vede quelle palpebre stringere appena, incerte sul da farsi, ancora vistosamente calate nel mondo dei sogni ma richiamate dal bussare della realtà alla loro porta.
Sente il respiro di lui cambiare il suo ritmo, prima che esali un sospiro che Giulia definirebbe come divertito, se solo sapesse che non è possibile che in questo stato catatonico Sangio trovi qualcosa ilare. O forse riesce a farlo sorridere pure mentre dorme, chi lo sa.
Uno sbuffo vagamente contrariato la convince a sollevarsi appena dal suo giaciglio tra le lenzuola per lasciargli un bacio schioccante su una guancia, quello che spesso e volentieri funge da prova del nove, quantomeno quando lui è più propenso a cedere subito.
Oggi non sembra uno di quei giorni, infatti dopo un momento di titubanza il viso di Sangio torna disteso, come se nulla fosse accaduto, come se quel bacetto volutamente chiassoso non avesse rappresentato nulla.
Furbo, crede di poterla avere vinta, ma non sa, o forse lo sa benissimo ed è anche per questo che mente spudoratamente, che Giulia ha un'infinità di assi nella manica quando si tratta di tormentarlo a suon di affetto.
I suoi occhi scuri scrutano per un istante verso l'alto, individuando immediatamente la zampa di pezza di Marius che sporge dalla mensola appena sopra al letto.
In men che non si dica Giulia si mette seduta, afferrando l'orsetto con una mano prima di tornare ad accucciarsi tra le lenzuola, accompagnando il suo amico di pezza a passeggiare lungo il bozzolo di coperte in cui è avvolto Sangio.
Le zampe di Marius percorrono il corpo di lui dalle sue gambe fino al viso, concludendo quella traversata adagiandosi sul suo naso e strappandogli una smorfia che a Giulia risuona come una conquista.
Si ricorda immediatamente, però, che cantare vittoria troppo presto in queste situazioni è sempre un rischio, e infatti Sangio torna ad indossare un'espressione neutra appena il peluche ha concluso il suo piccolo show, e lei si convince a cambiare tattica, posando l'orsetto accanto al viso di lui sul cuscino.
Sono carini, c'è poco da fare, quasi quasi le è venuta voglia di fare capolino dalle lenzuola per recuperare la sua Polaroid e scattare una foto, ma poi l'orgoglio le dice che no, non può abbandonare il letto prima di averlo smascherato nel suo essere addormentato per finta, e quindi la sua mente le propone l'opzione più semplice, quella che non manca mai di funzionare.
Con estrema disinvoltura striscia ancor più vicina a lui, accoccolandosi contro la sua spalla e lasciando che una delle sue mani scivoli sotto la coltre delle lenzuola, trotterellando fino alla base della maglietta di lui per infilarcisi sotto e prendere a scorrere lenta lungo la sua pelle.
C'è un tepore molto gradevole qui, invitante quasi, e se in un primo momento le dita di Giulia si limitano a mappare il suo ventre, pian piano cominciano a risalire per orbitare lungo il suo petto, sbucando furbe dal collo della maglietta per solleticargli appena il mento.
Una risata, piccola e appena percepibile, sembra più un rantolio sommesso, ma Giulia la riconosce e sa che la resa dei conti è vicina.
Scruta con la coda dell'occhio il viso di lui e lo vede in difficoltà, le sue labbra minacciano di farsi all'insù e tradirlo da un momento all'altro, così la mano di lei, forse sbadatamente, forse con immensa consapevolezza, ripercorre pian piano il tragitto a ritroso, dal petto fino al ventre e poi giusto un po' più giù, delineando senza particolare interesse l'elastico dei pantaloni e facendo per insinuarsi persino sotto a quel limite invalicabile.
E' una farsa, un puro escamotage, Giulia lo sa, ed è convintissima che anche lui lo sappia, ma a quanto pare, nonostante la certezza condivisa che lei non si spingerebbe mai oltre con tutta questa nonchalance, a Sangio sfugge un sospiro che sa di sbigottimento e a tratti anche di un'anticipazione per cui Giulia batte interiormente un cinque a sé stessa.
“Cosa fai?”, lo sente borbottare al suo fianco, la sua voce impastata ma fin troppo sull'attenti perché Giulia non districhi la sua mano colpevole dalla maglietta di lui e poi dalle lenzuola, prima di sollevarsi su un gomito per additarlo.
“Lo sapevo che facevi finta!”, esclama trionfante, “Porca miseria quanto sei bugiardo, fosse per te staremmo qua tutto il giorno così e continueresti a fare finta di dormire finché viene buio.”
Gli occhi di lui si aprono per una frazione di secondo, squadrandola come se avesse appena detto la più grande menzogna mai proferita nel mondo, poi sospira di nuovo, prima di voltarsi e darle le spalle.
“Tu sei impazzita.”, mormora con un tono che Giulia è convinta di avergli sentito usare ben poche volte, “Dio...”, aggiunge all'ultimo, strappandole una risata che, per quanto non voglia, travolge anche lui.
“Perché sono impazzita?”, gli domanda furba, distendendosi di nuovo su un fianco e strisciando quanto basta per poggiare la fronte tra le scapole di lui.
E' caldo pure qua, è pazzesca questa cosa, pensa, portandogli un braccio attorno alla vita, prontamente intercettato e avvolto da una mano grande.
“Me lo dici?”, continua imperterrita, lasciando che le dita di Sangio si intreccino alle sue e si posino al sicuro contro il petto di lui.
“No, non te lo dico.”, ottiene in risposta, il tono di lui talmente schietto e vagamente imbarazzato da farla ridere di nuovo.
“Non funziona così.”, ci tiene a fargli notare lei, “Sono io quella che non dice le cose.”, scherza, strappandogli una mezza risata, “Tu devi dirle.”
“Devo?”, ripete lui con fare stupito, la sua voce improvvisamente più sveglia di un attimo prima, “E' legge?”
“Certo.”, annuisce subito Giulia, strusciando appena il naso contro il suo dorso, “Non possiamo mica non dire le cose tutti e due.”, sorride, districando la sua mano da quella di lui per tornare a passarla tra i suoi capelli, “Sai cos'altro è legge?”, gli domanda, di nuovo vogliosa di ciò per cui lo ha svegliato in primis, “Che tu mi abbracci un po' quando ci svegliamo.”, si risponde da sola, ancora prima che lui possa dire qualsiasi cosa.
Lo sente sospirare come se ci stesse ragionando su, poi Sangio si volta leggermente, giusto il tempo per gettarle un'occhiata che Giulia recepisce come un ammonimento, prima di tornare a darle la schiena.
“Lo starei già facendo se tu non mi avessi messo una mano nei pantaloni.”, le fa sapere vagamente stizzito.
“Ma ci sarà stata un secondo nei pantaloni!”
“A quanto pare basta!”, ribatte lui, finendo per scoppiare a ridere dall'esasperazione.
“Impossibile.”, conclude Giulia, lasciando la sua posizione rannicchiata alle sua spalle per tornare a sdraiarsi di schiena sulle lenzuola.
“Ma come impossibile, oh?”, ribatte lui, “Cosa ne sai tu?”, le domanda, facendola riflettere per un momento.
Cosa ne sa lei? Nulla, effettivamente. Anzi, ancora deve fare i conti con questo potere che a quanto pare ha su di lui.
“E non mi puoi coccolare comunque, scusa?”, gli chiede divertita, trattenendosi dal ridere solo per pura compassione nei suoi confronti.
Sangio si volta di nuovo per qualche secondo, riservandole uno sguardo curioso prima di ritornare, esattamente come un attimo prima, rivolto nella direzione opposta a quella di lei.
“Dammi un momento.”, mormora, convincendola a riprendere Marius tra le mani per occupare il tempo.
Sarà un delirio dettato dall'essersi svegliata da poco, o il fatto che è passato un po' di tempo dall'ultima volta che ha avuto qualche minuto per giocherellarci sbadatamente, ma il suo orsetto le sembra come rimpicciolito.
Ha lo stesso sguardo di sempre, rassicurante, e lo stesso odore, familiare, ma pare più piccolo in qualcosa di cui Giulia non riesce troppo a capacitarsi.
Tanto vale sapere che ne pensa il suo compagno di letto, impegnato in Dio solo sa che momento meditativo al suo fianco.
“Oh, Santiago.”, lo richiama, ottenendo in risposta un “Dimmi” che, a giudicare dal tono, lui aveva già messo in conto di dover pronunciare nel giro di qualche secondo, “A te Marius non sembra più piccolo?”, gli domanda, facendo sbucare il musetto del peluche oltre la sua spalla perché Sangio possa guardarlo negli occhi.
Lo scruta per qualche secondo, secondi che, in fondo, possono essere sommati a quel 'momento' che lui ha richiesto, no?
“A me sembra sempre lo stesso.”, mormora risoluto, “Forse sei tu che sei cresciuta.”, le dice, convincendola a ritrarre Marius per poggiarselo sul petto.
“Sono io che sono cresciuta...”, ripete sottovoce tra sé e sé, scrutando quegli occhietti sferici finché non sente le lenzuola frusciare e Sangio tornare finalmente a girarsi verso di lei, “Ciao, eh!”, lo saluta, prima di scoppiare in una risata fragorosa che nonostante l'espressione seccata di un attimo prima strappa un sorriso pure a lui, “Sei ancora tutto teso?”, lo punzecchia, mentre il corpo di lui l'avvolge lentamente sempre di più fino a stringerla tra le braccia e contro il petto.
“Non sono mai stato teso.”, nega l'evidenza, borbottandolo tra i capelli di lei con un sorriso a dir poco traditore stampato in faccia, “Avevo solo bisogno di un momento.”, le ripete, passandole una mano lungo la schiena.
“E perché?”, continua lei, determinata nel volerlo mettere in difficoltà.
“Lo sai perché.”, cerca di giocare il suo stesso gioco lui, dimenticandosi di quanto Giulia sia una maestra nel non scordarsi nulla di quello che attraversa le sue labbra.
“Prima mi hai detto che non ne so nulla...”, mormora furbissima, portandolo a sospirare esasperato, prima che Sangio scivoli con il viso fino al livello di quello di lei.
“Cosa vuoi farmi dire? Eh?”, le domanda divertito, guardandola fissa negli occhi.
“Lo sai.”, gli dice semplicemente, trattenendosi dal ridere quando lui aggrotta appena le sopracciglia.
“Perché tu puoi dire 'Lo sai' e io no?”, si lamenta, portandole una ciocca di capelli dietro un orecchio.
“Te l'ho detto prima.”, ride appena, facendogli scuotere la testa, “E' così che funziona e basta.”
Sangio sospira di nuovo, facendosi silenzioso e cominciando a passarle sbadatamente una mano tra i capelli, piano, senza fretta, proprio come dovrebbe essere tutte le mattine per quanto la riguarda.
La domenica non basta, non basterà mai, e Giulia vive questo momento come tutti quelli che trascorre con lui, lasciandosi affondare completamente, fino a sparire contro quel petto, tra quelle braccia e nel groviglio in cui le loro gambe s'intrecciano con naturalezza.
Lo sente esalare un sospiro divertito solo un momento dopo, quando una delle mani di lui lascia la sua schiena per afferrare Marius, che nel frattempo ha finito col precipitare disperso tra le lenzuola.
“Come fai a dire che ti sembra più piccolo?”, le domanda con una certa perplessità dipinta in viso, mentre solleva l'orsetto a mezz'aria, a galleggiare nel vuoto sopra i loro sguardi, “E' sempre stato piccolo, guarda.”, le fa notare, tenendolo stretto in una mano.
“Vabbé ma nelle tue mani tutto sembra più piccolo.”, gli ricorda lei, allungandosi con un braccio per recuperare il peluche dalla presa di lui e poggiarlo tra i loro corpi, prendendo una delle sue zampette tra le dita perché colpisca appena Sangio in viso, “Perché cerchi sempre di strozzarmi?”, gli domanda con una voce volutamente grave che con le dimensioni e le fattezze innocue dell'orsetto ha davvero poco a che vedere.
“E' la sua voce questa?”, ride Sangio, “Parla con questo tono profondo, il piccoletto?”, si sorprende, strappandole un sorrisino e portandola a far annuire vigorosamente il peluche.
“Quando parla con qualcuno che lo fa arrabbiare si.”, gli fa sapere divertita, osservando Sangio mentre si sistema sulla schiena per guardarla meglio.
“E io lo faccio arrabbiare?”, le chiede, tornando a prestare attenzione alla testolina dell'orso che Giulia si sta impegnando a muovere il più minacciosamente possibile.
“Seh.”, gli risponde subito, “Ce l'ha con te perché gli hai rubato il posto.”
“Sempre per quel motivo?”, esclama divertito, “Ancora, dopo tutto questo tempo?”, si stupisce, facendola scoppiare a ridere, “Non hai ancora capito che ho usurpato a tempo illimitato il tuo lato del letto?”, domanda, rivolgendosi al peluche.
“Certo che l'ha capito, è per quello che è arrabbiato.”, gli ricorda Giulia, “Sennò mica ti guarderebbe così.”, ride appena, lasciando cadere l'orsetto sulla fronte di lui.
Sangio subisce quell'attacco senza protestare, raccogliendo Marius tra le mani mentre Giulia si rannicchia su un fianco per osservarli con un sorrisetto sulle labbra.
“Forse è per questo che ti sembra più piccolo.”, ragiona lui, gettandole un'occhiata prima di sollevare le lenzuola per adagiare l'orsetto tra di loro e coprirlo fin sotto il muso, “Si sta rimpicciolendo per protesta.”, scherza, passandosi una mano tra i capelli, “Forse questo è solo l'inizio e un giorno ti sveglierai e sarà piccolo come una briciola.”, ipotizza, facendole storcere appena il naso, “E la mattina dopo invece aprirai gli occhi e sarà talmente grande da occupare tutta la stanza e per uscire dalla porta dovrai spostare questa zampona.”, ride, prendendo tra le dita una delle zampe di Marius per sventolarla sotto lo sguardo di lei, “Che ora per fortuna è solo una zampina.”, riflette, tornando a guardarla e trovandola con le labbra schiuse e un'espressione tra il confuso e il meravigliato stampata in viso.
“Si vede che siamo andati a letto tardissimo, comunque.”, conclude lei, strappandogli una risata sguaiata che la diverte parecchio, “Senti che cose stai dicendo, mamma mia.”, mormora, finendo per ridere a sua volta quando se lo ritrova di nuovo accoccolato addosso, i capelli di lui a solleticarle il viso.
“E' troppo presto per parlare di orsi...”, borbotta lui nel vano tentativo di difendersi, facendola ridere di nuovo.
“Guarda che hai fatto tutto tu, eh.”, gli fa notare, passandogli una mano tra i capelli, prima che la sua mente le offra l'ennesimo spunto per punzecchiarlo, “Chissà se anche mamma e Lidia hanno parlato di orsi...”, mormora, sentendolo sbuffare ancor prima che abbia finito di pronunciare quelle parole.
“Ci tieni proprio a sapere questa cosa, tu, eh?”, borbotta lui, scostando appena un braccio per afferrare l'angolo del lenzuolo e coprire entrambi meglio, fin sopra la testa, cosa che lei trova particolarmente divertente.
“Che ci posso fare? Sono curiosa io.”, gli dice per l'ennesima volta, ridendo quando la luce che penetra attraverso la finestra viene oscurata dai tanti colori delle lenzuola, sotto le quali finiscono per ritrovarsi, “Come mai ci stiamo nascondendo qua sotto?”, gli domanda divertita, strappando un sorrisino anche a lui.
“Perché fuori fa freddo.”, le spiega come fosse la cosa più ovvia di sempre, “E poi tu hai detto che volevi che ti abbracciassi, quindi ti abbraccio.”, aggiunge, intrappolandola ancor di più tra le sue braccia.
A Giulia spunta un sorrisetto consapevole, e mentre sente le mani di lui insinuarsi placidamente sotto la sua maglietta, una domanda le sorge spontanea.
“Quindi lo stai facendo solo per me?”, gli chiede, sentendolo soffocare una risata, certo di perdere in partenza.
“No.”, le risponde subito, e per i secondi successivi Giulia quasi non crede alle sue orecchie, almeno finché lui non continua, “Lo sto facendo per te e per Marius, no?”, specifica impegnandosi in un tono serio, le dita di lui delicate nel modo in cui scorrono piano lungo la sua schiena fino alle sue scapole, “Magari se lo tengo al caldo un po' mi perdona.”
“Certo, certo.”, annuisce lei senza la minima convinzione, “Secondo me già ti sta perdonando...”, ride appena, sentendolo sghignazzare contro la sua guancia, prima che le labbra calde di lui si posino proprio lì per un istante.
“E tu, invece?”, le domanda, sfregando il naso lungo il suo zigomo.
“Io invece cosa?”, ribatte perplessa, ritrovandosi a sospirare senza poterci fare nulla quando sente quelle mani grandi scivolare dalle sue spalle fino al costato e accarezzare appena, i pollici lievi nel loro movimento circolare lungo la sua pelle.
“Tu che mi dici?”, mormora lui, tornando ad adagiare le labbra sulla guancia di lei prima di lasciare che la punta della sua lingua spunti appena e scorra curiosa su quell'area di pelle, facendola scoppiare a ridere.
“Io dico che diventi davvero super scemo la mattina.”, gli risponde senza perdere un colpo, passandosi il dorso di una mano sulla guancia e strappandogli un lamento vagamente offeso, “Che hai da protestare?”
“E' inutile che fingi che non ti piaccia.”, brontola sottovoce lui, affondando appena le dita nella pelle del suo fianco e facendola scoppiare in una risata fragorosa, “Lo so che ti piace.”, conclude sicuro, approfittando di quel momento di disattenzione di lei per tempestarle la guancia di baci.
“Questa è una cosa diversa però.”, gli fa notare, cercando di fuggire a quell'attacco prendendogli il viso tra le mani tra una risata e l'altra, “Questi sono baci, mica mi stai leccando.”
Sangio la fissa per un momento, i suoi capelli se possibile ancora più arruffati di quando Giulia ha aperto gli occhi per la prima volta oggi, e mentre quegli stessi occhi si perdono a scrutarlo per un istante, lui ne approfitta e sfodera il suo attacco, accorciando fulmineamente la distanza tra i loro visi per passare la lingua sulla punta del suo naso.
“Dai!”, protesta lei, spintonandolo per quanto riesce contro le spalle e costringendolo ad allontanarsi e a rannicchiarsi in quello che, se solo non amassero starsene appiccicati, sarebbe il suo lato del letto.
Lui la osserva trionfante, gli occhi socchiusi e quel sorrisetto vittorioso stampato sulle labbra.
Le piace quel sorriso, da impazzire, e gli piaceva anche averlo addosso fino ad un attimo fa, ma Giulia ha imparato che dargliela vinta troppo facilmente non è mai saggio, soprattutto se protestare un po' per finta significa vederlo fare questa faccetta meravigliosa.
“Bugiarda.”, si limita a dirle con lo stesso sorrisetto, tornando a chiudere gli occhi come se volesse rimettersi a dormire e sistemandosi su un fianco, come se sapesse perfettamente che quell'espressione vagamente angelica è irresistibile ai più.
Ecco, lei non crede di risiedere nella categoria dei più, lei sta un gradino sopra, nell'Olimpo di chi è totalmente in balia di lui, e crede che in fondo sia giusto così.
Lui non sta messo tanto meglio, eh, riflette, vedendolo aprire una sola palpebra e tenerla d'occhio, in attesa di vederla fare la prima mossa per riaverla tra le braccia.
“Almeno adesso siamo pari.”, borbotta lei, sdraiandosi di nuovo sulla schiena e incrociando le braccia sul petto in un tentativo già da ora fallimentare di fingersi risentita.
Lui non accenna a muoversi, anzi, Giulia teme si stia effettivamente riappisolando, al che tradisce ogni buon proposito di avere la meglio in questa battaglia stupidissima e lo avvicina, spostandosi a carponi sul letto fino a sporgersi di fronte al suo viso.
“Che fai, dormi?”, sussurra, provando a punzecchiare una delle sue guance con la punta di un dito.
Sangio, come sospettabile, non sta dormendo, e coglie invece l'occasione per agguantarla attorno alla vita, strappandole un qualcosa di molto simile ad un grido, prima di trascinarla di nuovo accanto a sé.
“Possibile che ci caschi ogni volta?”, la prende in giro, facendole storcere il naso, mentre la avvolge di nuovo tra le braccia, finendo per ritornare accoccolati com'erano un attimo prima.
“Non ci sono cascata.”, ribatte lei, “Stavo solo controllando.”, gli spiega, vedendolo sollevare le sopracciglia, poco convinto.
“E cosa controllavi?”, ride, “No, no, quale controllare.”, mormora furbo, sfiorandole la punta del naso con un dito, “Tu sei tornata qua perché vuoi un'altra leccata sul naso, io lo so.”, scherza, facendole subito scuotere la testa, “Come no, oh?”, finge, “Pensavo ti piacesse alla follia...”
Giulia gli sorride, cedendo a quella presa in giro, prima di raggomitolarsi sul suo petto, poggiando la testa appena sotto il collo di lui. Da qui sente il suo cuore battere regolare, contrarsi e dilatarsi con quel ritmo tutt'altro che incalzante o frettoloso, come se anche lui, da sotto tutti questi strati che a lei paiono sempre irrilevanti da tanto lo sente vicino, sapesse che oggi è una di quelle giornate in cui la nullafacenza fa da padrona.
Si crogiola dal suo posticino nel petto, il cuore di Sangio, noncurante di treni e orari, scadenze e interviste, limitandosi a quello che Giulia crede sia ciò che gli viene meglio, volerle bene.
Una mano grande torna a scorrere placida tra i suoi capelli, li arrotola attorno ad un dito come fa sempre quando è sovrappensiero, e lei già sa che sta per uscirsene con qualche sorta di considerazione ancora prima che lui schiuda le labbra.
“Sai che sembra parecchio tardi, Giu?”, mormora senza particolare impegno, una mera constatazione, “Il sole è un sacco alto, secondo me non è più mattina.”, riflette ad alta voce, facendola ridere appena.
“Solo ora te ne accorgi?”, lo prende bonariamente in giro, scoppiando in una risata cristallina quando lo sente sbuffare, esasperato all'ennesima potenza, “Stai ancora dormendo, Sanjuan?”, rincara la dose, pentendosi subito quando sente le dita di lui affondare nel punto di solleticamento per eccellenza, appena sopra i suoi fianchi.
Restano immobili lì, per ora non intenzionate a muoversi, ammonitrici e pronte ad un'eventuale vendetta, e Giulia non può fare a meno che cercare lo sguardo di lui, sperando di farlo desistere.
“Io starei attenta se fossi in te.”, borbotta lui sottovoce, socchiudendo appena gli occhi sperando forse di incuterle timore o sembrare anche lontanamente minaccioso, cosa che non è, proprio per nulla, e per quanto le dita di lui siano prontissime a torturarla, Giulia non resiste alla possibilità di sfidarlo ulteriormente.
“Perché, se non sto attenta cosa mi fai?”, lo provoca, vedendolo per un momento sbigottito da quell'affronto, prima che le sue labbra si facciano all'insù, feline, come se la sua mente ancora leggermente intorpidita fosse stata attraversata da chissà quale risposta luminosa.
Dura ben poco, però, quell'espressione sorniona, il viso di lui torna in men che non si dica rilassato, a tratti divertito da quella piccola provocazione, e Giulia per qualche motivo che non sa spiegarsi si ritrova a bramare qualsiasi cosa lui stesse per dirle e ha invece deciso di mettere da parte.
“Non lo so.”, mormora lui con il solito sorriso buono, “Però sono più grosso e più forte di te, quindi attenta.”, l'avverte distrattamente, tornando a giocherellare con una ciocca dei suoi capelli.
Giulia storce appena il naso, divincolandosi dalla presa di lui per pesarsi su un gomito e gettargli un'occhiata divertita.
“Più forte?”, ripete con tono canzonatorio, “Non esageriamo.”, mormora sottovoce, vedendolo subito aggrottare la fronte.
“Oh, ma che dici?”, si ribella, liberandosi dalle lenzuola quanto basta per distendere un braccio di fronte al viso di lei e piegarlo appena, “Guardalo, il muscolo.”, le dice fiero, “Cresce lui.”, le sorride appena, strappandole una risata.
“Cresce?”
“Certo.”, annuisce prontamente lui, “Tutti i giorni.”, afferma risoluto.
“Tutti i giorni?”, continua a punzecchiarlo lei, ridendo di nuovo quando Sangio ritrae il suo braccio, offeso, infilandolo di nuovo sotto le coperte e guardandola stizzito, guadagnandosi subito una carezza tra i capelli perché no, non lo può proprio vedere così senza volerlo coccolare un po', “Lo vuoi vedere un braccio muscoloso?”, gli domanda divertita un momento dopo, quando lo sguardo di lui si è fatto meno mesto e i suoi occhi sono tornati a guardarla come se fosse la cosa migliore del mondo.
“Vediamolo.”, le concede, ridendo appena quando Giulia arrotola come può la manica della sua maglietta fino alla spalla, liberando la forma definita del suo bicipite.
“Guarda che roba, bello!”, scoppia a ridere, trascinandolo con sé mentre una mano di lui va a tastare curiosa quella regione del suo braccio.
“Si...”, mormora riflessivo, lasciando scivolare la sua mano fino al viso di lei per prenderle le guance tra le dita e stringere appena, “Mi sa che vinci tu.”, conviene con lei, strappandole un sorrisino trionfante.
“Se mi impegno riesco pure a sollevarti mi sa.”, gli dice convinta, facendogli subito scuotere la testa.
“Credici...”, bisbiglia lui, facendole immediatamente storcere il naso.
“Proviamo, oh!”, lo sfida, “Proviamo e vedi che ce la faccio.”, ripete risoluta, facendo per sbucare dalle lenzuola ma venendo subito acchiappata attorno alla vita da un braccio ancora carico di sonno.
“Dove vai?”, si lamenta lui, guardandola supplichevole e convincendola a interrompere la sua fuga dal letto.
“Mi alzo, e ti alzi pure tu, così ti dimostro che riesco a sollevarti.”, gli dice banalmente, vedendolo scuotere la testa mentre la trascina di nuovo a distendersi accanto a lui, premurandosi di coprirla per bene.
“No...”, si oppone con un mugolio fanciullesco, traendola a sé e nascondendosi con il viso contro il collo di lei, cosa che la fa parecchio ridere.
“Non vuoi alzarti?”, gli domanda divertita, sentendolo subito scuotere la testa, “Non ancora?”
“No.”
“Va bene, va bene.”, concorda con lui, lasciandogli un bacio tra i capelli, “Però dopo proviamo.”, non demorde, strappandogli una risata soffocata.
“D'accordo.”, gliela da vinta, borbottandolo contro la sua pelle, “Dopo facciamo tutto quello che vuoi.”, aggiunge, offrendole l'assist perfetto per la domanda successiva.
“Mi fai anche i toast quelli buoni?”, gli chiede sottovoce, senza perdere altro tempo.
“Quali sono i toast quelli buoni?”, le domanda perplesso, spuntando dal suo cantuccio per guardarla negli occhi.
Sta ancora dormendo, non c'è altra spiegazione.
“Quelli che fai tu.”, gli ricorda, “Con tutte le cose sopra.”, aggiunge, strappandogli una risata.
“Minchia, che spiegazione dettagliata.”
“Dai, cretino, hai capito.”, si ribella, mettendogli una mano sulla bocca mentre lui la guarda divertito, “Lo so che hai capito.”, gli dice, guardandolo fisso negli occhi.
Sangio annuisce, e Giulia si convince a liberarlo dal suo palmo, osservandolo mentre si lascia sfuggire uno sbadiglio piuttosto divertente.
Si, oggi è decisamente qualche sorta di cucciolo assonnato.
“Ok, potrei farti questo toast...”, borbotta nel cuscino, “Hai prenotato?”, le domanda, trattenendo un sorrisetto che Giulia riesce comunque a notare nelle pieghe dei suoi occhi.
“Cosa devo prenotare, oh?”, si chiede stupefatta.
“Siamo in tempi pandemici, mica ti faccio entrare senza prenotazione, cosa credi?”
“E dove dovresti farmi entrare, scusa?”
“Nel mio ristorante.”, le dice banalmente, chiudendo gli occhi pur di resistere alla tentazione di mettersi a ridere.
“Il tuo ristorante che è nella mia cucina?”
“Proprio quello, si.”, annuisce altezzoso, strappandole una risata.
“No, non ho prenotato.”, gli concede, scostandogli un ciuffo di capelli dagli occhi, “Posso farlo adesso?”
“Certamente.”
“Allora prenoto un tavolo per due.”
“Per due?”, le domanda con un'espressione curiosa, aprendo un solo occhio per guardarla divertito, “Sei accompagnata?”
Giulia si impegna a non ridere, passandogli una mano dietro la nuca e finendo irrimediabilmente per sorridere quando lo sente sospirare appena.
“No.”, lo tiene per un istante sulle spine, “Ci voglio provare col cuoco.”, bisbiglia, facendogli finalmente spuntare un sorriso sulle labbra.
“Il cuoco, eh?”, ripete lui con fare riflessivo, “Ma il cuoco dei toast?”, indaga, facendola subito annuire.
“Seh.”
“Beh, bravo ragazzo.”
“Carino, anche.”
“Un mago delle spezie.”, fa giusto in tempo a dire prima che Giulia si lasci andare ad una risata fragorosa.
“Quanto sei cretino.”, mormora una volta che si è ripresa, facendo per trarlo a sé aiutandosi con la mano che ha ancora dietro la sua testa, bloccata però da una domanda.
“Per che ora lo prenotiamo, questo tavolo?”, gli chiede divertito, pronunciando quelle parole ad un centimetro dalle labbra di lei.
“Ma scusa, il ristorante è il tuo, lo saprai tu quando avete posto.”, gli fa notare lei, affrettandosi a lasciargli un bacetto sulle labbra prima di indicare il comodino alle sue spalle, “Nemmeno sappiamo che ore sono.”, ride, osservandolo mentre sbatte gli occhi un paio di volte, come a cercare una lucidità che a quanto pare oggi fatica a ritrovare.
“Vuoi che controlli?”, le domanda, sistemandosi meglio sul cuscino e sfregandosi gli occhi col dorso di una mano.
“Forse è meglio.”, annuisce lei, prima di aprirsi in un sorrisone, “Così se non è troppo tardi mi faccio pure una tazza di latte e cereali insieme al toast.”
“Come se l'orario ti fermasse da farti latte e cereali a tutte le ore...”, borbotta lui, beccandosi un buffetto su una spalla mentre si contorce tutto per allungarsi verso il comodino ed agguantare il suo telefono.
Giulia lo osserva quieta mentre con estrema calma illumina lo schermo e prende a scorrere gli occhi sulle notifiche che pullulano sotto il suo sguardo.
“Ti salutano i miei.”, le fa sapere, concedendo un'ultima occhiata alla schermata prima di riporre il telefono dov'è stato fino ad un attimo prima.
“Sono ripartiti?”, gli domanda lei, mentre le dita di lui passeggiano divertite lungo una sua spalla.
“Un paio di ore fa.”
“Come un paio di ore fa?”, si stupisce, “Che ore sono, oh?”
“Tipo le due del pomeriggio.”, le fa sapere con un sorrisetto sulle labbra, mentre la bocca di lei rimane aperta per un momento dallo stupore.
“Allora pure mamma e papà saranno già partiti.”
“Eh, direi proprio di si.”
“E non ci hanno detto nulla.”, ragiona, vedendolo sorridere appena.
“Cosa dovevano dirci? Stavamo dormendo.”, le fa presente, “Poi lo sapevamo già che se ne sarebbero andati oggi, no?”
Giulia annuisce, prima che un sorriso le spunti spontaneo sulle labbra, cosa che lo diverte parecchio, a quanto pare.
“Cosa ridi?”, le domanda curioso, facendole subito scuotere la testa, “Ti diverte questa cosa che siamo due bimbi, due cuccioli abbandonati?”, scherza, solleticandole appena il mento, “Oppure la tua testolina stava andando da qualche altra parte? Eh?”, la stuzzica, portandola a nascondersi dietro le sue stesse mani, “Ah, è così quindi!”, esclama lui, costringendola a rispuntare per ribellarsi a quelle insinuazioni.
“Sta zitto.”, si limita a dirgli, facendolo se possibile sorridere ancor di più, “Dai, cretino!”, ci riprova, convincendolo a sollevare le mani in segno di resa.
“Non ho detto nulla.”, prova a difendersi con scarsi risultati.
“Hai detto troppo, altro che nulla.”
“Se non dico ti lamenti, se dico ti lamenti...”, ride, facendola sghignazzare a sua volta, “C'è qualcosa che posso fare?”, le domanda con tono esageratamente drammatico.
“Il toast.”, gli risponde senza perdere un colpo, “Puoi farmi il toast.”, ripete compiaciuta, osservandolo mentre la scruta con un sorrisetto sulle labbra, “Per favore?”, lo prega con un voce piccolina che a quanto pare fa il suo dovere talmente bene al punto che Giulia si ritrova la faccia ricoperta di baci senza quasi accorgersene.
Non fa nemmeno in tempo a lamentarsi che lui si è già messo seduto, spezzando con quel semplice spostamento quell'aura di torpore, sonnolenza e vagheggiamento in cui sono stati immersi fino ad ora, un po' come se vederlo in procinto di allontanarsi dal letto facesse tornare queste lenzuola quelle di qualsiasi altro giorno della settimana, quando la sveglia suona e lei si alza controvoglia, mentre i suoi occhi cercano subito le foto appese al filo lungo la parete.
“Ohi.”, la richiama a sé divertito, avendo forse notato il suo perdersi per un istante, “Non volevi il toast?”, le domanda, approfittando di quel momento per allungare le braccia sopra la testa e stiracchiarsi un po'.
“Si che lo voglio.”, gli risponde immediatamente, osservandolo mentre scosta le lenzuola per mettersi effettivamente in piedi.
La guarda curioso, come se avesse qualcosa da dire ma preferisse tenerlo per sé, e quegli occhi celesti così interessati non possono che strapparle un sorrisino.
“Vuoi che te lo porti qui?”, le domanda dopo qualche secondo di contemplazione, con quel tono di voce che Giulia è certa lui usi solo con lei, e le basta questo, o forse semplicemente questa piccola cosa non fa altro che sommarsi a tutte le altre, un'infinità di tasselli anche piccolissimi che le fanno tendere le braccia ancora una volta nella direzione di lui.
Sangio si concede, ridendo appena e sporgendosi quanto basta verso di lei per lasciarsi travolgere dalle sue braccia attorno alla vita, mentre la guancia di Giulia si poggia per un momento contro il suo ventre, nascondendosi per un altro po' in quel tepore che pian piano va affievolendosi.
“Ancora un po', eh?”, le domanda sottovoce, facendola annuire col viso contro la pancia di lui, “Ci sta.”, conviene con lei, passandole una mano sulla testa finché lei non decide che ora è il momento del toast, seguendolo a malincuore fuori dalle lenzuola e strappandogli una risata.
“Pensavo volessi una consegna a domicilio direttamente nel letto.”, la prende in giro, pizzicandole i fianchi mentre Giulia gli fa strada fuori dalla sua stanza e lungo il corridoio di casa.
“No...”, mormora, passandosi una mano sugli occhi, “Mi piace guardare mentre prepari le cose.”, gli dice, lamentandosi appena quando le mani di lui non sembrano volerle dare tregua, “La smetti?”, brontola, voltandosi per guardarlo minacciosa, trovandolo con una falsissima espressione angelica in volto.
“Che ho fatto?”, prova a difendersi, cedendo subito quando lo sguardo di lei rimane imperturbabile, “Va bene, ok.”, ride appena, “Tanto ora saranno occupate per un po', queste mani qua.”, mormora baldanzoso, facendo danzare le sue dita sotto lo sguardo di lei, “E non con te, pensa che novità.”, scherza, strappandole un sorrisino mentre lo spinge attraverso la porta della cucina.
“Io mi metto qua sopra.”, gli fa sapere, facendo leva con le mani sul tavolo per sedersi sulla sua superficie, “Da qui vedo tutto bene.”, sorride tra sé e sé, osservandolo spostarsi senza il minimo problema di spaesamento attraverso mensole e cassetti della cucina, prima che si fermi un momento al lavandino per sciacquarsi le mani.
“Va bene...”, borbotta, dandole le spalle mentre si allunga verso un'anta per recuperare il pane, “Anzi...”, riflette, voltandosi verso di lei, “Puoi scaldare questo, almeno?”, le domanda, porgendole la busta.
Giulia la fissa per un istante, afferrandola solo quando si rende conto che, stranamente, lui non la sta prendendo in giro.
“Poi però non ti lamentare se viene carbonizzato, eh.”, lo avverte, facendolo ridere mentre rovista nel frigorifero.
“Non mi sono mai lamentato del tuo pane carbonizzato.”, si difende, facendole subito storcere il naso.
“Ma come no, oh?”, lo affianca al bancone della cucina, lanciandogli un'occhiataccia che però lui non afferra, troppo indaffarato nell'affettare un pomodoro con una precisione magistrale.
Non li trova nemmeno troppo sgraziati, i pomodori, quando è lui a tagliarli, come se quella parte informe e piena di semi che sta al centro lasciasse completamente il posto alla scorza rossa e lucente. Quella le piace, trova che abbia un bel colore, poi Sangio è bravo a tagliarla in parti sottili sottili che nel toast stanno una meraviglia.
“Ti piacciono così?”, le domanda, lasciando cadere senza ulteriori battibecchi la questione del pane e indicando il tagliere su cui sta lavorando, “O li preferisci ancora più sottili?”, si informa, facendole scuotere la testa.
“Vanno bene così.”, gli dice, guadagnandosi uno di quei sorrisoni da bimbo felice che le fanno arricciare appena la punta dei piedi, costringendola a distogliere per un momento lo sguardo da lui onde evitare di volerlo strapazzare pure mentre prepara la colazione. O il pranzo, considerato l'orario.
“Tu questa la chiameresti colazione anche se sono le due?”, gli domanda divertita, spostandosi di fronte al lavandino per lavarsi le mani a sua volta.
“Eh no.”, mormora lui, sistemando ordinatamente tutte le fette di pomodoro una accanto all'altra sul tagliere, “Io questo lo chiamo sfamare l'improvvisa voglia di toast di Giulia.”, le dice serissimo, mentre le passa l'asciugamani che lei sta cercando.
“Perché, tu non mangi?”, gli chiede perplessa, facendogli subito aggrottare le sopracciglia.
“Certo che mangio, sei impazzita?”, ride appena, “C'è del tacchino stupendo in frigorifero che sta solo aspettando di sdraiarsi tra due fette del tuo pane carbonizzato.”, le fa sapere con un ghigno sul volto che la fa immediatamente sbottare.
“Lo vedi che mi prendi in giro!”, esclama risentita, infilando una mano nel sacchetto del pane per estrarne furibonda quattro fette candide dal bordo dorato, “Adesso vedi come lo faccio bene...”, borbotta tra sé e sé, sentendolo ridere alla sua destra, “Vedrai che tostatura perfetta, bello!”
“Tostatura, si, si...”, lo sente borbottare con un tono che non le piace per nulla.
“Oh, ma lo vedi come sei?”, si ribella, “Pure sulle parole hai da ridire?”
“La tostatura è quella della caffè, il pane tostato non c'entra nulla.”, le fa presente, ridendosela bellamente prima di venire distratto da qualcuno che fa irruzione nella stanza, “Oh, guarda chi c'è!”, esclama, chinandosi a terra per accogliere lo zampettare curioso del cagnolino di casa, “Sei stato attirato dalla tostatura?”, scherza, raccogliendo Gaston da terra e sorreggendolo su un avambraccio, “Mi spieghi come riesci a sopportare questa lamentona da più di dieci anni?”, sussurra all'orecchio del cane, senza la minima premura di non farsi sentire da lei.
“Tu mi sopporti?”, esclama sbigottita, “Mamma mia, oh, oggi sei proprio bugiardissimo.”, mormora, mentre con cura infila il cavo del tostapane nella presa della parete, “Gas Gas, non ascoltarlo.”, ci tiene a dire al barboncino, “E tu mettilo giù, porello. Guarda che musetto che c'ha, non gli dai proprio pace.”
Sangio solleva il cagnolino per aria, scrutando il suo musetto con un'attenzione minuziosa che la fa scoppiare a ridere.
“Cosa stai controllando, cretino?”, ride, strappando un sorrisino anche a lui, prima che Gaston torni comodamente accoccolato su un suo avambraccio.
“Gli ho chiesto se è effettivamente infastidito.”
“Gliel'hai chiesto guardandolo negli occhi?”
“Chiaro.”
“E che ti ha risposto?”
“Che è curioso di vedere come carbonizzerai il pane questa volta.”, le risponde con un'espressione monella delle sue, proprio mentre la prima fetta tostata sbuca dalla fessura del tostapane.
E' perfetta, ha un'evidente croccantezza che Giulia riesce a percepire solamente guardandola, e con estrema fierezza la estrae dal suo posticino per posarla sul piatto che Sangio ha preparato proprio lì accanto.
Lo guarda con la coda dell'occhio, senza proferire parola, e quando lo vede chinarsi per lasciare che Gaston torni con le zampe a terra, sa di averlo stupito.
“Wow.”, si limita a dire in un primo momento, prima di lasciarsi prendere da un entusiasmo che la trascina in una risata, “Porca troia, Giu, ma ti sei allenata?”, le domanda a tratti sconvolto, mentre con una mano ruota la fetta su sé stessa per constatarne la perfezione.
“Ma oh, guarda che non sono mai stata così terribile, eh!”, ci tiene a ribadire, vedendolo sgranare appena gli occhi.
“Insomma...”, se la ride, “Però non soffermiamoci sul tuo passato disastroso in cucina, guarda questa meraviglia.”, mormora, tornando con gli occhi sulla fetta di pane che nel giro di qualche secondo viene raggiunta dalle sue tre compagne, “Quattro su quattro, oh!”, esclama sempre più esaltato, “No, vabbé...”, sussurra, guardandola negli occhi, “Pazzesco.”
Giulia scoppia a ridere, spintonandolo contro una spalla per riportarlo alle sue mansioni da farcitore.
“Dai cretino, riempi 'sti toast che ho fame.”, lo sprona, facendolo sghignazzare mentre torna a ficcanasare nel frigorifero.
“Allora...”, riflette ad alta voce mentre scruta lì dentro, “Abbiamo questo tacchino...”, le fa sapere, passandole un involucro di carta stagnola chiuso su sé stesso, “I pomodori li abbiamo tagliati...”, ragiona, “Poi cos'altro c'è?”, le domanda, voltandosi verso di lei.
“Quello da spalmare.”, gli dice, indicando una confezione chiara nel ripiano interno dell'antello del frigorifero, “Lo metti sul pane e rende tutto più morbido.”
“Lo vogliamo morbido?”, le domanda con una voce di burro che la fa subito annuire con la testa, “Si?”
“Seh.”, gli dice, strappandogli un sorrisetto mentre afferra la confezione dal frigorifero e finalmente lo richiude.
“Sei carina.”, le fa sapere, portando le labbra di lei a farsi all'insù.
“Si?”
“Tanto.”, mormora lui, aprendo il cassetto accanto al lavandino per afferrare un coltello pulito, “Anzi, ti dirò di più.”, continua, sollevando il coperchio del formaggio spalmabile per raccoglierne un po' con la punta del coltello, “Sei la più carina.”
Giulia lo osserva passare il coltello lungo la prima fetta di pane tostato, lentamente, a coprirne per bene tutta la superficie, mentre le sue guance e le sue labbra collaborano in quella meravigliosa reazione incontenibile che certe parole di lui le provocano.
“La più carina di cosa?”, gli domanda con una vocetta appena percepibile, poggiando le mani sul bancone della cucina e lasciando che le sue dita si inseguano per un momento tra di loro.
Sangio sorride appena, passando alla seconda fetta quando evidentemente si sente soddisfatto della prima.
“La più carina.”, le ripete una seconda volta, a ribadire il concetto, “La più carina di tutte le cose.”, mormora, guardandola con un sorriso sincero che quasi non le fa più sentire il pavimento della cucina sotto i piedi.
“E sono la più carina perché mi piace il formaggio cremoso sul toast?”, ride appena, contorcendosi tutta quando Sangio le riserva un'occhiata dolcissima.
“Anche.”, mormora, cominciando ad afferrare i pomodori uno ad uno e ad adagiarli sulla distesa di formaggio, “Sei carina per tante cose.”, le fa sapere, “Per come giochi la mattina...”, mormora, afferrando dell'altro pomodoro, “Per la vocina che hai, per quanto sei dolce...”, continua, gettandole un'occhiata tanto onesta quanto infinitamente infatuata, “Per come accarezzi e come sorridi, per le attenzioni, anche...”, sorride tra sé e sé, strofinando le mani tra loro quando la prima fetta presenta abbastanza parti di pomodoro per i suoi gusti, “Anche per come mi svegli, tutto sommato.”, se la ride, trascinandola con sé.
“Pure se ti mando in crisi?”, gli domanda furba.
“Non mi manderesti in crisi se non fossi tu.”, le risponde subito, portandosi alle labbra un angolo di pomodoro che a quanto pare è in eccesso, “Quindi si, anche per quello.”, annuisce appena, cominciando a srotolare l'incarto del tacchino, “Sono proprio innamorato, sai?”, le fa sapere, con una spontaneità tale da farle quasi bruciare gli occhi, “Non mi dimentico mai di quanto è bello averti intorno, ma ci sono momenti come questo in cui tutto è talmente forte da non farmi pensare a nient'altro.”, mormora, facendole notare quella punta di imbarazzo appena abbozzata nei lineamenti di lui, “E io non ci riesco quasi mai, a fermare i pensieri. Invece pensare a te significa pensare a quello e basta.”, riflette, “Che poi forse pensare a te è anche un po' pensare a me, e a volte ne ho tanto bisogno.”, conclude, indaffarandosi con il coltello che ormai non gli serve più pur di stemperare quella confessione così improvvisa, “Vuoi leccare il coltello?”, le domanda, porgendoglielo come se nulla fosse e strappandole una risata per forza di cose.
Giulia scuote la testa, ignorando quell'offerta per intrufolarsi tra le sue braccia e stringerlo attorno alla vita, cogliendolo un po' alla sprovvista, almeno finché non lo sente ricambiare quella stretta.
“Mi abbracci così perché vuoi che metta a bollire il latte?”, la prende in giro sottovoce, facendola ridere di nuovo.
“No, cretino.”, lo insulta col tono più affettuoso che conosce, prima di sorridere tra sé e sé, “Però non ci mettere l'origano nel mio toast, lo sai che non mi piace.”, gli sussurra, facendogli soffocare una risata.
Qualche ora più tardi, dopo uno spazzolamento a dir poco vorace del loro spuntino e minuti letargici di contemplazione del soffitto rosa della camera di lei mentre decidono come vestirsi oggi e cercano una motivazione più che valida per lasciare casa e spingersi tra la folla della domenica pomeriggio, Giulia si ritrova con la mano calda di Sangio nella sua a passeggiare al fianco di lui lungo un viale piuttosto affollato del centro.
Hanno una meta, durante un rotolamento e l'altro della loro pausa riflessiva Sangio ha estratto dal cappello dei 'posti dove ti devo assolutamente portare' questo negozio per cui si stava già gasando dalle foto online, e a lei è bastato scorgere quegli occhi illuminati da una delle sue passioni più grandi per annuire e mandare un bacetto volante a Gas Gas mentre si richiudevano la porta alle spalle.
Quell'eccitazione bambina permane sul viso di lui e anche nel suo passo più svelto del normale, per una volta non è lei a condurre l'andatura ciondolante di lui ma invece si può crogiolare nel gran lusso di lasciarsi trasportare in una direzione di cui non ha la minima idea da quella mano sicura che stringe le sue dita con la delicatezza di sempre.
Questo affidarsi completamente a lui le permette di prestare attenzione ai suoi dintorni come forse non faceva da tempo, complice anche il via vai interminabile di gente generato dagli sconti di questo weekend, che in parte li nasconde dagli sguardi del mondo, facendoli passare piuttosto inosservati nonostante i colori evidenziatore a cui Sangio probabilmente non rinuncerebbe nemmeno se fosse sotto copertura.
Il centro di Roma comincia a farsi bello per le feste, agghindato dalle immancabili luminarie, file di lucette sistemate in modo da creare disegni natalizi. Riflettono sulle vetrine e, ora che comincia a calare il buio, anche sul lastricato del viale, ricreando un'atmosfera che per qualche ragione la riporta indietro negli anni, quando i suoi occhioni di bimba scrutavano le stesse luci, indicate con la mano dai suoi genitori.
Ci sono queste luminarie a forma di angioletti, in particolare, coppie di angeli che suonano delle trombe, uno da un lato della strada e uno dall'altro, che si fissano per quanto non abbiano occhi, e a Giulia viene spontaneo voltarsi verso di lui e indicarglieli con un dito.
“Li vedi gli angeli?”, gli domanda, convincendolo a sollevare lo sguardo verso i fili tesi a mezz'aria lungo la via.
“Si.”, le dice, cercando gli occhi di lei con un'espressione curiosa, “Angeli trombettisti.”, ride appena, facendola annuire con la testa.
“Mamma diceva che se chiudi gli occhi dopo averli guardati senti la musica delle trombe.”, gli fa sapere, vedendolo chiudere gli occhi in men che non si dica, “Ma non mentre cammini!”, scoppia a ridere, scuotendo la mano di lui per fargli riaprire le palpebre mentre un sorriso divertito si apre sul suo viso.
“E quando allora?”, le domanda, alzando appena le spalle, “Non ci si può mica fermare in mezzo alla via.”, le fa notare, guardandosi intorno, prima di piegare appena la testa per osservarla curioso, “Tu ci hai mai provato?”, le domanda, facendola subito annuire.
“Da bambina un sacco di volte.”
“E come facevi?”, indaga, “Ti fermavi sotto gli angeli?”
Giulia ci riflette per un momento, rivangando nei suoi ricordi finché non è certa di poter scuotere la testa.
“No, ci provavo mentre camminavo.”, gli dice, strappandogli un sorrisetto e un “Vedi” fin troppo compiaciuto, “Però mica mi dovevo preoccupare di andare a sbattere.”, gli fa presente, “Avevo mamma che mi teneva di qua...”, indica alla sua sinistra, “...e papà che mi teneva di qua.”, continua, scuotendo la mano di lui, “Potevo camminare ad occhi chiusi fino in fondo alla via, sentire tutte le trombe di tutti quanti gli angeli che stanno appesi qui sopra, e mica mi ponevo il problema di dover guardare dove stavo andando.”, ride appena, strappandogli un sorrisetto.
La guarda curioso per qualche secondo, preoccupandosi di superare a passo svelto una famiglia in stallo nel bel mezzo del loro percorso, e quando la via di fronte a loro è di nuovo abbastanza libera, le dice quello che Giulia stava già cominciando ad immaginarsi.
“Chiudi gli occhi.”, mormora, portandola ad assumere un'espressione vagamente incerta che lui cerca subito di convincere, “Ti tengo io, fidati.”, continua, “Cammina senza pensare a cos'hai attorno, vedrai che sarà come se avessi gli occhi aperti.”, le assicura, riuscendo nell'impresa di farle chiudere le palpebre fino a non vedere più nulla, se non gli aloni di luce impressi sulle sue pupille dopo che ha osservato troppo a lungo le luminarie lassù.
Sono rimasti anche i tratti degli angeli, dietro le sue palpebre, e per la prima volta dopo un tempo che le pare lunghissimo, le sembra davvero di percepire quello squillare di trombe, scordandosi per qualche secondo dell'andirivieni della gente attorno a lei, del frusciare delle buste dei loro acquisti, dei colpi di tosse, dello scorrere cigolante delle ruote di qualche passeggino sui sanpietrini.
La mano di Sangio non lascia la sua, come promesso, e anzi si adegua come può a continuare quello slalom tra le persone, facendola oscillare dolcemente e traendola a sé quando necessario, finché l'incanto del muoversi nel buio e di quel suono che forse è l'unica a sentire tra tutta questa gente svanisce, lasciando il posto al bisogno di tornare agli occhi chiari accanto a lei.
Quando posa di nuovo lo sguardo su di lui, Sangio sta guardando dritto davanti a sé, un sorrisino accennato sulle labbra e gli occhi rilassati, come se per lui fosse assolutamente all'ordine del giorno passeggiare silenzioso scortando qualcuno che vuole sentire il suono delle trombe degli angeli di luce.
“Sentite?”, le domanda, cercando i suoi occhi e portandola ad annuire piano, come se gli stesse rivelando un segreto, prima che le baleni in mente un'idea che potrebbe ripagarlo di tutti i morsi che ha tentato di darle mentre cercava di vestirsi prima di uscire. Insaziabile, questo ragazzo.
“Sai che suono hanno, le trombe degli angeli?”, lo richiama a sé, incuriosendolo e facendogli aggrottare la fronte.
“Quello di tutte le altre trombe?”, prova lui, ponendola come una domanda e strappandole una risata, prima che Giulia scuota la testa.
“Eh no.”, gli dice, provando a fare la seria, “Non è così semplice. Fanno così, senti.”, mormora, prima di intonare furbescamente un motivetto che in un primo momento lo lascia perplesso, poi invece gli fa sgranare gli occhi, quando realizza.
“Abbassa la voce.”, le sussurra, divertito ma con un pizzico di apprensione che la fa ridere un sacco, “Chissà cosa mi farebbero se sapessero che ci sei tu che canti il pezzo di Sanremo in giro per Roma.”, mormora, impegnandosi in un'esasperazione che gli riesce ben poco, “Come se nulla fosse, oltretutto.”, le sorride, stringendo meglio la sua mano, “Però questo vuol dire che ti piace, no?”
Giulia non tarda ad annuire, meravigliandosi di come lui possa ancora avere dubbi a riguardo. Li ha quasi sempre, in realtà, come se tutta l'insicurezza che riesce ad archiviare nei vari ambiti della sua vita riaffiorasse nella musica.
“Certo che mi piace.”, lo rassicura, “Te l'ho detto l'altro giorno, quando me l'hai mandato.”, gli ricorda, mentre lo sguardo di Sangio si distrae giusto per un istante, indeciso sulla traiettoria da prendere, prima di portarla con sé quando imbocca una vietta laterale, “Pure Simo dice che è una figata.”
“L'ha sentito anche lui?”, le domanda, tornando a sgranare gli occhi e strappandole una risata cristallina, “Solo lui?”, ci tiene a sapere, scrutando il viso di lei come se già sapesse.
“Solo lui, si.”, annuisce lei, prima di rifletterci per un secondo mentre osserva le loro gambe muoversi regolari lungo il loro percorso, “Forse anche Umberto...”, aggiunge all'ultimo momento, sentendolo subito soffocare una risata.
“Cosa vuol dire 'forse'?”, le domanda, particolarmente divertito.
“Eh, non lo so, lui era lì ma mica è detto che l'abbia sentito proprio bene...”, prova a spiegarsi meglio lei, “Però ha detto che è carino.”, ci tiene a fargli sapere, vedendolo subito ridere.
“Allora mi sa tanto che l'ha sentito anche lui.”, conclude con un sorrisetto sulle labbra, “Daje, è un buon segno che piaccia a loro due.”
“Pure a me piace, eh.”, gli ricorda, leggermente contrariata dall'affermazione di lui.
“Vabbé, Giu, ma tu sei di parte.”, scuote la mano a mezz'aria di fronte a sé, “Come se potessi mai dirmi che un mio pezzo non ti piace.”, ride appena, facendole subito storcere il naso.
“Certo che lo farei.”, ribatte, “Ti voglio bene, ma questo non vuol dire che non posso essere sincera con te, eh.”, gli dice, osservandolo mentre la scruta attentissimo, “Anzi, proprio perché ci tengo a te è importante essere onesta.”, riflette, annuendo tra sé e sé, “Con te, poi, mamma mia...”, ride appena, “Tu se non sono sincera lo capisci subito, a volte pure prima di me.”
“Vero.”, le sorride divertito, gli occhi stretti, come se stesse effettivamente riflettendo su quelle che gli ha appena detto.
“E poi comunque tutte le volte che ti ho detto che i pezzi erano forti poi erano davvero forti, cretino.”, si premura di ricordargli, “Pure quando non ci volevi credere.”, scoppia a ridere, scorgendo sulle labbra di lui quel sorrisetto che è un 'Hai ragione, si, hai proprio ragione' che però si traduce in un mero sospiro di assenso. Orgoglioso del cavolo che sei, porca miseria.
“Mi sa che l'ha sentito pure Seba, comunque.”, aggiunge giusto per punzecchiarlo un po', vedendo gli occhi di lui tornare subito sferici e sull'attenti.
“Lo dici solo per darmi fastidio?”, le domanda, scrutando il viso di lei come a sondare ogni suo minimo lineamento.
“Può darsi.”, alza appena le spalle Giulia, lasciandosi sfuggire un sorrisetto che si fa ancora più grande quando sente le labbra di lui posarsi morbide sulla sua guancia, con un tale impeto geloso da farla quasi scontrare con un passante, salvata all'ultimo dalla mano di lui che la riporta saldamente al suo fianco.
“Oh, attenta.”, la prende in giro, ricevendo in tutta risposta una spallata che non lo smuove minimamente, “Se il mondo sapesse che Giugiulola travolge gli anziani per strada...”, mormora sottovoce, facendola ridere prima che si volti per controllare che il vecchietto sia tutto intero.
Procede tranquillo, un po' ciondolante ma non più di quanto lo sia Sangio, quindi Giulia sente di potersi mettere l'anima in pace, e soprattutto di poter tornare ad una delle sue attività preferite.
“Sai che pure lui c'ha un po' la fissa delle scarpe?”, gli dice, vedendolo aggrottare le sopracciglia per un momento.
“Lui chi?”
“Seba!”
“Ancora?”, si lamenta esasperato, alzando gli occhi al cielo come a cercare nei soliti angioletti luminosi la forza, “Va bene.”, mormora, esibendo un contegno che la fa piuttosto ridere, “Allora chissà quante volte sarà venuto in questo posto qua.”, le dice, indicando l'ingresso del negozio a cui si stanno pian piano avvicinando, a qualche metro da loro, “Lui che ha la fortuna di vivere a Roma...”, sospira con una punta di rammarico che fa crollare il sorrisetto furbo che Giulia ha in viso in favore di un'espressione meno gioviale, “Da me ce lo sogniamo un negozio così.”, conclude lui, facendole immediatamente storcere il naso.
Ah, certo, le scarpe. Non lei, le scarpe.
Sangio riesce a mantenere una maschera di serietà quasi contrita finché proprio non ce la fa più, lasciandosi andare ad una di quelle sue risate sguaiate che al momento glielo farebbero volentieri abbandonare in mezzo alla via.
Non è vero, non lo farebbe mai, anche se forse un pochino se lo meriterebbe.
“Sei un cretino.”, si limita a dirgli, facendo dondolare furiosamente le loro mani unite tra i loro corpi, cosa che lui sembra trovare particolarmente divertente, “E comunque non è vero che Seba ha la fissa delle scarpe.”, ci tiene a vendicarsi, “L'ho detto solo per darti fastidio.”
“Lo so.”, le dice semplicemente lui, per nulla stupito da quell'informazione, sorridendole beffardo.
“Come lo sai, oh?”
“Non l'ho mai visto con delle scarpe interessanti.”, le da la sua spiegazione, “Quando uno è appassionato me ne accorgo subito.”, le sorride furbo, prima di sollevare lo sguardo per lasciare che i suoi occhi si facciano grandi di fronte alla vetrina della loro meta.
“Quindi guardavi i piedi a Sebastian?”, gli chiede divertita, riuscendo a strappargli un sorrisetto anche nel bel mezzo della sua epifania da shopping.
“Certo.”, annuisce lui risoluto, “Tu guardavi tutto il resto, io invece i piedi.”, mormora con una punta di stizza che la fa scoppiare a ridere.
“Non è vero.”, se la ride lei, “Io guardavo tutto il resto, tu invece guardavi me per controllare come guardavo lui.”, lo punzecchia, strappandogli l'ennesimo sospiro, troppo orgoglioso perché lo ammetta esplicitamente.
“Abbiamo un problema più grande ora.”, le fa sapere, convincendola a guardarlo incuriosita mentre gli occhi di lui restano incollati alla vetrina, scrutando all'interno del negozio, sempre più lontano.
“Che problema?”
“Ho paura di voler comprare tutto.”, le dice fin troppo seriamente, facendola scoppiare a ridere, “Quelle Jordan là in fondo mi stanno proprio chiamando.”, mormora, facendola sollevare sulle punte per provare a scorgerle a sua volta.
“Ti chiamano?”, gli domanda divertita, mentre i suoi occhi scorrono lungo una parete tappezzata di scarpe.
“Si.”, le risponde, “Tu parli con gli angeli di luce, io con le sneakers.”, ride appena, tornando finalmente a guardarla proprio nel momento in cui un uomo relativamente giovane sbuca dall'ingresso del negozio, probabilmente incerto sul da farsi con i due ragazzini incollati alla sua vetrina.
Giulia riconosce nello sguardo di lui il momento esatto in cui, come spesso capita quando fa un giretto tra i negozi anche da sola, l'uomo davanti a loro realizza di non avere di fronte due ragazzini avvolti dal rassicurante velo dell'anonimato, bensì proprio loro due.
Chissà se il suo comportamento cambia appositamente per loro, chissà come sarebbe se per un giorno potessero passeggiare per il centro senza essere nessuno.
E' certa Sangio non si tirerebbe indietro dal fare incetta di scarpe, su quello non ci piove, ma ogni tanto le capita di viaggiare col pensiero e domandarsi come andrebbe, se certe cose sarebbero più semplici, forse altre più complicate.
Al momento non ha tempo di pensarci più di tanto, perché il sorriso dell'uomo è contagioso, e la smania di Sangio ci va a braccetto, e quando entrano nel negozio e viene loro chiesto come possono aiutarli, Giulia ha solo una risposta.
“Ti prego, non fargli comprare tutto.”, implora l'uomo con fare divertito, strappandogli una risata e facendo scuotere la testa a Sangio.
“Possiamo dare un'occhiata?”, domanda lui con quel tono educato che sotto sotto nasconde un 'Ci provo a non comprare tutto, Giulia, ma non ti prometto nulla', prima di ricevere l'assenso di quello che, dopo un'attenta analisi, lei suppone essere il proprietario del posto.
Si porta le mani davanti al petto in un gesto che ricorda molto una preghiera, lui, annuendo quieto e indicando una brevissima rampa di scalette che portano ad un livello leggermente più basso rispetto all'atrio del negozio, direzione che Sangio imbocca senza che l'uomo si ripeta una seconda volta.
Lascia la mano di lei solo a quel punto, quando la curiosità lo porta a gironzolare per la stanza, guardando ovunque meno che nella direzione delle scarpe, un po' come se volesse tenersi quella parete come sfizio conclusivo, o forse semplicemente perché sa benissimo che una volta immerso nel paradiso delle sneakers difficilmente avrà voglia o modo di dedicare la sua attenzione ad altro.
Giulia, dal canto suo, lo osserva per un altro momento, divertita dal suo toccare tutto esattamente come i suoi genitori tenevano sempre a ribadire non andasse fatto, poi colta dalla curiosità, e consapevole di non subire il fascino delle scarpe quanto il suo fidanzato, si volta proprio verso la parete incriminata, lasciando che i suoi occhi scorrano rapidi lungo quella selezione di modelli disposti ordinatamente per colore.
Non è abituata a tutta questa varietà, o meglio, per quanto ne resti per forza di cose affascinata, nella sua vita è sempre stata più sul classico, senza allungare lo sguardo su collezioni limitate o collaborazioni più uniche che rare come invece il monello alle sue spalle ama fare, minuzioso, attento all'occasione, spesso e volentieri molto simile ad un collezionista.
Camminando a ridosso della parete finisce con l'imbattersi in una scarpa dal colore chiaro, non bianca, forse più tendente al crema, ma in fondo Giulia il termine tecnico per questa particolare tinta non lo sa.
Sa però che è carina, che è abbastanza monocromatica da vederla bene con diverse cosette che ha a casa, e che tutto sommato forse un po' se lo meriterebbe, un nuovo paio di scarpe.
Ha appena concluso un percorso tutto nuovo per lei, nel quale non si aspettava nemmeno di essere coinvolta tanto quanto poi è successo, e in fondo ne è uscita parecchio soddisfatta di sé stessa, un po' più consapevole delle sue capacità, arricchita di tante tante lezioni che le torneranno un sacco utili. E si è pure sbattuta, volendo ben guardare, che poi è qualcosa che fa da sempre, sbattersi, senza che la cosa vada a pesarle più di tanto, soprattutto ora che il risultato dello sbattimento è tangibile agli occhi di tutti.
Potrebbe essere tangibile pure ai suoi piedi, si, sorride, prendendo la scarpa tra le mani e ruotandola su sé stessa, prima che una voce alle sue spalle non la faccia trasalire.
“Fighe queste, oh!”, esclama Sangio sbucandole affianco, tra le sue braccia un numero indefinito di capi che Giulia guarda giusto per un secondo, tornando a cercare gli occhi di lui che stanno esaminando attenti la scarpa che ha tra le mani, “Ti starebbero bene.”, continua, riservandole un sorrisone che le strappa una risata.
“Si...”, mormora lei senza dar troppo peso alle sue parole, additando la pila di vestiti che lui si tiene stretto al petto, “Questi te li prendi tutti?”, gli domanda inquisitoria, lasciandolo per un momento senza risposta, boccheggiante mentre passa quegli indumenti da una mano all'altra.
Eccallà, mo' torniamo a casa con tutto il negozio.
“Ma no...”, riesce a dirle lui, guardandosi per un attimo alle spalle come alla ricerca di qualcosa, “Prima li volevo provare.”, temporeggia, visibilmente fiero di quella risposta vaga, “Se solo sapessi dov'è il camerino...”, borbotta, prima che Giulia gli indichi il corridoio lì adiacente, dove molto evidentemente si trovano le tendine che fanno al caso suo, “Che occhio che hai, oh.”, le sorride sornione, strappandole una risata.
“C'è scritto grande così che ci sono i camerini lì, cretino.”, ride di nuovo, portandogli una mano sulla spalla per convincerlo a girarsi verso un cartello che non lascia dubbi, “Guarda.”, gli fa notare, vedendolo alzare appena le spalle.
“Sarei proprio perso senza di te.”, le dice con tono canzonatorio, rimediando uno spintone e uno sbuffo esasperato.
Sangio svanisce in uno dei camerini, Giulia riesce a scuotere ancora una volta la testa prima di vederlo tirare la tenda con un sorrisetto beffardo, e mentre le mani di lei tornano a posare la scarpa al suo posto, le parole di lui la raggiungono di nuovo.
“Le dovresti prendere se ti piacciono.”, borbotta, mentre evidentemente si sta spogliando, vista la voce ovattata che giunge al suo orecchio, “Quando la scarpa ti chiama, come fai a dirle di no?”, sghignazza, facendola ridere a sua volta.
“Vabbé, ma ragionando così tu dovresti comprarle tutte visto che ti chiamano tutte quante.”, gli fa notare, alzando un po' la voce per farsi sentire nonostante la distanza che li separa.
Il proprietario dietro il suo bancone lassù penserà che sono entrambi fuori di testa, incapaci di starsene zitti persino separati dalla tenda del camerino mentre discorrono di scarpe parlanti, ma a Giulia poco importa, ad essere sincera.
“Infatti mi sto impegnando a non guardarle neanche.”, le spiega lui, “Mi devo dare una regolata.”
“Tu magari la regolata te la dai anche, ma già lo so che esci da qui con almeno un paio.”
“E un paio ti sembrano tante?”, si stupisce lui, tirando la tendina e sbucando di nuovo di fronte ai suoi occhi, “Un paio è carestia, tipo fioretto quaresimale.”, se la ride, “Come se facessi sparire dalla tua cucina tutti i biscotti e ti dicessi che ne puoi avere soltanto uno al giorno.”, abbozza su due piedi un esempio, facendole storcere il naso, “Com'è?”, le domanda, chiudendo quel discorso e aprendo le braccia per mostrarle la maglietta che indossa.
Giulia lo osserva per un istante, i capelli di lui arruffati come non mai da quel cambio d'abito repentino, cosa che le fa sfuggire un sorrisetto che a quanto pare non passa inosservato.
“La maglietta devi guardare, Giu.”, le ricorda altezzoso, convincendola ad infilare le mani nelle tasche della giacca per assumere un'espressione più critica.
“Amo', ci vuole come minimo una taglia in meno.”, conclude, vedendolo subito farsi perplesso.
“In meno, dici?”, riflette senza grande convinzione, ruotando su sé stesso come se indosso avesse un vestito a balze.
“Seh.”, fa in tempo a ribadire, prima che il proprietario li raggiunga, affiancandola con una domanda gentile pronta sulla punta della lingua.
“Come va?”, chiede curioso, sorridendole prima di gettare un'occhiata a Sangio, “Se vuoi ho anche la taglia più piccola di quella, eh.”, gli fa sapere, mentre le labbra di Giulia si fanno all'insù, intercettando quegli occhi chiari con un 'Te l'avevo detto' scritto in faccia.
Sangio cede a quella che ormai è l'evidenza, immergendosi in un'intricata conversazione con l'uomo che li porta a farsi almeno un paio di giri del negozio, mentre lei torna a rimuginare sulle scarpe di un attimo prima.
E pure su un altro paio, porca la miseria, che acchiappa la sua attenzione senza che lei ci possa fare nulla.
Ha ragione Sangio, più tempo passi in mezzo a loro più queste maledette ti chiamano, loro e i loro infiniti colori sgargianti a cui però Giulia pare essere immune, intrigata per la seconda volta questo pomeriggio da un paio dai toni più chiari, quasi neutri, un grigio pallido che zitto zitto attira gli occhi di lei su di sé.
Eccallà, ora deve pure scegliere quale tra le due scarpe preferisce, perché si, nel frattempo si è resa conto che non tornerà a casa a mani vuote, e questa decisione la fa precipitare in un rapido meeting con sé stessa per fare il punto della situazione che però, come poteva benissimo sospettare, viene interrotto dall'avvicinarsi di Sangio al fianco del suo nuovo compare.
“Quelle.”, gli dice sicuro, indicando le famose scarpe nere che aveva già adocchiato in strada.
E' determinato, come se il matrimonio tra lui e quel paio fosse già stato stipulato da mesi, e mentre l'uomo si allontana per controllare di avere il suo numero, Sangio la affianca, notando la scarpa sul grigio origine del suo dissidio.
“Ti ha chiamata, eh?”, le domanda furbo, facendola subito annuire, mentre una mano di lui non si astiene dal tastare personalmente la scarpa, “Beh...”, mormora, “Bella è bella.”, conclude, strappandole una risata.
“Dai!”, si lamenta, facendolo ridere, “Peggiori solo le cose così.”
“Che cosa peggioro, oh?”, le domanda confuso, portandola ad indicare il paio di scarpe di poco prima, giusto un po' più in là lungo la parete.
“Mi piacciono tutte e due.”, gli spiega, “E non so decidermi.”, specifica, vedendolo mordersi l'interno di una guancia, come se stesse facendo suo quel dubbio abissale.
Dopo qualche secondo di rimugino e occhi che corrono da una scarpa all'altra, Sangio se ne esce con la terza opzione, quella che lei non aveva nemmeno lontanamente contemplato.
“Prendile entrambe.”, le dice banalmente, facendole strabuzzare gli occhi, prima di continuare imperterrito, “Queste te le regalo io.”, le propone, indicando quelle sul grigio.
“Ma sei impazzito?”, ride lei, “Chissà quanto costano!”, gli fa notare, vedendolo per nulla perturbato da quel dettaglio.
“E' un regalo di Natale in anticipo.”, mormora divertito, “Ci sta che costi un po'.”, alza appena le spalle, “Poi tutti quei platini dovranno tornare utili prima o poi, no?”, ride, riponendo la scarpa al suo posto, “Ho chiesto al nostro amico se hanno delle scarpe per i piccolini ma dice che la Virgi è troppo piccolina.”, le fa sapere, “Però tu non lo sei.”, solleva le sopracciglia, strappandole una risata.
“Mamma si mette le mani nei capelli quando torna e si ritrova casa piena di scarpe, te lo dico.”, scherza, vedendolo allontanarsi pian piano nella direzione del camerino.
“Solo lei, per fortuna.”, ride, “Tuo padre non ha questo problema.”, sussurra, facendola irrimediabilmente scoppiare a ridere, prima di tirare la tendina, “Lo prendo come un si, comunque.”, aggiunge all'ultimo momento, mentre un sorrisino abbozzato prende piede sulle labbra di lei.
Così la trova il proprietario quando si ripresenta nella stanza, scatola alla mano e un'espressione trionfante che crolla quando si accorge che il suo acquirente dalla chioma fluente si è volatilizzato.
“E' andato a rivestirsi.”, gli spiega Giulia divertita, indicando il camerino, “Gli viene subito mal di pancia quando prende freddo.”, tiene a fargli sapere, subito raggiunta da un “Giulia!” imbarazzato direttamente da dietro la tendina, “E' vero, amo'!”
“Lo so che è vero, ma cosa gliene fregherà a lui?”, continua quello, indaffarato nel rivestirsi ma a quanto pare non abbastanza occupato da non potersi prendere un momento per avere da ridire.
L'uomo al suo fianco ride, come biasimarlo in fondo, prima di riservarle il consueto sorriso disponibile e la domanda ricorrente.
“Trovato qualcosa?”
Giulia annuisce, indicandogli con la mano le due scarpe con cui, mannaggia a Sangio che la porta in questi posti, spera vivamente di poter tornare a casa.
“Quelle due.”, gli dice, vedendolo annuire, prima che sparisca di nuovo una volta che lei gli ha fatto sapere qual è il suo numero.
I suoi occhi tornano a scivolare lungo la stanza fino all'ingresso del camerino, giusto in tempo perché il cretino la chiami a gran voce.
“Giu?”
“Dimmi.”
“Vieni un momento?”, la prega, incuriosendola non poco e facendola saltellare senza indugio nella sua direzione.
“Posso entrare?”, gli domanda d'impulso una volta che a dividerli è solo la tendina del camerino.
“No, ti ho chiesto di venire qua per lasciarti fuori.”, le risponde sarcastico, infilando una mano oltre quella coltre per scostarla appena e permetterle di infilarsi lì dentro, “Ti piace questa felpa?”, le domanda non appena Giulia lo ha di nuovo sotto i suoi occhi.
Lo fissa per un momento, riuscendo a fargli un giro intorno per quanto il loculo sia piuttosto stretto.
“E' carina, si.”, conclude, sollevando lo sguardo per scrutare gli occhi di lui, “Sembra morbida.”
“Lo è.”, conferma, “E' anche tanto calda.”, le sorride, facendole piegare appena la testa di lato.
“E come mai è così importante se mi piace o no?”, gli domanda perplessa, facendolo sghignazzare.
“Perché prima o poi te la ritroverò addosso, tanto vale che sia comoda e ti piaccia.”, ride, dedicandole una smorfia canzonatoria.
“E mi ha fatta venire fino a qua per prendermi in giro?”, lo guarda allibita, strappandogli una risata mentre immediatamente scuote la testa.
“No.”, nega subito, “Ti ho fatta venire fino a qua per questo.”, le sussurra, chinandosi appena per lasciarle un bacio sulle labbra che Giulia non si aspettava minimamente, e che anche per questo, forse, la lascia piacevolmente stupita.
La guarda con un'espressione talmente persa che Giulia è certa le sue guance stiano avvampando anche per questa piccolissima cosa, al che scoppia in una risata nervosa, dandogli le spalle e facendosi strada fuori dal camerino.
“Il tuo amico ha trovato le tue scarpe, comunque.”, gli fa sapere, osservandolo con la coda dell'occhio attraverso la fessura lasciata scoperta dalla tendina mentre lui comincia di nuovo a spogliarsi.
“Le Jordan?”
“E quali sennò?”, ride lei, facendolo sbuffare.
“Guarda che ti vedo che sbirci, eh.”, le fa notare, cogliendola in flagrante.
“Non sto sbirciando, ti aspetto e basta.”, cerca di difendersi, determinata a distogliere lo sguardo ma finendo immancabilmente per tornare a lui dopo qualche secondo.
“Se vuoi mi rivesto più lentamente, così mi aspetti ancora un po'.”, la punzecchia, strappandole un lamento esasperato che lo fa ridere parecchio.
Raccoglie le mani dietro la schiena, Giulia, poggiandosi per un momento contro la parete di fronte al camerino, e lasciando che i suoi occhi scorrano sulla stanza adiacente, deserta ora che loro due sono entrambi qui e il loro amico proprietario sembra essersi perso nei meandri del retro.
Per qualche ragione se lo immagina come un labirinto di scatole di scarpe impilate una sopra l'altro fino a raggiungere il soffitto, o forse persino oltre, torri di scatole multicolore senza una fine.
“Ha fatto una faccia quando è tornato con le scarpe e tu non c'eri più.”, ride appena, sentendo anche Sangio sghignazzare da dietro la tenda, “Secondo me ha pensato che fossi scappato.”
“Non scapperei mai da un posto così.”, mormora divertito lui, “Soprattutto non scapperei mai da un posto così lasciando qui la cosa più importante.”
“Le Jordan?”, abbozza, convinta di averlo battuto sul tempo con l'immancabile risposta sarcastica.
“No.”, le dice, sollevando la cerniera della giacca fino al collo prima di tirare la tenda e spuntare di fronte a lei, “Questa faccetta qua.”, sussurra, prendendole le guance tra le mani e strapazzandole giusto un po', prima di lasciar scivolare le sue dita fino alla mano di lei e stringerla appena, “Chissà che faccia avrà fatto quando gli stavi raccontando nel dettaglio quanto sto male quando prendo freddo, piuttosto.”, borbotta sottovoce, facendola scoppiare a ridere.
“Non ho raccontato nel dettaglio.”, obietta lei, mentre a passo lento tornano al centro del negozio, fermandosi di nuovo di fronte alla parete di scarpe.
“E per fortuna.”, sgrana gli occhi lui, sghignazzando tra sé e sé, “A quel punto non so quanto avrebbe voluto la foto che ci chiederà prima di andarcene da qui.”, scherza, ammutolendosi quando l'uomo torna da loro portando con sé altre due scatole.
“Le abbiamo!”, li avverte soddisfatto, “Ora vediamo come calzano.”
Per fortuna sua e delle sue tasche le scarpe calzano, eccome se calzano, tutte quante per di più, e dopo la fantomatica foto all'ingresso del negozio, i due si ritrovano a lasciare il posto con un paio di borse di tela cariche dei loro acquisti.
Il cielo qui fuori si è fatto scuro come la notte per quanto notte non sia, e nell'oscurità di questo tardo pomeriggio illuminato dalle decorazioni festive, a Giulia questa fine di novembre pare già un po' Natale.
Sangio ha preso a camminare molto più a rilento rispetto ad un'oretta fa, le ha ripassato il testimone di trascinatrice durante le passeggiate, e gli occhi di lui sono tornati come di consuetudine a guardarsi attorno più placidamente, assorbendo tutto ciò che lo circonda come la spugna che è.
Di tanto in tanto segue con lo sguardo certe persone che lo incuriosiscono finché non si allontanano troppo, più spesso, invece, si lascia conquistare da certi allestimenti elaborati nelle vetrine.
Giulia si domanda per un momento come se la viva lui, quest'aria natalizia per le vie, e l'occasione per indagare in merito giunge quando lo vede sorridere tra sé e sé, una smorfia appena percepibile che sarebbe passata inosservata ai più, i soliti più di cui lei non fa assolutamente parte.
“Che pensi?”, gli domanda curiosa, osservando gli occhi di lui mentre tornano a cercare i suoi.
Hanno un bagliore diverso, forse non sono mai stati così apertamente pieni di vita, come se finalmente Sangio sentisse di poter esistere sotto lo sguardo del mondo senza paranoie o dubbi su ciò che dovrebbe essere.
“Penso tante cose, in realtà.”, le dice, finendo per sorridere di nuovo, “Alcune sono cazzate, altre un po' meno.”
“Se le pensi con quel sorriso lì non possono essere cazzate.”, gli fa presente, vedendolo subito sfoderare un ghigno malefico.
“Questa me l'hai rubata.”, mormora consapevole, portandola per forza di cose ad annuire.
“Tu me ne rubi un sacco, di frasi.”, si difende senza battere ciglio.
“Tipo?”
“Tipo stamattina hai detto almeno dieci volte 'Lo sai', e lo sanno tutti che quella è mia.”, gli ricorda.
“Vabbé, Giu, abbonda ancora un po'...”, si lamenta, scuotendo le loro mani unite per aria in un gesto di sdegno, “L'avrò detto una volta, forse due.”
“E' comunque un furto.”, ribadisce lei, tornando a guardarlo con un'espressione curiosa, “Me le dici o no, queste cazzate?”, ride, strappandogli un sorrisino.
“Non si dice!”, la imita con un tono volutamente fastidioso, facendola scoppiare a ridere.
“Vedi che sei un ladro!”
“Certo che sono un ladro.”, le dice fiero, toccandole la punta del naso con un dito prima di lasciarlo scivolare fino al petto di lei, all'altezza del cuore, “Ti ho rubato pure questo.”, scherza, facendola sorridere, “Faccio le cose sul serio, io.”, mormora altezzoso.
“Pensavo ci avesse pensato Cupido a questo, oh.”, ride lei, facendogli subito scuotere la testa.
“Io e lui siamo soci.”, le spiega, “Lui lancia le frecce, io rubo i cuori.”
“E il tuo di cuore dove sta?”, gli domanda divertita, “Stamattina era lì sotto che batteva.”, ricorda, “Io non credo di averlo rubato.”
“Non c'è bisogno che lo rubi.”, le dice con un sorriso furbissimo, “Te lo regalo senza finire nell'illegalità.”, se la ride, “Anzi, mi sa che è già successo, il Natale scorso.”, ragiona, facendola annuire appena, “Mica male come regalo.”, scherza.
“L'anno scorso il cuore, quest'anno le scarpe...”, ride appena lei, facendogli subito scuotere la testa.
“Ci sarà altro, oltre alle scarpe.”, ci tiene a specificare, strappandole una risata.
“Mi sa che meglio del cuore non riesci a fare, Sanjuan.”, mormora, osservandolo mentre scruta pensoso il viale che stanno percorrendo.
“Per fortuna quello vale per sempre.”, le dice, “Natale, Capodanno, l'estate, tutti i giorni quando ti svegli...”, riflette, “Sai sempre che lui c'è.”, le sorride, “Vicino o lontano che sia, un po' ti appartiene.”
Giulia lo osserva distogliere lo sguardo e tornare all'espressione persa e rilassata di poco prima, sentendolo stringere un po' più forte la mano di lei nella sua, e le viene naturale sorridere tra sé e sé, forse l'unica reazione lecita quando ti viene detta una cosa così nel bel mezzo della strada.
“Per fortuna dovevano essere cazzate, oh...”, scherza, vedendolo sghignazzare, prima che torni a guardarla.
“Ti giuro che stavo pensando a quelle, eh.”, le assicura, “Poi il discorso ha preso un'altra direzione, questo si.”, ride, “Però le stavo pensando davvero, se vuoi te le dico.”, le propone, facendola subito annuire, “Prima riflettevo su quanto cazzo staranno bene le scarpe nuove qua dentro...”, le dice, scuotendo appena la borsa che tiene con l'altra mano, “...con la tuta, quella con la farfalla qua.”, continua, sollevando le loro mani unite per portarsele appena sopra il cuore.
“Ma queste non sono cazzate.”, gli fa notare lei, corrugando la fronte in protesta.
“Aspetta.”, la ferma, “Questa era solo la prima.”, le spiega, “L'altra invece è che stavo pensando alla torta dell'altra sera.”
“Quella del compleanno di mamma?”, si accerta lei, vedendolo subito annuire, “Era buona, porca miseria.”, esclama, ripensando alla crema di cioccolato che ne ricopriva la superficie.
“Molto.”, concorda con lei, passandosi la lingua sulle labbra.
“Hai fame?”, gli domanda divertita, conoscendolo fin troppo bene.
“Mah, un pochino...”, cerca di ridimensionare la cosa senza troppo successo, tant'è che Giulia lo guarda con un'espressione che parla da sé, “Ok, si, tanta.”, ammette, “Abbiamo praticamente saltato un pasto, oh.”, le ricorda, “Sei tu che mi fai dormire tutto il giorno, altrimenti io alle sette ero in piedi scattante.”, esagera spudoratamente, facendola sbuffare.
“Non ti rispondo neanche, guarda.”, si limita a dirgli, risparmiandogli l'imitazione che avrebbe pronta sulla punta della lingua di lui, giusto qualche ora fa, velocissimo a lamentarsi non appena lei si azzardava ad ipotizzare di uscire dalle lenzuola.
“Tu non mi rispondi ma io ho fame comunque.”, le fa presente, riuscendo a strapparle un sorrisino.
“Hai fame di dolce?”, si informa, portandolo a riflettere per qualche attimo.
“Probabile.”, mormora, annuendo con la testa quando si convince ancor di più di quella risposta, “Si, di cioccolato tipo.”, le dice, mettendo in moto quella parte della memoria di Giulia che è quasi sicura esista una pasticceria molto molto buona da queste parti.
Gli occhi di lei scorrono in fretta lungo le facciate dei negozi del viale, soffermandosi su una viuzza secondaria un po' appartata che è certa essere quella che sta cercando.
“Vieni.”, lo invita, deviando la loro traiettoria in quella direzione, “Ti porto in un posto.”
“Si mangia?”, le domanda, strappandole una risata.
“Cosa, il posto?”
“No.”, ride anche lui, “Si mangia nel posto?”
“Se vuoi si.”, gli dice, rallentando appena per passargli per un attimo le borse che regge con una mano, “Tieni un momento queste.”, lo prega, infilando la mano nella giacca per estrarne il telefono e controllare l'orario, “Se vuoi possiamo mangiare lì.”, ripete, recuperando le borse e riprendendo a camminare, “Sennò io avevo anche un'altra idea...”
“Che idea?”, le domanda senza indugio, il suo sguardo curioso che passa dalla viuzza un po' nascosta che stanno imboccando agli occhi di lei.
“Prendiamo qualcosa di dolce in questo posto dove ti sto portando e ce lo portiamo a casa, tanto ora che torniamo da me si è fatta ora di cena.”, gli dice, osservandolo mentre segue attentamente quel discorso, “Poi magari a casa ordiniamo pure una pizza...”, saltella appena su sé stessa, strappandogli una risata soffocata con quel piccolo balletto.
“Vuoi la pizza?”, le domanda divertito, facendola annuire immediatamente.
“Seh.”, mormora, “Ho proprio voglia.”, gli dice, ridendo appena quando lo vede scuotere la testa divertito.
“Stai facendo venire voglia anche a me.”, le fa sapere con un sorrisetto sulle labbra.
“Si?”, gli domanda, illuminandosi a questa notizia.
“Si.”, conferma lui, ritrovandola avvinghiata ad un braccio tutta d'un colpo, “Sei così contenta per la pizza?”, si stupisce.
“No, sono contenta perché se prendiamo la pizza non dobbiamo cucinare, non dobbiamo lavare quasi nulla e in più ora torniamo a casa al calduccio.”, elenca di getto, prima di notare la pasticceria che effettivamente si trova dove lei ricordava, “E poi ho pure indovinato il posto, oh!”, esclama, indicando la vetrina e trascinandolo fino alla soglia, “Guarda.”, lo invita, sollevandosi sulle punte per scrutare il bancone frigorifero del locale e tutte le prelibatezze che ha da offrire.
I suoi occhi scuri vengono subito attirati da ciò che resta di quella che probabilmente quella mattina era una torta, mentre ora si riduce a qualche fetta superstite dall'aspetto vistosamente cioccolatoso, tutte ordinatamente separate dalle loro vicine e collocate sotto una campana trasparente.
“Giu.”, la richiama Sangio sottovoce, mentre una delle mani di lui va a poggiare contro la vetrina, “Quella.”, le dice semplicemente quando Giulia si volta verso di lui.
“Quella al cioccolato, vero?”, gli chiede conferma, facendolo subito annuire, “Anche tu hai visto subito quella?”, ride, strappando un sorrisino anche a lui.
“Sembra buonissima.”, mormora, prima di guardarla di nuovo negli occhi, “Prendiamo due fette di quella?”, le domanda, al che lei non può che annuire vigorosamente, “Entro io e mi aspetti qua?”, le propone, scrutando per un istante le persone in fila debitamente distanziate.
“Va bene.”, gli dice, prima di vederlo allontanarsi ed accodarsi ad una signora tanto bassa che di primo acchito lo guarda storto.
Giulia ride tra sé e sé, sistemandosi di fronte alla vetrina per seguire con lo sguardo lui e l'animato botta e risposta che sta avendo con la nonnina, che nel tempo d'attesa prima che tocchi a lei indicare chissà quale dolce all'interno del bancone ha finito irreparabilmente per prenderlo in simpatia.
Gli da perfino un buffetto affettuoso su una spalla prima di uscire dalla pasticceria ed andarsene per la sua strada, prendendosi un attimo per gettare uno sguardo con quegli occhietti minuscoli anche nella direzione di lei, al che Giulia non può che sollevare una mano per salutarla, scorgendo quegli occhi chiudersi per un istante, appagati.
Di nuovo attenta all'interno della pasticceria, il suo sguardo scruta silenzioso le mani di Sangio gesticolare nella direzione di quanto resta della torta, prima che un paio di fette vengano agguantate dalla ragazza dietro il bancone e avvolte in un incarto candido.
Questo dovrebbe essere quanto, ma le dita del suo fidanzato non sembrano aver finito con quel loro indicare, e lo sguardo di Giulia non arriva fin là, ma è certa che abbia fatto cenno alla ragazza anche verso un altro punto del bancone, meno esposto alle luci del negozio rispetto all'area proprio sotto il naso di lei.
Rimane per un momento stranita, continuando ad osservarlo mentre paga, afferra il sacchetto che gli viene passato e ringrazia, prima di uscire e tornare da lei, sul suo viso l'espressione di chi sa già che verrà tempestato di domande.
Giulia decide di dargli una parvenza di tregua, lasciando che si dedichi a tutti i suoi sorrisini da furbone e le offra come sempre la sua mano grande, prima di fare mente locale ed andare con ordine.
“Che vi siete detti tu e la nonnina?”
“Eh, se solo sapessi, Giulietta...”, fa il vago, strappandole un lamento curioso.
“Eh dai, dimmelo.”, lo prega, lasciando che il suo sguardo s'insinui quanto può nel sacchetto della pasticceria per captare quel qualcosa in più che lui si è fatto dare, “Me lo dici?”
Sangio se la ride, domandandole in che direzione devono andare per tornare a casa e seguendo la rotta che Giulia gli indica, prima di porle come sempre qualche quesito che potrebbero benissimo evitare se solo lui dicesse le cose subito, senza sotterfugi da prestigiatore.
“Secondo te cosa possiamo esserci detti?”, la mette alla prova, facendole storcere il naso, “Cosa mi dicono di solito, le signore?”
Giulia ci riflette per un po', ormai rassegnata a dover risolvere i suoi indovinelli, poi giunge ad alcune possibili opzioni.
“Ti dicono che sei un bravo ragazzo...”, mormora, scoppiando a ridere quando ripensa all'iniziale espressione per nulla convinta della signora, “Anche se non mi pareva proprio tanto dell'idea all'inizio.”, gli dice divertita, facendo ridere anche lui.
“Ha detto che devo assolutamente tagliarmi i capelli perché sono un bel ragazzo ma troppo lunghi non vanno bene.”, le spiega, ridendosela bellamente quando Giulia gli lancia un'occhiataccia che dice tutto.
“Non ascoltarla, eh.”, si premura di dirgli con un tono stoico che non fa altro che trascinarlo in una risata ancora più fragorosa, “Sangio!”, lo ammonisce, “Non ci devi neanche pensare, eh?”, lo prega disperatamente finché non lo vede annuire.
“Va bene, d'accordo.”, la rassicura, “Non li tocco, stai tranquilla.”, ride come il monello che è, lasciandola comunque sull'attenti riguardo quel dibattito, prima che la mente di Giulia la riporti alla questione iniziale.
“Oltre a questa cosa che poteva pure evitare di dirti che ti ha detto?”, gli domanda incalzante, vedendolo finalmente cedere sotto la raffica di quei quesiti.
“Mi ha detto che mi ha seguito con passione, che i suoi nipotini mi vogliono tutti tanto bene, che sono un esempio...”, elenca, facendo scorrere la punta di un dito lungo una nocca di lei ad ogni punto.
“Le solite cose, insomma.”, mormora lei, vedendolo annuire mentre un sorrisino quasi timido spunta sulle sue labbra.
“E poi mi ha detto di tenerti stretta, che sei speciale e che una come te non capita tutti i giorni.”, le dice, portandola a schiudere leggermente le labbra, “E di trattarti bene, perché meriti solo quello.”, conclude, sorridendole appena, “E sai cos'ho pensato io?”
“Cos'hai pensato?”, gli domanda curiosa.
“Che la nonna ha ragione.”, ride, sollevando il braccio su cui regge tutte le borse e le buste collezionate durante il pomeriggio e districando le loro dita per infilare una mano nel sacchetto della pasticceria, “E poi ho visto questi e mi è venuto in mente il nostro discorso sui cuori di poco fa.”, le dice, passandole un tubetto misterioso, “Aprilo.”, la incita, convincendola a fermarsi per un momento nel mezzo del loro percorso e a passargli le varie borse che anche lei sta trasportando.
Si concentra per qualche secondo sull'estremità del tubetto che funge da tappo, tirando la linguetta che lo tiene saldamente chiuso e sbirciando al suo interno quando finalmente riesce a ricavare una fessura, aprendosi in un sorrisetto quando ne riconosce il contenuto.
“Sono cuoricini.”, mormora, inclinando il tubetto quanto basta per lasciar scivolare uno dei cioccolatini nel palmo della sua mano, “Che carini, oh!”, esclama, tornando a guardarlo e scorgendo un'espressione fiera sul suo viso.
“Saranno anche buoni, suppongo.”, le fa notare divertito, aprendo appena la bocca e scuotendo le braccia, entrambe fin troppo occupate, in una chiara richiesta di essere sfamato.
Giulia se la ride, avvicinandogli il cuore di cioccolato finché lui non riesce a prenderlo tra le labbra e a farlo sparire in un battito di ciglia.
Una voracità per nulla inusuale che però le fa storcere il naso pensosa, cosa che Sangio nota, faticando a trattenersi dal ridere.
“Cosa c'è?”, le domanda divertito.
“Li hai presi perché volevi il cioccolato, altro che cuoricini!”, lo addita, certa di averlo almeno parzialmente colto con le mani nel sacco.
Lui non nega, anzi, solleva appena le spalle con un sorrisetto sornione che la conquisterebbe nonostante tutto.
“La mia versione era più romantica, però se la metti così...”, scherza, strappandole una risata prima che lei si allontani furbescamente lungo il viale, lasciandolo più che perplesso.
“Dove vai, oh?”, le domanda confuso, alzando un po' la voce per raggiungerla anche a distanza.
“A casa.”, gli risponde astuta, “Dove sennò?”
“E mi lasci tutte le borse?”
“Almeno così sono sicura che non te li mangi tutti tu, questi.”, ribatte divertita, scuotendo il tubetto di cioccolatini di fronte al suo viso.
Quando varcano la porta di casa, dei cuoricini non è rimasta traccia, e Giulia è pronta a giurare che, nonostante i suoi rocamboleschi tentativi di prevenire la cosa, quello che se ne è mangiati di più resti comunque lui.
Gaston li accoglie con il consueto scodinzolio, dimenticandosi della loro esistenza nel momento stesso in cui le borse misteriose vengono posate nel mezzo del salotto, mandandolo in tilt quando la sua natura canina lo costringe ad annusarle curioso.
“Vedi?”, ghigna Sangio, mentre si libera dalla giacca e l'appende alla parete accanto alla porta, “Le scarpe chiamano pure lui.”
Giulia sorride tra sé e sé, attraversando il soggiorno per lasciarsi cadere sul divano, il tepore qui dentro così in contrasto col freddo invernale che li ha avvolti durante tutto il pomeriggio.
“Mi sa che non sono le scarpe che gli interessano.”, ride, indicando con un cenno del capo le borse con i loro acquisti e il musetto di Gas Gas che, del tutto disinteressato a quelle in tela, sta affondando sempre di più nel sacchetto della pasticceria.
“Oh!”, lo richiama Sangio quando finalmente fa i suoi conti, convincendo il barboncino a sollevare i suoi occhi sferici nella sua direzione, “Non ti fa bene il cioccolato.”, gli dice, strappando a Giulia una risata, mentre raccoglie da terra la busta, sottraendola all'attenta analisi del segugio di casa, “Per un momento ho pensato condividessimo una passione, cucciolo.”, continua con un fintissimo tono rammaricato, posando l'involucro del loro dessert sopra al comò dell'ingresso, “Invece sei uguale alla tua padrona.”, lo addita, passandogli una mano sulla testolina, “Goloso.”
Giulia sospira con una punta di sdegno, lanciandogli l'occhiataccia che Sangio stava già aspettando, il ghigno di lui permanente sulle sue labbra anche mentre, estratta la scatola con le sue scarpe dalla borsa, la raggiunge fino al divano e le si siede accanto.
“Io, golosa.”, borbotta, facendolo sghignazzare ulteriormente, “Per colpa di chi siamo finiti in pasticceria?”, gli ricorda puntigliosa, vedendolo sollevare le spalle con sufficienza.
“Ah, questo non me lo ricordo proprio...”, mormora, impegnandosi a non concederle nemmeno uno sguardo mentre si occupa di aprire la scatola e riportare alla luce i frutti dei suoi acquisti di oggi.
Ha un'espressione fierissima mentre le poggia una accanto all'altra sul parquet del salotto, scostando la scatola per distendere meglio le gambe e spogliarsi delle scarpe che ha indossato oggi, mettendole da parte per provare ancora una volta quelle nuove.
“Ti stanno bene.”, gli dice spontaneamente, conquistandosi un sorrisino affettuoso.
“Si?”
“Si, tanto.”, annuisce, prima di approfittarne per dargli la stoccata finale, “Resti un cretino comunque, eh.”, ci tiene a ribadirgli, facendolo ridere appena.
“Beh, quello non cambia per un paio di scarpe in più.”, mormora, raccogliendo le ginocchia sul divano e stendendo un braccio lungo lo schienale per voltarsi verso di lei, “Me lo sono conquistato quello status, me lo tengo stretto.”, le sorride furbo, allungando una mano per prendere a giocherellare con una ciocca dei capelli di lei.
Giulia lo osserva per un po', quieta, e quando il suo sguardo scende di nuovo lungo il corpo di lui fino a quelle scarpe nere, le viene naturale condividere il pensiero che le balena per la mente.
“Quando compro qualcosa di nuovo poi ogni volta che lo guardo mi viene in mente il momento preciso in cui l'ho comprato.”, mormora, “Come stavo, cosa stavo facendo, pure con chi ero...”, continua, vedendolo attento a quel discorso mentre le dita di lui continuano con quell'attorcigliare, “Succede con i vestiti, ma in realtà anche con tante altre cose.”, ragiona, portandolo ad annuire convinto, “Anche a te succede questa cosa qua?”, gli domanda, osservandolo mentre ritrae la sua mano per accoccolarsi contro lo schienale del divano.
“Quasi sempre, si.”, le dice, prima che Giulia lo interrompa di colpo con una domanda.
“Ti ricordi il momento in cui hai comprato tutte le tue scarpe?”, esclama stupita, strappandogli una risata.
“No, tutte no.”, nega subito, “Credo sia tipo necessario che in quel momento della tua vita, in quella giornata o pomeriggio, tu stia vivendo delle emozioni, perché il ricordo rimanga legato all'oggetto, no?”, mormora, facendola immediatamente annuire.
“Queste qua, per esempio.”, gli dice subito Giulia, indicando le scarpe bianche che ha ai piedi, “Le ho prese quest'estate un paio di giorni prima di salire da te.”
“E te le ricordi per questo?”, le domanda con un sorrisino emozionato, per una volta privo di quella furbizia pronta a prendersi gioco di lei.
“Si.”, annuisce lei, specchiando quel sorriso, “Era un bel momento, poi ero contenta di venire da te.”, ricorda, distogliendo per un momento lo sguardo da lui e lasciando scorrere i suoi occhi lungo il cuscino del divano, “Avevo pure un po' di ansietta, però era quella buona.”, mormora sottovoce, sentendolo subito ridere appena.
“Avevi ansietta di tornare da me?”, sospira curioso, tornando ad accarezzarle la testa e convincendola a cercare di nuovo i suoi occhi chiari.
“Ce l'ho sempre quella.”, scoppia a ridere, “Tutte le volte che so che ti rivedo.”, gli spiega, prima di storcere appena il naso, “Forse 'ansia' non è il termine giusto, però si avvicina tanto a quella cosa.”, ragiona, impegnandosi a fargli capire meglio quello che sta cercando di dirgli, “E' come quando devi salire sul palco, no? Stai per fare una cosa bella che ti piace, ma è come se il tuo corpo non collaborasse e facesse un po' quello che vuole perché si agita per quello che sta per succedere.”, si lascia sfuggire una risata che lo diverte molto, “Il palco ho quasi imparato a gestirlo, eh.”, gli fa sapere, annuendo convinta, “Con te ancora non ho capito come fare.”, gli sorride, finendo per ridere di nuovo quando nota lo sguardo di lui.
“Spero tu non lo capisca mai, Giu.”, mormora sottovoce, “Come gestire quella cosa che ti faccio provare.”, specifica.
“Ti piace vedermi impazzire per colpa tua?”, ride lei, strappandogli un sorriso divertito.
“Un po', forse...”, sorride tra sé e sé, “Mi piace perché anche se le mie gambe non diventano ballerine, e io non mi metto a dire a tutto il quartiere che stai arrivando...”, la punzecchia, guadagnandosi una smorfia, “...dentro sento le stesse cose che senti tu, quando torni da me.”, le dice, “E forse tra qualche mese, in qualche angolo d'Italia, guarderò queste scarpe qua e mi verrà in mente questo sorriso.”, aggiunge, accarezzandole una guancia col dorso delle dita.
“Magari ti verranno in mente anche le gambe ballerine...”, mormora divertita, facendolo ridere appena.
“Lo spero.”, annuisce tra sé e sé con un sorrisetto sulle labbra, “Quando non ci sei mi mancano anche loro.”, le fa sapere, convincendola irrimediabilmente ad adagiare la testa sulle cosce di lui, una guancia contro il materiale morbido dei suoi pantaloni.
Si concede di chiudere gli occhi per qualche istante, Giulia, godendo di quel momento di pace mentre le dita di lui riprendono come di consuetudine ad attraversare i suoi capelli, lente e regolari, almeno finché un gorgoglio proveniente dalla pancia proprio di fronte al suo sguardo non la fa per forza di cose scoppiare a ridere.
Affonda un dito nella felpa di lui, a quella che suppone sia l'altezza dello stomaco, strappandogli una risata quando commenta con “E' rumoroso, oh.”
“Gli hai promesso una pizza che lui non ha ancora visto.”, le spiega con fare divertito, “Si sta giustamente lamentando.”
“E prendiamola 'sta pizza.”, ride lei, sollevandosi dalle gambe di lui giusto in tempo per seguire con lo sguardo Gas Gas che raggiunge il divano trotterellando, richiamandoli con uno dei suoi guaiti educati.
“Che c'è?”, gli domanda Sangio con una vocetta dolce, “Qual è il problema?”, indaga, mentre il cagnolino si poggia sul cuscino del divano con le zampe anteriori.
“E' lo stesso problema che hai tu, il suo.”, se la ride lei, rimettendosi in piedi e prendendo la via della cucina, “Ha fame.”, conclude semplicemente, subito inseguita dallo zampettare del barboncino.
“Chiamo la pizzeria, quindi?”, s'informa Sangio, alzando un po' la voce.
“Chiamala.”, gli risponde, chinandosi a terra per raccogliere la ciotola di Gaston e rifornirla della sua meritata cena, “Buon appetito, eh.”, gli dice, ridendo appena per la sua solita voracità, prima di fare marcia indietro e tornare dall'altro pozzo senza fondo.
Si è messo comodo, reclinando la testa sullo schienale del divano, e ha portato il telefono all'orecchio, in attesa che qualcuno dalla loro pizzeria di fiducia risponda alla sua chiamata.
Le getta un'occhiata, strappandole un sorrisino, prima che anche lei decida di togliersi lo sfizio e provare ancora una volta le scarpe che si è comprata.
“Si, ciao, sono Sangio.”, borbotta lui con una vocetta a tratti incerta, mentre Giulia si siede a terra e le sue mani si preoccupano di liberare con cura la scatola del primo paio dalla carta velina, prima di sentirlo ridere appena, cosa che le fa sollevare lo sguardo per osservarlo.
Il proprietario della pizzeria li ha presi a cuore, su questo non ci sono dubbi, forse anche per via dei condimenti esagerati che Sangio vuole sulla pizza, e a quanto pare prima di lasciarlo prenotare lo sta intrattenendo con qualche domanda delle sue.
“Ancora un paio di giorni, si.”, mormora fissando il vuoto davanti a sé, prima di tornare con gli occhi su di lei, “Sta bene, chi la ferma più.”, ride appena, aprendosi in un sorrisone orgoglioso mentre ascolta quello che gli viene detto dall'altro capo della linea, “Si, si, ha spaccato. Ora glielo faccio sapere, sarà contenta.”, continua, distogliendo lo sguardo.
Le scarpe vanno dimenticate per un momento, l'attenzione di Giulia è catalizzata dal gesticolare brioso di lui, curiosa di sapere cosa si stiano dicendo quei due.
“Allora, si, a me fai la solita...”, esclama Sangio più risoluto di un attimo prima, segno che quel breve scambio si è chiuso per lasciare spazio al vero motivo dietro quella chiamata, “Abbonda, abbonda, non preoccuparti.”, ride, strappando un sorrisino anche a lei, “A Giulia invece...”, continua, tornando a guardarla con un punto di domanda scritto in viso e facendola subito annuire, “Una al prosciutto, si.”, conclude convinto, passandosi il telefono nell'altra mano per potersi poggiare con un gomito sullo schienale del divano, “Si, basta così. Siamo soli oggi.”, spiega, scoppiando in una risata vistosamente imbarazzata giusto un attimo dopo, “Eh, già...”, mormora, portandosi la mano che ha libera sul viso, “Tra mezz'ora quindi?”, domanda, prima di ringraziare e porre fine alla telefonata, prendendosi un raro momento per scorrere gli occhi sul suo schermo, “Mezz'ora e sono qui.”, le fa sapere, lasciandosi scivolare lungo disteso sui cuscini del divano.
“Che ti ha detto?”, gli domanda curiosa, spostandosi a carponi lungo il pavimento fino ad accovacciarsi accanto al divano e scrutarlo attentamente.
“Ah, si!”, si ricorda lui di colpo, distogliendo lo sguardo dal telefono per sorriderle appena, “Ti hanno vista ieri sera, sei piaciuta tanto.”, le fa sapere, riuscendo a strapparle un sorrisone spontaneo.
“Si?”
Sangio annuisce, allungando una mano per accarezzarle i capelli.
“Era proprio gasato, lui.”, ride appena, “La prossima volta che vai da loro aspettati una pioggia di complimenti.”, la avverte, prima di incappare sul suo schermo in qualcosa che lo lascia vistosamente di stucco, “No...”, mormora con un tono amareggiato che quasi la spaventa.
“Che succede?”, gli chiede, cercando gli occhi di lui senza però riaverli nei suoi.
“E' morto Virgil Abloh.”, le dice con la stessa mestizia di un attimo fa, prima di passarsi una mano tra i capelli e rimettersi ben dritto sul divano, come se la notizia di quel lutto meritasse una compostezza che in questo momento non gli appartiene.
A Giulia quel nome non suona del tutto sconosciuto, ha un qualcosa di familiare che però al momento non riesce a collocare nel mondo, quindi con la più accorta delicatezza si solleva da terra, sistemandosi al fianco di lui per dare un'occhiata a sua volta allo schermo del telefono, dove il pollice di Sangio sta scorrendo lentamente lungo le parole di un articolo.
“Chi era?”, gli domanda piano, poggiandosi con la testa contro la spalla di lui per provare a seguire quella cascata di letterine sotto i loro sguardi, cominciando a farsi un'idea grazie alle immagini che appaiono sullo schermo.
“Era tante cose, in realtà...”, mormora lui, “Un designer, prima di tutto.”, continua, “La cosa più vicina a noi che lo riguarda è Off-White, l'ha fondata lui.”
“Off-White come le scarpe?”, realizza, vedendolo subito annuire.
“Tutte quelle che abbiamo comprato oggi sono collaborazioni con Off-White.”, si rende conto lui dopo qualche secondo, “Pensa che roba, proprio oggi...”, sospira appena, “Quante probabilità c'erano?”, domanda tra sé e sé.
Poche, probabilmente pochissime, riflette Giulia, mentre i suoi occhi scorrono lungo il parquet del salotto, soffermandosi su quella scatola che ha lasciato in sospeso giusto un attimo prima.
Sangio le ha ancora ai piedi, le sue, da quanto gli piacciono non gli è lontanamente passato per la mente di toglierle.
“Solo quarantun anni...”, sospira di nuovo lui, “Non si dovrebbe poter morire così giovani, soprattutto quando si ha una testa così e ancora tante idee da realizzare.”, riflette, facendola annuire inconsapevolmente.
“Però quello che ha fatto rimane.”, se ne esce all'improvviso lei, indicando le scarpe di lui, “Non è mica una cosa che si possono permettere tutti, lasciare qualcosa che rimane alle persone.”, mormora, osservando lo sguardo di Sangio abbandonare lo schermo e scrutarla interessato, “E' un po' come con le canzoni, no? I cantanti lasciano i loro pezzi, lui ha lasciato i suoi modelli.”, gli dice, “E queste cose rimarranno per sempre.”
Gli occhi celesti di lui la osservano come se avesse appena detto le cose più giuste che potesse proferire in questo momento, e se da una parte ne è grata, dall'altra non può che esporgli un dubbio che di tanto in tanto torna a farle visita.
“Chissà chi danza cosa lascia, una volta che se ne va...”, si domanda con una voce piccola, osservando gli occhi di lui farsi un poco più grandi.
“Lasciate le emozioni.”, le risponde sicuro, senza la minima titubanza, “Quando qualcuno ti vede ballare gli trasmetti qualcosa che sente qui.”, le dice, sollevando un braccio per portarle una mano all'altezza del cuore, “E se è una cosa forte, qui rimane.”, le assicura, “Non se lo scorderà più, come si è sentito in quel momento. Un po' come con i calciatori, no?”, le offre un esempio forse un po' più vicino a lui, “Prima o poi Ibra dovrà ritirarsi, ma noi milanisti mica ci dimentichiamo quanto ci ha fatto sognare sul campo.”, sorride appena, “Guarda Maradona, anche. E' un anno che se ne è andato e la gente a Napoli continua ad accalcarsi fuori dal suo stadio.”, sospira, “E continuerà per sempre, lo sanno tutti.”
Giulia piega leggermente la testa di lato, distogliendo per un momento lo sguardo da quegli occhi così profondi e da quelle labbra sempre attente a scegliere le parole più azzeccate, tornando a dare un'occhiata allo schermo di Sangio, rimasto aperto sull'articolo che lo ha messo al corrente di quella perdita.
Le viene naturale illuminarsi un po', quando nota un dettaglio in una delle foto di quest'uomo portato via troppo troppo presto.
“Aveva la finestrella come me.”, sorride, convincendo anche Sangio a tornare con gli occhi sul telefono.
“E' vero.”, sorride anche lui, “Non ci avevo mai fatto caso.”
“Forse perché non è così importante.”, riflette Giulia, vedendo gli occhi di lui chiudersi in due fessure e le sue labbra farsi di nuovo all'insù.
“No.”, le da ragione, “Non lo è.”, scuote la testa, “Sai in cos'altro vi assomigliate, voi due?”, la richiama a sé, attirando la sua attenzione, “Lui ha portato un cambiamento, e anche tu secondo me lo stai facendo.”, le dice, “Tu vai oltre la danza, Giulia. Le persone non si ricorderanno solo questo di te, c'è tanto altro dietro.”, mormora con una convinzione che quasi trascina anche lei, “Come ti dicevo ieri sera, no? Tu piaci alle persone, e non solo perché balli da Dio, ma proprio per quello che sei.”, sorride appena, “Non ci si può dimenticare di una cosa così.”, conclude, lasciando che lo schermo del telefono si oscuri.
Sarà che la paura di essere dimenticata viene spesso a farle visita, o forse saranno gli occhi di Sangio che si sono fatti un poco più spenti di quanto non fossero oggi pomeriggio, Giulia non ne è certa, fatto sta che mentre lui esce dalla porta di casa per scendere fino all'ingresso del condominio a ritirare le pizze, lei a quest'uomo che ha fatto la rivoluzione ci pensa parecchio.
Aveva due figli, questo scopre mentre da un'occhiata veloce online dopo aver aperto il divano per trasformarlo in quella che, ha deciso nell'ultimo minuto, diventerà la loro tavola per stasera.
Sarà pure vero che ha lasciato al mondo la sua sperimentazione, quel cambiamento di cui Sangio parlava poco fa, ma ha lasciato anche due figli e una moglie che sicuramente lo amavano, e che staranno soffrendo chissà quanto in questo momento.
Strana la vita, veramente crudele a volte, riflette, infilandosi in cucina per recuperare forchette e coltelli, inseguita come sempre da un esagitato Gaston, al quale sorride forse un po' più teneramente del normale, decidendo di fronte al suo sguardo, ancora così cucciolo nonostante gli anni, di raccoglierlo da terra e tenerselo stretto al petto.
“Voi non ci dovete mai pensare a queste cose tristi.”, gli dice, mentre insieme si spostano davanti al bancone della cucina e le mani di lei aprono un cassetto per afferrare ciò di cui ha bisogno, “Siete fortunati, lo sai?”, gli domanda, prima di sorridere per il guaito confuso di lui.
Le gambe di Giulia la riportano in salotto proprio mentre Sangio fa di nuovo capolino dalla porta d'ingresso, cartoni della pizza alla mano e gli occhi tornati alla stessa limpidezza di oggi.
“Porca troia, quanto fa freddo!”, rabbrividisce, richiudendosi la porta alle spalle e passandosi una mano rapidamente lungo un avambraccio, nel fallimentare tentativo di riscaldarsi.
“Ti avevo detto di prendere la giacca, ma non mi ascolti mai.”, brontola lei, strappandogli un sorrisetto impertinente.
“Chi lo sapeva che potrebbero trasferirsi dei pinguini lungo quelle scale, oh?”, ribatte subito, prima che i suoi occhi cadano sul barboncino che si è placidamente accoccolato col muso contro il collo di lei.
“Poi dici a me che lo prendo sempre in braccio...”, la punzecchia, “Guarda come si è messo comodo, poi, oh!”, esclama, facendola ridere.
“Sei geloso?”, lo prende in giro, prima di nascondere il naso tra le orecchie di Gaston e sussurrargli un furbissimo “Guarda quanto è geloso...”
Sangio smentisce subito la cosa, scuotendo vigorosamente la testa e facendo per portare le pizze in cucina, intercettato subito da Giulia che gli sottrae i cartoni, dirigendosi invece verso il divano letto.
“Sono geloso di molti ma di lui no.”, ci tiene a specificare, prima di domandarle confuso dove stia andando con le loro pizze.
“Qua.”, gli risponde banalmente lei, posando i cartoni sul lenzuolo chiaro dopo aver lasciato che le zampette di Gas Gas tornino a terra.
“Tua madre ci insulterebbe in catalano se ci vedesse fare questa cosa.”, le fa notare, contrariato ma non abbastanza da non mettersi comodo al suo fianco.
“Mamma non c'è.”, gli ricorda lei, alzando appena le spalle.
“Oh, cos'è tutta questa ribellione?”, la prende in giro, strappandole una risata, “Quelli se ne vanno per due giorni neanche e guarda come mi diventi.”
“Potevo fare molto peggio...”, si difende lei, vedendo gli occhi di lui farsi particolarmente curiosi mentre gli passa forchetta e coltello.
“Tipo?”
“Tipo che potevamo mangiarle direttamente a letto, e invece almeno ci siamo limitati al salotto.”, scoppia a ridere, trascinandolo con sé, “Io se fossi in mamma sarei orgogliosa di tutta questa saggezza.”, aggiunge all'ultimo, vedendolo scuotere la testa divertito mentre solleva il coperchio del cartone, la sua espressione immediatamente appagata da quell’aroma piccante assolutamente fuori dal normale che si ostina a dire essere il migliore a mani basse.
“Che spettacolo.”, mormora soddisfatto, strappandole un sorrisetto, “Sai cosa dovrebbero imparare i pizzaioli di qui da quelli americani?”, le domanda di colpo, rispondendosi da solo, “A dividere la pizza già in fette prima di consegnarla.”, le dice convinto, ”E' un sacco più comodo e non rischierei di fare andare pizza ovunque tagliandola.”
Giulia si ritrova a convenire con lui, ricordandosi di uno strumento che potrebbe proprio fare al caso loro e che è capitato sotto il suo sguardo giusto un momento fa, mentre rovistava nel cassetto delle posate.
“Di là abbiamo la rotella.”, gli fa sapere, disegnandone la forma nell'aria con un dito, “Quella per tagliare la pizza.”, specifica, vedendolo alzarsi di scatto dal letto senza che lei abbia modo di dire altro.
“E' nel solito cassetto?”, le domanda, gridandolo senza curarsi di essere chiassoso come pochi.
“Si!”, gli risponde alzando un po' la voce, sentendolo rumoreggiare mentre rovista nel cassetto, prima che torni altrettanto velocemente da lei con un'espressione compiaciuta.
“Trovata.”, le dice, scuotendo la rotella tagliapizza di fronte al suo sguardo, prima di posarla sul cartone della pizza e mettersi seduto ai piedi del letto, prendendosi un momento per togliersi finalmente le scarpe.
“Sono comode?”, gli domanda Giulia, mentre aiutandosi con la rotella disegna una serie di piste trasversali nella sua pizza, trafiggendo il prosciutto senza pietà.
“Molto.”, annuisce lui, lasciando ricadere a terra anche la seconda scarpa e facendo per tornare da lei, distratto però da un qualcosa che attira il suo sguardo curioso dal mobile della televisione, “Cos'è 'Giulia 2009'?”, le domanda, prendendo tra le mani una videocassetta che Giulia si è ricordata esistere solo un paio di settimane fa.
Gli sorride, già altamente consapevole di ciò che l'aspetta una volta che Sangio avrà la sua risposta, e incrociando le gambe sulle lenzuola toglie ogni dubbio a quel paio di occhioni celesti.
“Sono i filmati di quando ero piccola.”, gli dice, osservandolo mentre scruta la videocassetta tra le sue mani, “Papà era nostalgico e l'ha fatta riapparire.”, ride appena.
Sangio solleva lo sguardo con un sorrisino sulle labbra che potrebbe benissimo scioglierla, chiedendo esattamente quello che Giulia sospettava.
“La vediamo?”, la prega, senza dare troppo a vedere la curiosità infinita che gli sta scorrendo dentro, al che lei non può che annuire, assolutamente incapace di dirgli di no, ne ora ne mai.
Che poi non avrebbe nemmeno senso farlo, è una cosa carina, in fondo. Probabilmente a papà verrebbe un collasso a saperli qui così spiaggiati mentre rivedono la lei minuscola del passato, ma papà non c'è, quindi è tutto regolare.
“Devi metterla nel coso lì sotto.”, lo istruisce, indicando il lettore delle videocassette appena sotto la tv.
“Il coso?”, la prende in giro lui, venendo immediatamente colpito alle spalle da un cuscino.
“Tu come lo chiameresti, scusa?”, brontola agguerrita, “Non eri nemmeno nato quando si usavano quei cosi!”, scoppia a ridere.
“Guarda che non sei così più grande di me, eh.”, le ricorda stizzito, lasciando che la videocassetta venga mangiata dal lettore, “Sei mesi sono un nulla, non abbiamo vent'anni di differenza.”, ribadisce, più infastidito di quanto vorrebbe ammettere, afferrando il telecomando e passandoglielo mentre si accomoda alla sua destra.
“Resti comunque un bimbo.”, tiene a fargli sapere con un ghigno, strappandogli una risata soffocata, prima di puntare il telecomando verso la tv e cercare di ricordarsi come si fa a riprodurre i filmati delle videocassette.
Mentre lei si arrovella, Sangio non perde tempo prima di suddividere anche la sua pizza in fette, portandosene subito una alle labbra e facendola sparire in un sol boccone.
“Poteva abbondare ancora un po' col piccante...”, conclude, passando immediatamente alla seconda fetta mentre Giulia storce il naso.
“Io non ti bacio più oggi.”, si limita a dirgli, riuscendo finalmente nell'impresa di accedere alla schermata dei Filmati di Carlito.
“Ma come no?”, si lamenta lui con tono abbacchiato, passandosi la lingua sulle labbra, “Mi lavo i denti poi.”, le assicura, strappandole un sorrisino e una carezza tra i capelli, “Ce l'hai fatta?”, le domanda mentre addenta un'altra fetta di pizza.
“Seh.”
“Fallo partire allora.”, la esorta, facendole scuotere appena la testa mentre lo avvicina un po' di più, tendendogli le braccia in quel modo che lui sa, “Come mai?”, le domanda di fronte a quella richiesta, passandole un braccio attorno alla vita per stringerla a sé.
“Così.”, si limita a dirgli Giulia, accoccolandosi contro la sua spalla prima di far partire il filmato.
“Chi sono quelli, Giu?”, domanda la voce di suo padre da dietro la videocamera, aprendo così il primo di quella serie di filmati.
Inquadra una piccola lei alle prese con alcuni dei suoi peluche, tutti in fila uno accanto all'altro sulle lenzuola del suo letto mentre le sue manine gesticolano nella loro direzione, cercando di spiegare qualcosa.
“Sono i miei pupazzi.”, gli risponde lei con una vocetta che scaturisce in Sangio esattamente la reazione che si sarebbe immaginata.
“E' rimasta uguale, eh.”, le sorride, facendole subito storcere il naso e convincendola a mettere in pausa il filmato, “Sei cresciuta tutta tranne la voce.”, ride, beccandosi un buffetto per nulla minaccioso su un ginocchio, “E' rimasta piccolina, quella.”, mormora, invitandola con un cenno verso la televisione a far ripartire quelle immagini sgranate.
“Questo qua è Topolino.”, spiega a suo padre, indicando il peluche con un dito, “Però mi sa che Topolino lo conoscono tutti, papà.”, ragiona la piccola lei, cosa che fa parecchio ridere Sangio, “Non c'è bisogno che spiego chi è lui.”
“E gli altri invece chi sono?”, le domanda Carlo, incoraggiandola a continuare con le presentazioni.
“Questo piccolino è Pepito.”, gli dice subito, prendendo un orsetto color nocciola tra le mani e mostrandolo alla videocamera, “E' il più piccolo, quindi tutti gli altri si prendono cura di lui.”, spiega convinta, posandolo di nuovo sulle lenzuola accanto a Topolino.
“Si prendono tutti cura di lui?”, le chiede suo padre, facendola annuire vigorosamente.
“Certo!”, gli risponde come se fosse la cosa più ovvia del mondo, “Si fa così con i piccoli, i più grandi li devono aiutare.”, ribadisce, prima di passare all'ultimo peluche sistemato di fronte a lei sul letto, “Lui è il mio preferito.”, rivela sottovoce, prima di scoppiare in una risata del tutto simile a quella che ha ora, “Guarda che carino!”, esclama, scuotendo un orsetto più grande per aria.
“Marius...”, sente Sangio mormorare al suo fianco, talmente attento alle immagini sullo schermo da essersi scordato almeno per il momento di quanto resta della sua pizza.
“Come mai è il tuo preferito?”, domanda la voce di suo padre, un quesito che fa rimanere interdetta la piccola lei.
“Ma come, papà...”, ride, “E' Marius! Lo sai come mai è il mio preferito.”, gli fa presente, prendendo a trotterellare per la stanza e costringendolo a cambiare inquadratura.
“Io lo so, Giu.”, conviene con lei, “Ma chi guarda questo video magari non lo sa.”, le spiega, convincendola con quelle parole a fermarsi e a tornare di fronte all'obiettivo.
“E chi è che guarda questo video?”, gli domanda curiosa, toccando la lente con un dito e oscurando per un istante la ripresa.
“Se fai così sicuramente nessuno.”, ride Carlo, “Non vedono niente se metti le mani qua, lo sai?”, le dice, persuadendola a tornare seduta ai piedi del letto.
“Si ma non mi hai detto chi guarda il video, però!”, gli ricorda lei, curiosa di sapere.
“Tutti quelli che vuoi.”, le spiega, “Mettiamo questo filmato in una videocassetta e poi lo puoi fare vedere a chi vuoi tu.”, continua, “Magari lo vorrai vedere anche tu stessa, quando sarai grande e non ti ricorderai più com'era quando eri così piccina.”
La piccola Giulia trova particolarmente spassosa quest'affermazione, poggiandosi divertita con una guancia contro le lenzuola.
“Ma io mica mi dimentico, papà!”, gli dice con una sicurezza infinita, del tutto stupita da quanto lui le stia dicendo, “Però se vuoi te lo spiego comunque perché Marius è il mio preferito.”, mormora con un'espressione furbetta, aggrappandosi alle lenzuola fino ad abbarbicarsi sul letto, travolgendo i suoi amici di pezza e sedendosi lì sopra con Marius poggiato sulle gambe, “Lui dorme con me di notte, qui nel letto.”, gli racconta, “A volte ho un po' paura quando c'è buio e sono qui da sola, poi però mi ricordo che c'è lui e mi passa.”
“Non hai più paura perché lui ti protegge?”
“Si.”, annuisce convinta, prima di aggiungere una cosa, “Lui protegge me e anche io proteggo lui, perché lui è piccolo e io pure, e quindi io mi prendo cura di lui e lui si prende cura di me.”
Giulia sente il braccio di Sangio attorno alla sua vita stringere appena, avvicinarla a sé se possibile ancora di più, e quando solleva lo sguardo dallo schermo della televisione per guardarlo, non è troppo stupita di vedere gli occhi di lui velati di lacrime.
Si sente così anche lei, per quanto la vocina della lei del passato la faccia sempre sorridere. La sua percezione del tempo è cambiata, sicuramente da quando aveva sette anni, ma anche negli ultimi mesi della sua vita. Oggi, poi, per una serie di motivi rivedere il passato scorrere così nitidamente di fronte ai suoi occhi le fa un certo effetto.
“Come mai li hai messi tutti in fila?”, le domanda Carlo, impegnandosi in una panoramica piuttosto ben riuscita di quello schieramento di peluche.
“Sto insegnando una cosa.”, spiega lei a suo padre, “Quindi devono stare in fila e attenti.”
“E cosa stai insegnando?”
“Le cose che ho imparato ieri a danza.”, gli dice come se fosse scontato, “Le ho insegnate anche a Gas Gas ma mi sa che non ha capito niente.”, scoppia a ridere, lasciandosi cadere a pancia in su sulle lenzuola.
Al suo fianco Sangio se la ride, costretto da quel minimo movimento a tirar su col naso e a passarsi una mano sugli occhi onde evitare che quelle lacrime che si tiene stretto piovano incontrollate.
“Le hai insegnate a Gas Gas?”
“Si, prima!”, annuisce, “Vuoi che ti facciamo vedere?”, gli domanda furba, alzando appena lo sguardo per cercare gli occhi di suo padre dietro la videocamera.
“Facci vedere.”, la esorta lui, inseguendola come può quando lei schizza fuori dalla sua cameretta e lungo il corridoio, fino a scontrarsi con lo scodinzolare incontenibile di un minuscolo Gaston.
“Che batuffolo, oh!”, esclama Sangio, cercando con lo sguardo il Gaston di oggi, placidamente acciambellato sul suo cuscino nell'angolo.
“Dai, Gas Gas!”, lo incita Giulia, afferrando le zampette anteriori del cucciolo e sollevandolo appena da terra, “Facciamo vedere a papà cosa ti ho insegnato.”, continua, facendo oscillare delicatamente il cagnolino a destra e a sinistra.
“A me sembra molto bravo.”, commenta Carlo.
“E' perché ha avuto una brava maestra!”, se la ride lei, prima che il filmato s'interrompa e lo schermo venga invaso da una serie di bande grigie per qualche secondo.
Il filmato successivo sta per cominciare, ma Sangio richiama la sua attenzione, indicandole il telecomando e convincendola a mettere in pausa.
“Ti si raffredda tutta la pizza se non la mangi.”, le fa notare con una voce roca, puntando con un dito al contenuto del cartone ancora intonso.
Giulia annuisce, posando il telecomando sulle lenzuola e afferrando immediatamente una fetta della sua pizza.
“E' ancora calda.”, lo informa dopo averne preso un morso, strappandogli un sorrisino.
“Sono emozionanti, questi video qua.”, le dice dopo un attimo di silenzio quasi contemplativo, “Non ti rendi conto di cosa significhi lo scorrere del tempo finché non vedi una cosa così.”, riflette, portandola ad annuire e a tornare di colpo ai pensieri di poco prima.
“Tu lo sapevi che Virgil aveva due figli?”, gli domanda di getto, portandosi una ciocca di capelli dietro un orecchio.
“Si, l'ho letto prima.”, le risponde, cercando i suoi occhi come ad indagare su quella sua uscita improvvisa.
“Prima abbiamo detto che anche se è morto ha lasciato qualcosa di sé, no?”, mormora, vedendolo annuire, “Però ha lasciato anche loro.”, gli dice, “Cosa rimane di quello, invece? Cosa rimane dell'amore?”
Sangio abbassa appena lo sguardo, le sue dita prendono ad indaffararsi con il bordo del cartone, come se nemmeno lui per una volta avesse una risposta vera e propria.
“Una voragine, credo.”, le dice dopo un momento di riflessione, “All'inizio credo rimanga solo quella, almeno.”, continua, “Poi forse piano piano le cose migliorano, e forse si riesce ad andare avanti anche grazie a cose così.”, mormora, indicando il fermo immagine del filmato sullo schermo della televisione, “Si vive nel ricordo, perché anche se non basta è tutto quello che rimane.”
Giulia accetta quelle parole come le migliori che potesse desiderare per trovare una soluzione positiva ai suoi pensieri, e quando Sangio le sorride appena, un attimo dopo, non può che ricambiare.
“Quando avrò dei figli farò un sacco di video così.”, mormora con una certa risolutezza, “Magari non da mettere sulle videocassette perché non sono vecchio come te...”, ghigna, lanciandole un'occhiata d'affronto che le strappa una risata, “Però ne farò tanti, perché il tempo corre troppo in fretta e basta un attimo e nemmeno ti accorgi di quanto velocemente cresca una persona.”, continua, “Come con la Virgi, me ne vado qualche giorno e quando torno è già più grande, una cosa assurda.”
“Pensa a quando tornerai a casa e ti chiamerà 'zio'.”, gli dice divertita, vedendo un sorrisone emozionato spuntare sul viso di lui.
“Pensa a quando le insegnerai involontariamente a dire 'cretino' e ti pentirai per sempre di essere all'origine della sua prima parolaccia.”, la punzecchia, facendole corrugare la fronte.
“'Cretino' non è una parolaccia, cretino.”, gli fa notare, trascinandolo in una risata sguaiata.
“Ne sei proprio sicura?”, la prende in giro, affondando la punta di un dito nella fossetta che le spunta in una guancia quando sorride, “Molto carina questa fossetta.”, mormora divertito, perdendosi per un attimo guardandola negli occhi.
“Si?”, gli domanda, vedendolo subito annuire, “Resti cretino comunque, lo sai?”, lo avverte, “Non è che siccome mo' mi fai i complimenti io cambio idea.”, gli fa sapere, finendo per aprirsi in un sorriso quando nota le labbra di lui farsi all'insù.
“Va bene.”, le dice tranquillamente, alzando appena le spalle, “A me va bene.”

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finché tu sei qua
FanfictionGiulia e Sangio si sono fatti una promessa: appena uno dei due avrà del tempo libero, la prima cosa che farà sarà prendere un treno e raggiungere l'altro. Vi accompagno attraverso una serie di momenti rubati, tra Roma e Vicenza, frutto della mia fan...