capitolo 6

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Non c'è un modo per descrivere ciò che accadde dopo. Un cuore che si sana, domande che ricevono risposte solo per formarne altre. Cara piangeva, anche se meno di prima; il pianto le si era ridotto a qualche lacrima che di tanto in tanto le solcava la guancia. Il signore oscuro era confuso, per la prima volta in vita sua non sapeva cosa dire o fare. Cercava di metabolizzare i ricordi, farli di nuovo suoi. Condusse Cara alla scrivania e la fece sedere, cercando di calmarla. Rimasero così per un po', lei curva su se stessa, le braccia che abbracciavano le gambe strette al petto, lui di fronte si guardava le mani, tra le quali si rigirava la scatola che fino a poco fa aveva protetto la boccetta ora in frantumi sul pavimento. Ogni tanto si sentivano i passi di qualche mangiamorte provenire da fuori, altre volte il respiro rotto della ragazza, quando non riusciva a trattenere un singhiozzo. Quando si fu calmata completamente, Voldemort parlò. "Cosa è successo?" Cara sollevò lo sguardo per incrociare il suo, ma lo trovò ancora con la testa china nei suoi pensieri "cosa intendi?" ancora non la guardava "il figlio dei Malfoy ha detto di averti incontrata a Hogwarts, ma non è possibile" alzò gli occhi "se fossi rimasta nel mondo magico ti avrei trovata già un anno fa" ora fu lei a distogliere lo sguardo "e soprattutto" riprese il signore oscuro "i ricordi risalgono a un anno fa, mentre tu ora ne hai..." "quindici" rispose prontamente "compiuti da poco". Qualche minuto di silenzio, poi l'uomo appoggiò la schiena sullo schienale della sedia "non ha senso". "Non è andata proprio come ho raccontato a Draco" cominciò piano Cara, e fu allora che decise di dirgli tutto.

Febbraio 1997

La notte era gelida, le case tremavano al vento e la luna splendeva nel cielo. Le strade di Godric's Hollow erano deserte già da tempo ormai, il cimitero pieno di neve. Quando una ragazza comparse dal nulla. Come se si fosse smaterializzata, prima non c'era e un attimo dopo era lì, in piedi, avvolta in un mantello. Si guardò attorno con occhi assonnati, non sapeva dove andare, cosa fare. Scorse delle case. Basse, dal testo a spiovente. Carine, pensò, non ne aveva mai viste di simili. Sotto i piedi scalzi sentì muoversi qualcosa, agitarsi nel vento: erba, ormai bagnata dalla rugiada, soffice e verde. Non aveva mai visto nemmeno quella. Si accorse in realtà che tutto in quel posto le era nuovo. Allungò le braccia davanti a sé, risalì con lo sguardo fino alle spalle, poi ispezionò il corpo nudo da sotto il mantello. Quella era lei? Aprì e chiuse le dita, fece qualche passo, mosse gli occhi. Azione meccaniche che aveva imparato, forse, ma non sapeva quando. Avvertì una pressione sulla pelle: freddo. Aveva freddo. Decise di incamminarsi alla ricerca di un posto sicuro dove riposarsi. Era stanca, ma nemmeno lei sapeva il perché. La neve si posava lentamente sul suo mantello, e come una bambina che la vede per la prima volta provò ad assaggiarla. Insapore, pensò. Era la prima volta che la vedeva. Raggiunse il cimitero, e vicino a un accumulo di tombe trovò un grosso albero dalle grandi radici. La chioma l'avrebbe protetta da quella strana sostanza bianca, e magari anche dal freddo. Si distese all'ombra di una di quelle radici e portò le gambe al petto, in posizione fetale. Continuava a tremare, ma era troppo stanca per pensarci. Avrebbe trovato una soluzione l'indomani. Come appoggiò la testa sull'erba bagnata gli occhi le si chiusero, i rumori sparirono. Si addormentò nella notte buia. Restò lì per una settimana, circa. Non smise mai di nevicare, e la gente con esce con un tempo del genere, quindi nessuno la vide o le fece domande. Anche perché non avrebbe saputo rispondere. Intanto scoprì altre cose del mondo: le pietre, il sole, la luna che la prima sera non aveva visto bene. Scoprì di saper fare molte cose col suo corpo, prime fra tutte camminare, correre, anche arrampicarsi. Quando aveva fame si arrampicava sul grosso albero: era un ulivo. Coglieva due o tre olive e se le metteva in bocca, tornando poi a dormire. Faceva solo questo, dormire e mangiare. In effetti, non credeva si potesse fare altro. Il settimo giorno smise di nevicare e il cielo tornò azzurro. Le persone si riversarono per le stradine del borgo e lei dovette trovare un'altra sistemazione. Magari un vecchio ponte avrebbe fatto al caso suo. Si strinse nel suo mantello e si alzò, dispiaciuta di dover lasciare il vecchio ulivo. Per strada conobbe aspetti del mondo che non sapeva esistere. Signore anziane camminavano insieme, discutendo di un qualcosa che lei però non riuscì a sentire. Coppie innamorate che si tenevano per mano. Bambini che giocavano a palle di neve, guardati dai genitori poco lontani, seduti su qualche panchina. Oggetti definiti magici di ogni tipo, persone con bacchette. Non sapeva come facesse a sapere il loro nome, ma a quanto pare era quello il termine che il suo cervello aveva associato ai lunghi pezzi di legno sottile che tutti in quel villaggio si portavano dietro. Chissà se anche lei avrebbe potuto averne uno. Distratta da questi pensieri andò a sbattere contro una donna "mi scusi" sussurrò, prima che lei la fermasse. Aveva all'incirca una quarantina d'anni, i capelli ricci legati frettolosamente le ricadevano a ciocche sparse sulle spalle, indossava un vestito piuttosto leggero per la stagione con sopra una pelliccia di un marrone intenso. "Ti sei fatta male?" le chiese sorridendo "no, tutto bene grazie" Cara accennò un sorriso mentre si stringeva ancora di più nel mantello. La donna la esaminò un attimo con lo sguardo "mi ricordi qualcuno, sai?" rise infine "ma non hai freddo? Quella stoffa è molto leggera" "no, sto bene" cercò di andar via, ma l'estranea si era già accorta che qualcosa non andava "dove sono i tuoi vestiti cara? Non mi dirai che hai solo quel mantello" la ragazza si guardò le mani, cercando di cessare i tremori, mentre la donna la guardava con sguardo sempre più interrogativo "come ti chiami, figliola? Sai dirmelo?" Silenzio. "Hai un'amnesia?" le chiese cauta, e notando lo sguardo confuso per risposta aggiunse "non ti ricordi chi sei?" Cara annuì lievemente. La donna la prese sottobraccio e lei si fece portare, le andava bene qualsiasi posto caldo. Mentre camminavano sotto il cielo azzurro lei parlò di nuovo "io comunque sono Andromeda, piacere di conoscerti."

Remember me // BellamortWhere stories live. Discover now