Prologo

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«Mi dispiace, ma non c'è più niente da fare» queste sono le ultime parole che escono dalla bocca del medico, mi sembra che il tempo si sia fermato; dalle mie orecchie non passa più un suono, mi alzo dalla sedia e me ne vado sotto gli occhi dei miei genitori e capiscono di non seguirmi perché se no inizio ad urlare cose orribili in faccia e questo non voglio farlo. Apro la porta dello studio e l'aria fredda mi pervade u tutto il corpo e inizio a camminare per non so dove, la mia mente inizia a girovagare nei miei ricordi e le lacrime bagnano le guance e non m'importa se qualcuno mi vede in questo stato, ma nessuno capisce che la mia vita ormai non ha più senso, sto perdendo una persona veramente cara e mi sento impotente per fare qualsiasi cosa per far si che ritorni da me.
Continuo a passeggiar per le strade di Londra e mi rendo conto che sono vicina London Bridge e mi siedo su una panchina e fisso il vuoto. Ogni tanto il mio respiro alterna dal normale ad essere accelerato.
Non ho dovuto fare quella scelta sbagliata, lui sarebbe qui vicino a me in questo momento e tutto sarebbe perfetto. Sento la mancanza di Elliot, ma da quel maledetto 14 marzo lui è rimasto in coma per colpa di un incidente e dovuto farlo provocare perché quella sera io sono uscita di casa di corsa dopo aver avuto la solita litigata con i miei, Elliot era dalla mia parte, ma quella sera no. Ero sola. Non accettavano la mia partenza per una nuova vita; io ho urlato qualsiasi cosa e corsa fuori di casa, mio fratello è corso dietro di me, stavo attraversando la strada e non mi ero resa conto che una macchina a tutta velocità veniva verso di me, mio fratello mi ha spinto via ed è stato investito. Da allora non risponde più. Il medico ha detto che c'era l'un percento di probabilità del suo risveglio, ma purtroppo oggi abbiamo scoperto che non vivrà più, perché clinicamente è morto. Dobbiamo decidere adesso cosa dobbiamo fare, ma io non voglio lasciarlo andare via da me. Una scelta troppo difficile da scegliere. I miei singhiozzi diventano troppo forti e noto un ragazzo vicino a me, mi fissa senza proferire parola. La sua mano si trova vicino alla mia e il mio sguardo rimane sulle mani più grosse delle mie. «Non sono fatti miei, cosa succede?» lo sento parlare, ma io non voglio parlare di questo con un estraneo. «Cose personali» rispondo freddamente mentre rimango con lo sguardo fisso sulle sue mani. Lo sento sospirare e noto la sua mano allontanarsi come anche io mi alzo senza aggiungere un'altra parola e mi allontano sempre dipiù da quel ragazzo dalle mani grosse. Non l'ho visto bene in faccia perché l'unica cosa che ho visto era la sua mano.

Sono le sette di sera e sono ancora in giro a passeggiare, non me la sento di entrare in quella casa, senza di lui non è più casa. Solo con lui potevo dire eravamo una famiglia, ma senza la mia roccia e parte più fondamentale di me non c'è più non ho una famiglia, i miei genitori sono i classici menefreghisti e non li hanno mai importato di me. Loro amavano solo Elliot perché era la loro soddisfazione mentre io ero la disgrazia della famiglia. Il primo genito, il più viziato mentre io non ero niente. Mia madre non mi ha mai amata, lei soffre ancora di stress post partum. Lei ha sempre cercato di evitare tutto con me, mio padre non ha mai avuto nessun rapporto con me; infatti, ho scoperto tutto questo grazie al suo migliore amico di mio fratello. I miei genitori prenderanno quella orribile decisione senza consultare la mia opinione, loro non hanno mai ascoltato le mie opinioni, mi sono sempre dovuta arrangiare e non ho mai ricevuto nessun aiuto da loro. Grazie ai miei nonni sono andata a scuola, se fosse stato per i miei genitori sarebbe esistito solo Elliot, tutto a lei, niente a me.
Il rapporto con mio fratello era speciale, perché dopotutto, lui mi è sempre stato vicino: lui ha fatto da padre, da madre con me e non ho mai potuto odiarlo perché ha fatto di tutto per trattarmi come si deve e lui che mi ha insegnato l'amore e il voler bene, ma adesso che non c'è più io non ho più nessuno con cui sfogare la mia rabbia, non ho nessuno con cui parare delle mie insicurezze.

«Sono a casa» nessuna risposta ricevo e sento parlare dalla cucina e li vedo seduti al tavolo mentre si parlano di Elliot, non si sono nemmeno resi conto del mio rientro a casa, sono dalla porta della cucina in bella vista e fanno proprio finta di niente.
«Frank dobbiamo farlo» parla mia mamma mentre stringe la mano di mio padre e ogni tanto asciuga le lacrime che le cadono sulle guance, mio padre tiene lo sguardo basso e non parla. «Papà ha ragione la mamma» dico con una voce bassa. Mio padre alla mia frase alza lo sguardo e incrocia il mio «Skylar, non devi proprio parlare. Tutto questo è colpa tua! Se non ci fossi stata Elliot sarebbe stato ancora qui vivo e vegeto. Sei tu la causa della sua morte!» ecco le maledette parole uscite dalla sua bocca come ame affilate che sono conficcate dentro il mio cuore e nell'anima. Mio padre si alza e si avvicina al mio corpo, non ho mai avuto nessun tipo di contatto e questa cosa mi spaventa, ma rimango immobile come se il mio corpo dicesse di non muoversi. La guancia mi brucia per colpa dello schiaffo ricevuto da mio padre. Lo guardo impaurita, le parole mi hanno distrutta rispetto allo schiaffo ricevuto in questo esatto momento. «La tua valigia è pronta» dice freddamente mia madre mentre allontana mio padre da me. Sgrano gli occhi perché non pensavo che mi sbattessero fuori di casa. «Ma state scherzando?» mio padre fa no con la testa senza nemmeno guardarmi lo stesso mia madre. «Non sei e non sarai mai nostra figlia, noi abbiamo solo avuto Elliot»

Him - Lando NorrisWhere stories live. Discover now