28 - Settembre

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La brezza mi fece leggermente solletico al piede destro, quanto basta per farmi aprire delicatamente gli occhi.

Era già mattina, qualche uccello di cui non avrei mai riconosciuto la specie stava cinguettando fuori dalla finestra mentre il sole entrava da essa illuminando la sua pelle ambrata. Stava ancora dormendo, i capelli scompigliati, a cucchiaio come piaceva a lui con un braccio sotto il cuscino per rialzarlo e un altro che mi cingeva.

Sorrisi vedendolo così innocente, quasi spensierato e rimasi lì fermo, per godermi quell'istante e immortalarlo per sempre.

Per apprezzare quel momento, che era diventato ormai quotidiano, un'ultima volta.

Le ultime settimane passarono così rapidamente da non potermi neanche rendere conto di quanto fossi stato bene, di quanto avessi amato e di quanto con difficoltà in futuro avrei avuto tutto ciò che stavo avendo lì, in quel momento.

Era il 6 settembre. La sera sarei ripartito con i miei genitori per la città, Manuel sarebbe partito il giorno successivo per la sua.

Passarono più minuti prima che, delicatamente, decisi di soffiare sul suo viso per svegliarlo. Dovetti riprovare una seconda volta prima di intravedere un movimento.

«Buongiorno» disse mugugnando, aprendo leggermente gli occhi.

«Hey» risposi, venendo trascinato dal suo braccio più vicino.

«Dovremmo alzarci, no?»

«Oggi non ci alziamo, oggi tu resti qui con me» disse spingendomi ulteriormente vicino a lui tanto da sentire il calore del suo corpo.

Risi.

«Questa sera, al tramonto, voglio tornare dove mi avevi portato quella sera.» dissi.

«Al mio posto?»

«Direi che ora è anche mio di diritto»

«E perché mai?» sorrise.

«Mi ci hi riportato troppe volte per non essere anche il mio posto. Abbiamo fatto anche l'amore là» dissi, fingendo un broncio.

«Va bene, va bene. Hai ragione»

«Ti ci porterò.» Aggiunse.

«Al nostro posto?»

«Al nostro posto» disse spostando leggermente il capo per darmi un bacio.

Mio padre e mia madre erano sempre stati poco presenti quell'estate per il lavoro, ma decisi comunque di parlargli della relazione con Manuel, cosa che non li spiazzò minimamente.

Al contrario mia madre mi disse di ritenersi felice in quanto aveva notato dal primo giorno quanto fossi perso guardandolo.

«Per questo gli chiedevi sempre di uscire con me o lo invitavi a casa i primi tempi?» chiesi stupito.

«Mi sembra ovvio» aggiunse lei ridendo.

Mio padre non fu di molte parole, sapevo sarebbe stato più difficile per lui, ma vedevo quanto si sforzasse di capire e accettare la cosa.

«Sai che dopo diventerà difficile...una volta tornati in città?» mi chiese una sera.

«Lo so»

«Manuel è un ragazzo serio, io penso che sia la persona giusta» disse sorridendo.

Notavo il suo sforzo, e l'onestà con la quale mi stava parlando, mi ritenni fortunato.

La sera tornammo sopra le colline, al tramonto.

«La prima volta che ti ho portato qua è stato il momento in cui ho capito»

«Io penso di averlo saputo dal primo momento che ti ho visto uscire dal camioncino di Nazzareno» dissi spintonandolo.

«Il modo in cui mi fissavi ogni volta che entravo in casa tua, avrei dovuto capirlo prima. Mi mettevi così tanto in soggezione» disse.

«Io!? E tu con quelle tue risposte a monosillabi»

Scoppiammo a ridere.

Guardai le colline, il bosco, il paese più lontano e a valle la casa, la villetta di Nazzareno. Sopra di noi il cielo era giallo, rosso, arancio e colorava intensamente tutto il panorama.

«Mi sono innamorato di questo posto» Ammisi.

«Anche io» disse lui dietro di me, avvicinandosi per cingermi con le braccia la vita.

Gli agrumi, il mare, la freschezza di un'estate meravigliosa che stava per terminare.

«Mi regalerai il tuo profumo quando dovrò andare?»

«Va bene» sussurrò lasciandomi un bacio sulla guancia.

Ero al sicuro, nel mio posto sicuro.

Sopra di me il cielo bruciava, sotto di esso i nostri corpi bruciavano di passione, speranza, amore.

Lo facemmo lì l'ultima volta; nel nostro posto.

Tornato a casa la macchina era pronta, i miei genitori al suo interno e ad aspettarmi c'era Marta.

«Non vorrai lasciare questo posto senza salutarmi?»

«Certo che no» dissi trattenendo qualche singhiozzo.

«Sono contenta per voi due» disse indicando Manuel qualche passo dietro di me.

«Mi mancherai» dissi sorridendo.

«Anche tu»

Ci abbracciammo lasciandoci andare a qualche singhiozzo strozzato per evitare drammi, così avevamo detto.

«Dai, cosa credi di esserti sbarazzato di me? Verrò a trovarti in città stupidino» disse lei spingendomi leggermente.

«Sei la benvenuta, lo sai»

Mi girai, Manuel era sparito.

Per un istante la sensazione che fosse andato via, per sempre. Poi lo vidi.

Si stava avvicinando correndo, sorrideva.

«Tieni» disse quando arrivò a pochi passi da me, allungando la mano che teneva la boccetta del suo profumo.

«Grazie!»

«Allora è arrivato il momento»

«Sembra di sì» dissi stringendo i pugni per mantenere la calma.

«Questo non è un addio, lo sai vero?»

«Lo so»

Gli occhi divennero lucidi e pian piano la figura di Manuel divenne appannata.

Lo abbracciai forte, così forte da non riuscire quasi a respirare, forte da non capire più dove iniziavo io e finiva lui, forte da sentire il suo battito e il mio unirsi e diventare lo stesso.

«Dovrei andare» dissi senza rendermi conto che una lacrima stava scorrendo sul mio viso.

Provai a girarmi, poi lo guardai. Ci guardammo per l'ultima volta. I suoi occhi verdi, i miei azzurri, la sua pelle abbronzata, la mia pallida, i suoi capelli mori, i miei castani, il suo sguardo luminoso, il mio innamorato, i nostri sorrisi ricolmi di gioia e di paura.

«Vado» dissi sorridendo, questa volta convinto. Guardai prima Marta, più indietro, salutarmi lanciandomi un bacio, poi Manuel.

«Non ti dimenticare di tutto questo.»

«Mai»

Sorrisi, mi sorrise e partii.

Gli AmantiWhere stories live. Discover now