5 - Arroganza

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Mi bloccai per una frazione di secondo. Era davanti a me, dovevo mantenere la calma e mi ripetevo nella testa di comportarmi normalmente, come se non ci fosse, ma pensarlo non faceva altro che agitarmi.

Feci un respiro e mi avvinai col sorriso meno falso che potessi trovare.

«Piacere Manuel» Quello stesso tono di voce del giorno prima, grave, ma con una cadenza che smascherava la sua età.

Mi tese la mano, cosi la strinsi. Lui aveva una presa decisa e mi diede l'impressione che la sua mano avesse avvolto totalmente la mia, quasi a proteggerla. Cercai di mantenere il contatto il più possibile, sfruttando quegli attimi, ma sentii la sua presa diminuire di forza, il che mi fece intuire lui volesse riavere indietro la sua mano.

«Vi siete conosciuti già l'altra mattina, giusto?» Si intromise Nazzareno.

Annuii cercando di evitare di raccontare la vicenda.

«Noi dobbiamo parlare del progetto, perché tu Ludovico non fai fare un giro della casa a Manuel?» Propose mia madre, l'avrei voluta strozzare in quel momento, ma evitai ogni possibile accenno di odio, lo avrebbero notato tutti.

Annuii e girandomi verso di lui gli feci cenno di seguirmi, cercando di dimostrarmi il più calmo possibile.

Gli feci fare il giro della cucina, della sala da pranzo e del salone, mi limitavo a descrivere le stanze senza guardarlo, troppa era la vergogna, e continuavo indicando la stanza successiva. Non sapevo cosa dire e lui si limitava ad annuire.

Salimmo le scale per raggiungere il piano di sopra.

«E questo è il corridoio che porta alle stanze...» Aggiunsi io mentre stavo per indicare la prossima stanza.

Mi bloccò improvvisamente una sua smorfia.

«Mh, ci sono stato l'altro giorno. Tu eri con la maglia del pigiama e sotto in mutande, ricordi?» Disse col suo tono quasi intimidatorio, come a farmi capire che era stufo della mia pseudo guida turistica (non c'era bisogno di spiegargli che quello che stava guardando era un corridoio).

Capii di essere stato stupido a descrivere tutto a macchinetta, ma rimasi estremamente sorpreso che lui si fosse ricordato del nostro incontro e di come ero vestito. Magari ci teneva un po'.

«Se vuoi posso andare avanti io...» Aggiunse lui.

«Questa è la tua camera, in cui ti stavi nascondendo mentre impugnavi la mazza da baseball pronto a picchiarmi probabilmente...» Aveva quel tono quasi arrogante nella voce, che però mi faceva impazzire.

Ripensai un attimo a ciò che aveva appena detto.

«Ma come fai a saperlo scusa?»

«Ti ho sentito prenderla e poi ti ho chiaramente visto buttarla al lato del letto che si vede dal corridoio, ottima tattica comunque»

Ero sempre più imbarazzato e un po' infastidito.

«Vorrà dire che la prossima volta non la butterò a lato, ma te la tirerò in testa» Dissi senza pensarci, vedendo forse per la prima volta un accenno di sorriso sul suo viso.

«Non riusciresti a mettermi al tappeto neanche con tutta la fortuna del mondo»

Sembrava un po' egocentrico, ma in realtà non aveva affatto torto. Nonostante fosse leggermente più alto di me, era molto più grosso.

«Sei molto sicuro di te, eh?» Aggiunsi e per un attimo sembrò quasi stesse al gioco, col suo sorrisetto che non lo aveva più abbandonato da prima, ma proprio in quel momento Nazzareno lo chiamò. Dovevano tornare a casa.

Improvvisamente il suo sorriso scomparve e prese il suo posto quel suo sguardo accigliato, di indifferenza.

«Devo andare. Ci si vede.» Aggiunse girandosi, senza fare caso a quello che stavo per dire.. Non aspettò neanche un mio saluto, svoltò per poi scendere subito le scale.

Non lo seguii, non sarei stato il cagnolino di nessuno. Alla fin fine non lo conoscevo nemmeno, non era importante per me che ci fosse o meno.

Decisi di andarmene in camera, non guardai dalla finestra lui e Nazzareno andarsene verso casa, non mi interessava.

Domani mi sveglierò senza ricordarmi nemmeno il suo nome.

Lo pensai e, giusto per un attimo, lo volli veramente.

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