1. Incubi

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Borgo La Torre, Sicilia.

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Corro. 
I rami degli alberi mi graffiano la pelle, tirano i capelli, strappano parti del mio abito. 

Corro. 
L'aria appare sempre più rarefatta, il respiro rapido, ansimante, l'ossigeno in circolo nel sangue fa fatica ad arrivare al cervello. 

Scappo. 
Li sento urlare, intimano la mia resa, reclamano la mia morte. Non sono lontani, li avverto come spiriti inquieti, ma questi fanno più paura dei fantasmi: sono vivi. 

Scappo. 
Sento la loro corsa, i passi pesanti e numerosi. Sono vicini. 

La flebile luce della luna riesce a guidarmi in questo bosco oscuro, spesso inciampo per colpa delle radici degli alberi che sono sollevate dal terreno, ma fortunatamente riesco a mantenere un precario equilibrio. Qualcosa mi sfiora, non è la solita fronda... qualcuno prova ad afferrarmi.

Cado. 
Il viso si scontra con la terra fangosa. Urlo per il dolore procurato da un ramo che si è conficcato nella spalla destra; si è insidiato sotto la pelle, brucia viscido ogni centimetro dei miei muscoli. Non riesco a muovere il braccio, ma non posso arrendermi così, non voglio morire così. 

Paura. 
Mi afferra per il polpaccio, mi tira verso di sé mentre il terriccio mi graffia la pelle delle gambe e delle braccia. Sento la sua mano pesante e calda pressare con forza la gamba, l'altra mano mi afferra per la spalla dolorante e continuo ad urlare.

Panico.
Non sopravviverò. 

Terrore.
Puro, gela il sangue, fredda i muscoli ma fa pompare il cuore ad una velocità inumana, si perde la ragione. 

Dolore.
Strappa via il ramo conficcato nella spalla e già sono stanca di urlare... cosa mi attende ancora? La gola brucia, la voce è strozzata. Non voglio morire, non ora. 

Ancora dolore.
Questo però è subdolo, diverso, pericoloso e inquietante. È insito nell'animo; dal petto si dirama alla bocca dello stomaco, serra le viscere e si annida insidioso nei miei organi facendomi tremare. 

Accelera, decelera, va ad un ritmo convulso e disperato: il cuore. Il muscolo che dà la vita risente dell'aggressione, del timore di non riuscire a resistere. 

Mi afferra i capelli, urlo. Tira forte. Urlo ancora. 

Nessuno mi sente in mezzo al nulla. Mi gira ed eccolo, siamo faccia a faccia e ride. Sorriso diabolico.

«Siete pronta a morire, madamoiselle?»

Non rispondo, non posso farlo, continuo a urlare e scalciare. Non voglio morire. Il suo sorriso si sfoca, lo vedo deformato, e calde lacrime affiorano. 

Alza un pugnale. 

Il cervello risponde in automatico, chiudo gli occhi immaginando, come fosse una visione, ciò che avverrà. 

Dolore. 

Il motore che dà la vita si spegne. 

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Come ogni notte mi svegliai di soprassalto, con il cuore che sembrava aver ricevuto davvero una pugnalata, ma piuttosto che starsene fermo scalpitava, quasi volesse fuggire dal petto come in un film d'animazione. 

Ero sudata e in preda al panico. Mi succedeva sempre e ogni volta mi ripetevo che dovevo restare calma perché erano solo incubi, ma era sempre la stessa storia: angoscia, paura e terrore. 

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