V.

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Jaden

Era appena l'alba e come sempre, dopo una nottata tormentata, mi stavo preparando per uscire a correre. Quel giorno avevo deciso di cambiare la solita strada che percorrevo ogni mattina e girando alla destra della chiesa, invece che alla sua sinistra, avevo raggiunto un parchetto che costeggiava l'ala est del college. Era ovviamente deserto, se non per la presenza di un uomo dalla tuta arancione che stava svuotando i bidoncini colmi posti a lato della stradina principale. Feci l'intero giro del parco e quando incominciai a sentire il fiato farsi corto e la resistenza diminuire, decisi di riprendere la via di casa. Mentre mi dirigevo con una corsetta leggera verso l'uscita di quel piccolo spazio verde notai una figura minuta che, seduta su una panchina, armeggiava con un mucchio di fogli illuminati solo dalla luce della torcia che teneva stretta tra i denti. I lampioni emanavano solo un soffuso bagliore di un giallo caldo che riusciva per poco a rendere visibile i contorni dei sentieri e che non sarebbe mai stato sufficiente per leggere quella che a tutti gli effetti sembrava essere una ricerca. Forse un compito scolastico pensai.
L'orologio che portavo al polso segnava le 6:30, un orario davvero strano per uscire a studiare, soprattutto nelle basse temperature di quella mattina di settembre.
Quando mi incamminai per avvicinarmi, il rumore dei miei passi sulle foglie secche fece girare il suo viso di scatto, mentre la torcia cadeva a terra. Aveva gli occhi spalancati dalla paura, ma nonostante l'espressione spaventata riusciva ad essere incredibilmente dolce, come sempre.

«Cosa ci fai qui?» Mi chiese la ragazza dai capelli rossi, che avvolta in una sciarpa a scacchi tremava, probabilmente infreddolita. La domanda mi sorprese, non ero io a starmene seduto con una torcia in bocca a fissare un mucchio di scartoffie in mezzo ad un parco buio. Mi indicai con le mani i vestiti sportivi, come se la risposta fosse ovvia e dalle sue labbra scappò silenzioso un "Oh" imbarazzato. Mi avvicinai ancora di qualche passo fino a raggiungere la panchina e quando mi sedetti, lei raccolse con fretta i fogli riponendoli in una cartellina senza che io potessi fare in tempo a dare una sbirciata. Evidentemente contenevano qualcosa di ben più importante di una ricerca scolastica e la curiosità mi assalì rapida.

«Non dovresti stare qui da sola a quest'ora» Forse ero stato fin troppo protettivo non conoscendola neanche, ma era ancora buio e trovavo parchi come quello perfetti per diventare i protagonisti di quelle orrende storie che si sentivano continuamente al telegiornale.

«Non sono sola» La sua risposta mi apparì bizzarra mentre mi indicava con le mani. Certo, c'ero io con lei, ma non fino a quel momento.

«Sono Hope» Continuò poi notando probabilmente la mia non risposta.

Speranza. Una strana sensazione mi attraversò il corpo mentre la mia mente non poteva fare a meno di pensare a quanto quel nome si incastrasse perfettamente alla sua figura.

«Jaden» Le risposi guardandola negli occhi. Notai che sentendo il mio nome la sua espressione non cambiò e questo poteva voler dire solo due cose: o non mi conosceva affatto, cosa molto strana visto che da un anno e mezzo ero sulla bocca di tutti, oppure molto più probabilmente qualcuno le aveva già raccontato la mia storia. Era come se tutto le fosse già chiaro e limpido, ma nonostante ciò, nessuna traccia di compassione trapelava dal suo sguardo. Solitamente gli occhi di chi riusciva ad incontrare il mio sguardo erano diversi dai suoi. Chiunque conoscesse la mia storia aveva pensato che fosse necessario, forse come forma di condoglianze, passarmi tutto quel finto dispiacere che si andava solo ad accumulare in un peso sempre più pressante che schiacciava il mio cuore. Lei invece aveva uno sguardo diverso, pur non avendo nessun legame con me, sembrava come se potesse realmente capirmi.

La poca luce che illuminava i nostri volti rendeva i suoi occhi più scuri, ma se possibile ancora più verdi e come due calamite attraevano con forza i miei. Trovavo i suoi lineamenti così familiari che ero sicuro con tutto me stesso di averla già incontrata prima, come se avesse fatto parte della mia vita in passato, ma non riuscivo a ricordare nulla che potesse collegarmi a lei. Sentivo però, di non aver bisogno di allontanarla.
Quando si alzò, probabilmente per tornare a casa, seguii i suoi movimenti mentre si infilava sotto al braccio la cartellina lilla.

«Ti accompagno» Quelle parole mi sfuggirono di bocca senza poter essere trattenute.
Hope socchiuse le labbra rosee con sorpresa, ma il luccichio nei suoi occhi rese chiara la felicità di non doversene tornare da sola. Camminammo l'uno accanto all'altra in un silenzio d'imbarazzo fino a giungere di fronte alla porta della sua stanza nel dormitorio del college. Quando, dopo aver girato la chiave una volta, si aprì la visuale sull'interno della cameretta, mi sentii catapultare nel suo mondo. Le fotografie erano appese ovunque in composizioni pensate e ritraevano ripetutamente sempre gli stessi volti, sicuramente di persone a lei care, genitori e amici. In una piccola libreria accanto al letto aveva incastrato un mucchio di libri e i restanti si trovavano impilati in due alte colonne pericolanti. Sulla scrivania accanto all'armadio era rimasta accesa un abat-jour beige che illuminava dei piccoli vasetti di terracotta contenenti piante grasse di vario tipo. Le lenzuola erano già state coperte da un piumone pesante sul quale erano appoggiati diversi cuscini dalle forme più svariate e su una sedia pieghevole giacevano ancora i vestiti del giorno precedente. Poteva sembrare uno spazio confuso e mal organizzato, ma tutto mi mostrava in modo cristallino una parte di lei e dopo aver visto quello spazio sentivo di conoscerla già meglio.

Hope mi lasciò osservare senza interrompermi, non sembrava a disagio. Poi andò ad appoggiare la cartellina dentro ad un cassetto che chiuse a chiave. I fogli che quella mattina leggeva con attenzione dovevano contenere qualcosa di veramente importante per lei e la curiosità mi assalì mentre aumentava in me la sicurezza di voler scoprire di cosa si trattasse.

«Grazie Jaden» La sentii sussurrare con voce fievole per non svegliare le ragazze delle stanze accanto. Aveva da poco tolto la grossa sciarpa nella quale era avvolta e si notava ancora di più la sua piccola corporatura. C'era qualcosa in lei e nel suo modo di essere che mi attraeva tanto da voler scoprire di più su chi fosse, anche se non sapevo bene di cosa si trattasse dato che ogni mio sentimento si era spento insieme ad Allison. Forse il fatto che fosse nuova e quindi sola in un posto a lei sconosciuto, mi spingeva a volerla aiutare. Inoltre rimaneva un mistero la sua abilità nel riuscire a calmare i miei attacchi di panico.

La salutai con la mano mentre mi allontanavo sorridendo. Hope rimase sulla soglia della stanza finché non fui tanto lontano da non potermi più vedere e solo allora sentii il rumore della porta che si chiudeva. Un piacevole calore avvolse il mio cuore pensando ai suoi occhi puntati sulla mia schiena, mentre aspettava di non vedermi più prima di chiudere ogni visuale con la porta in legno marrone. Raggiunsi di corsa il mio appartamento per farmi una doccia prima dell'inizio delle lezioni, consapevole di quanto fossi in ritardo quella mattina.

Durante l'intera mattinata riuscii a scambiare solo qualche sguardo fugace con Hope, che sembrava essere sempre di fretta mentre correva da un'aula all'altra ad ogni cambio di lezione.

«Ei..» La salutai in un sussurro prendendole con una mano il braccio mentre si dirigeva a passo svelto verso l'uscita del college. Era ormai l'ora di pranzo e non capivo come mai fosse ancora così di fretta nonostante fossero finite tutte le lezioni.

«Scusa Jaden, sono in ritardo... mi aspettano in biblioteca» Subito mi tornò in mente il giorno precedente e mi ricordai del suo lavoro pomeridiano. Rimasi fermo mentre la vedevo allontanarsi velocemente da me e sorrisi per il mio comportamento analogo al suo, quando era rimasta a guardarmi appoggiata allo stipite della porta finché non ero sparito dalla sua visuale. Quando scossi la testa per eliminare i pensieri che mi stavano frullando nella mente, notai uno strano chiacchiericcio. Un ragazzo mi guardava di sottecchi mentre, appoggiato con le spalle all'armadietto dietro di lui, bisbigliava rumorosamente con i suoi amici e dall'altra parte del corridoio, una ragazza picchiettava sulla spalla dell'amica trattenendo a stento ciò che aveva da dirle mentre aspettava di ricevere tutta la sua attenzione.

Dalla morte di Allison avevo chiuso tutti i rapporti. Avevo tenuto lontani tutti i miei amici finché erano stati loro stessi a non trovare più il coraggio di avvicinarsi. Non avevo più sorriso alle ragazze che con occhi languidi mi guardavano ridacchiando in cerca di attenzioni e mi ero chiuso sempre più in me stesso, fino a sparire dalla vita di tutti.

Fu chiaro come il sole che quel bisbigliare fastidioso fosse scaturito dal mio comportamento con Hope. Probabilmente era stato strano vedermi rincorrerla, fermarla trattenendola per il braccio e salutarla come un'amica di vecchia data e più ci ragionavo, più sembrava assurdo anche a me. Qualcosa in me stava decisamente cambiando, anche se non volevo ammetterlo.

Con la scusa di sopprimere il vociferare quel pomeriggio non andai in biblioteca, ma nel profondo ero consapevole di averlo fatto più per me stesso che per il parlare altrui.

L'interesse che sentivo nascere lentamente mi spaventava e temendo che potesse rivelarsi qualcosa in più non potevo in nessun modo lasciarlo crescere assecondandolo.

SOLI INSIEME / even after death there's HopeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora