3. Il Fondo Del Mare

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Donghyuck lascia che Mark prenda tutto ciò che vuole da lui, perché tanto egli la moralità l'ha abbandonata da tempo e ora non ha più nulla di importante da perdere. E Mark prende.
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contiene: riferimenti all'autolesionismo.
























































Mark sì chinò su Lee Donghyuck che ancora non sapeva se a lui il sesso piacesse violento, rude, o se si volesse sentire apprezzato, appagato, pregato. Mark gli avrebbe dato entrambi. Mark gli avrebbe dato tutto.

Mark gli avrebbe dato tutto, tutto pur di poter finalmente sentire la pelle svestita e pura dell'altro contro la propria, martoriata dalle ferite del suo continuo desiderio di blackout, di risvegliarsi ancora disteso sul pavimento del bagno senza ricordare nemmeno chi fosse, senza la forza di alzarsi.

Mark sapeva di avere gli occhi iniettati di amaranto e di essersi morso il labbro tanto da averlo fatto sporcare di quel liquido rugginoso che tanto l'attirava e che ora gli ribolliva nelle arterie, dolente, acre. Sapeva di star sembrando impaziente, desioso, ardente di scontrarsi contro la pelle tersa, fine e innocente dell'altro.




Ma ogni sua aspettativa si fuse bruciante al contatto con la realtà quando alzata la maglia di Haechan vide solo dissolutezza e disperazione, imperfezioni, difetti e peccati ovunque.

Mark si fermò dal fare qualsiasi cosa per un attimo, e Donghyuck, probabilmente abituato alla situazione, gli portò la mano dal polso borchiato sulla nuca, spingendolo in giù per baciarlo. «È okay adesso,» disse sulle sue labbra nella penombra della sua stanza, mezza verità: stava cercando di uscirci, dall'autolesionismo, ma era una strada lastricata di pianti a calde lacrime, ricadute e difficoltà inumane.

E Mark poté solo fare cenno di sì con la testa, che aveva capito, perché non voleva appesantire l'aria carica di sudore e depravazione con ulteriori quesiti.

Anche lui dissimulava le sue ferite, il bruciore, il sangue con sorrisi a denti stretti, maschere e finzioni. E quando non gli riusciva gli capitavano quei blackout, quei blackout potenti per i quali si trovava il giorno dopo dall'altro capo della città con le nocche rotte, dei tagli sui polsi e il residuo della leggerezza dell'erba, della pesantezza dell'alcol. Faticava a rialzarsi, brancolante, e si diceva di non voler più finire in quello stato. Eppure tutto si ripeteva.




Haechan gli piaceva anche con la bruciatura tonda di un mozzicone di sigaretta accanto all'ombelico e le cicatrici disordinate che gli scendevano per l'interno degli avambracci, dove di solito non si vedevano, diradandosi sui polsi; gli piaceva anche con il trucco nero tutto sciolto sotto il calore della pelle di Mark e le palpebre che gli svolazzavano verso l'alto e il basso convulsivamente mentre Mark, ancora indeciso sul se andarci pesante o meno, lasciava baci aperti sul suo torace.

Gli piacevano le sue unghie nere che gli si incidevano sulle guance, sul collo, sulle spalle, lasciandogli piccoli solchi arrossati. Gli piacevano le sue labbra, morbide quanto inclementi e corrosive contro le sue, i suoi capelli appuntiti, il suo respiro, il suo tutto.

«Sei bellissimo,» fu il suo commento una volta trovata la forza di combattere la gravitazione che lo spingeva contro l'altro, e sentendo Haechan trattenere un lamento inarticolato, Mark capì quel ch'avrebbe dovuto fare.













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