Capitolo 26

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CAPITOLO VENTISEI

Cinque anni, cinque lunghi anni nella capitale, erano passati in un soffio, sembrava ieri che passeggiava per viale Trastevere alla ricerca della casa nella quale poi aveva trovato Imma ed il resto della compagnia napoletana, e quel pomeriggio era pronto a chiudere tutti i suoi sogni in una scatola e ricominciare da capo. C'era freddo e pioveva, la primavera sembrava ancora lontana anche se era Marzo inoltrato e Roma era livida ed inospitale, indifferente agli affanni della gente che si perdeva nella sua immensità; Lorenzo era nella trattoria in cui lavorava ormai da tempo, si preparava alla serata che di li a poco sarebbe iniziata, nonostante il brutto tempo la sala si sarebbe riempita inesorabilmente, di gente allegra e volgare, stranieri e locali che avrebbero fatto richieste assurde e continue, mettendo a dura prova la pazienza di Giobbe. C'era una calma apparente intorno a se, lui si fermò a guardare le persone passare davanti al locale vuoto, gli ombrelli, le pozzanghere e la pioggia che scendeva fitta. Come si era ridotto così? Come era finito a fare il cameriere in un ristorante? Era stato un giovane laureato in legge con la passione del teatro, ed era bravo, almeno così pensava, quando gli amici gli facevano i complimenti, addirittura a diciassette anni aveva scritto e diretto un musical che aveva messo in scena con i compagni della compagnia ed era piaciuto. E poi?

Non riusciva a capire quando la sua vita avesse preso la strada sbagliata, forse quando non aveva avuto il coraggio di dire al padre che non voleva fare l'avvocato ed era partito come un ladro alla volta di Roma inventandosi quella stupida scusa di fare il praticantato. Quanto era stato cretino, veramente credeva che il padre non avesse scoperto che in quello studio non ci aveva mai messo piede? Sarebbe stato questione di tempo ed i nodi sarebbero venuti al pettine. E così era stato, in cinque anni aveva parlato col padre una sola volta, quando, dopo sei mesi che si era stabilito a Trastevere, lo aveva chiamato per chiedergli aiuto a proposito di una cartella esattoriale che aveva ricevuto. Lorenzo aveva cercato di barcamenarsi per non far capire che di quella roba non ne capiva niente, ma il padre che conosceva fin troppo bene il figlio, mentre quello si arrampicava sugli specchi, gli chiese a bruciapelo se poteva fargli prendere un appuntamento con il titolare dello studio. Lui rimase interdetto, incerto se continuare inesorabilmente sulla linea della menzogna o confessare l'inconfessabile. Quel silenzio fu per il padre più di una risposta, fu una frustata, non ebbe il coraggio di chiedere più niente, ma chiuse la telefonata sentenziando asciutto: "Allora chiamami quando lo troverai". Per Lorenzo quella fu la fine, non ebbe più il coraggio di alzare il telefono, ogni tanto, quando la madre riusciva a comporre il suo numero, e lo pregava di tornare a Napoli per salutarli, lui chiedeva del padre, si informava della sua salute, ma non ebbe più il coraggio di parlargli direttamente. La vergogna era stata troppa. A quello si era aggiunta la enorme difficoltà di riuscire a fare il lavoro che voleva, eh sì, quel pomeriggio, con i piatti ed tovaglioli in mano gli ritornava una frase della madre quando ancora stava bene, gli attori sono tutti morti di fame, quanta ragione aveva avuto, e quanto gli bruciavano quelle parole ogni volta che gli tornavano in mente. Gli facevano ancora più male perché per rincorrere quel sogno aveva mentito a loro che lo aveva cresciuto ed amato. Si sentiva un fallito, uno schifoso, una nullità. Per fortuna si sarebbe ripreso di li a poco, appena i primi clienti fossero entrati nel locale, lui avrebbe rinchiuso dentro di se il suo gemello triste ed ombroso ed avrebbe fatto uscire il guitto allegro e loquace. Sospirò, pensando alla quantità di provini che aveva fatto, ai brani che aveva scritto, proposto ed in qualche caso messo in scena quando aveva trovato un impresario che gli aveva dato fiducia. Era riuscito anche a fare qualche serata al Teatro Argentina, dove il direttore lo aveva preso in simpatia, soprattutto dopo aver vissuto insieme la caduta delle torri gemelle e la rivelazione di Imma, quello aveva cercato di aiutarlo dandogli qualche piccolo spazio in cartellone e qualche suggerimento. Ma sarà stato il periodo difficile, la paura di un terrorismo che sembrava lontano ma che con l'attacco a New York era diventato vicino, le voci che Roma fosse piena di obiettivi sensibili, il teatro non si riempiva mai, anzi, i suoi spettacoli andavano quasi deserti, lui in fondo era uno sconosciuto, non faceva parte di una compagnia famosa, non aveva la forza economica di pubblicizzare il suo lavoro e nessuno, a parte il direttore faceva grande promozione, insomma inanellò un fiasco dopo l'altro. Piano piano aveva realizzato che fare l'attore per professione era molto diverso da farlo per passione o per hobby, quando ti devi mantenere quando devi fare pubblico, è un'altra cosa, si perde anche molto della poesia, del disinteresse nello scrivere e nel recitare. Cominciò a capire perché alcuni di quelli che lui reputava attori di spessore, alla fine si riducevano a fare spettacoli di cabaret, improbabili filmetti comici, cinepanettoni, o roba di scarso livello ma che riempivano le sale o i teatri. D'altra parte anche il grande Eduardo aveva dovuto cedere al cinema per pagarsi la ristrutturazione del Teatro San Ferdinando. I soldi sono sporchi, ma servono a tutti. Tra un provino, uno spettacolo, una carbonara e tante delusioni erano passati cinque anni, è incredibile come voli il tempo, e come una situazione che sembra provvisoria poi si cristallizzi e diventi definitiva. Così il suo lavoro nella trattoria, da part time, solo a pranzo tre giorni a settimana divenne full time, compreso il sabato e domenica. I viaggi a Cinecittà diminuivano, mentre aumentavano le mance, conosceva gente, ma non aveva amici, ogni tanto usciva con qualche ragazza, ma non si era mai innamorato di nessuna, d'altra parte non ne avrebbe avuto il tempo. Cominciò a vivere di notte, dopo la chiusura del ristorante, e dormire di giorno, non aveva perso la capacità di scrutare le persone e di indovinare i sentimenti delle donne, e così un po' per gioco, un po' per narcisismo, aveva sviluppato l'intuito di indovinare il piatto adatto alla persona che aveva di fronte, e se non c'era nel menù, lo faceva fare appositamente. Grazie a lui la trattoria divenne note per il cameriere che disegnava le scelte dei clienti, e la gente andava incuriosita per scoprire se la fama fosse vera, ironia della sorte lui stava diventando famoso, ma non come attore. Impercettibilmente i suoi sogni andavano allontanandosi e quello che era iniziato come un accomodamento diventava un lavoro, che alla fine non gli dispiaceva più di tanto, anche perché con la scusa del piatto su misura ogni tanto si avventurava in cucina per proporre ricette nuove. Finchè un evento drammatico, la perdita dello chef per un trauma, si era trasformata in una opportunità per lui. Non se l'era lasciata scappare. E mangiafuoco aveva decido di promuoverlo. Ma non a Roma.


Stelle GemelleWhere stories live. Discover now