Capitolo 20

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"Manuel? Non mi aspettavo di sentirti così presto. Va tutto bene?" Sulle ultime tre parole c'è una leggera nota di panico. Ha provato a celarla dietro semplice curiosità, ma non ci è riuscito. Si stupisce di quanto Newt lo conosca bene nonostante abbiamo passato poco tempo assieme.
"Veramente no...cioè ora si, però...sto in ospedale." Sente che il canadese trattiene il respiro dall'altro lato del cellulare e si affretta ad aggiungere.
"Nulla di grave. Sto bene. Sono qui per Totò."
"Cos'ha?" Manuel non può evitare di sorridere a quella domanda. Trova tenera la preoccupazione di Newt verso il suo più caro amico.
"Ha bevuto troppo. L'importante ora è che stia bene." Non crede sia necessario raccontare tutta la storia, gli basta sapere che adesso è tutto sotto controllo.
"Però ho chiamato per chiederti di spostare il nostro appuntamento a domenica prossima."
"Certo. Non devi neanche chiedere. Per quanto resterai li?"
"Non lo so appunto. Potrebbero lasciarlo andare subito dopo aver controllato i risultati o tenerlo un altro giorno."
"Ora che fai?"
"Nulla, aspetto. Devo chiamare il mio capo per dije che al turno delle dieci non posso andare. Sperando non s'arrabbi pe tutti i giorni che me so' preso ultimamente." Newt resta in silenzio per una ventina di secondi, elaborando un piano, prima di tornare a parlare.
"Forse non c'è bisogno. Ho un'idea. Ti chiamo quando esco dall'università, tra dieci minuti devo entrare." Manuel non crede di aver compreso cosa sia successo, però si fida del più piccolo. C'è qualcosa che gli farebbe affidare la propria vita e non capisce cosa sia. Ma scaccia quel pensiero, chiudendolo in un angolo della sua mente, lo tirerà fuori quando sarà il momento. Però ubbidisce e aspetta su quella sedia. Poco dopo il telefono squilla. È un numero sconosciuto a chiamare. Risponde comunque e riconosce quasi subito la voce, prima ancora che si presenti.
"Pronto?"
"Sono Gabriel, Newt mi ha detto cos'è successo. Come sta?" Non è passata neanche una giornata intera e Manuel si è già stufato di quella domanda. Sa che è inevitabile e che tutti la porranno comunque, ma perché le persone non capiscono quanto possa infastidire ripetere le stesse cose? Perciò dice, per la terza volta, che ora sta bene, ma che non lo lasceranno andare finché non finiscono tutti gli esami. Gabriel resta in silenzio per un attimo, come se stesse pensando bene alle parole da usare.
"Newt mi ha anche detto che dovresti essere al lavoro. Bhe, se proprio devi andare e non vuoi lasciare il tuo amico da solo, posso venire io li."
"Ma non te sta a preoccupa', troverò una soluzione."
"Davvero, per me non è un problema. Ho finito tutti i dipinti per la mostra e non ho nessun impegno." Manuel guarda il letto vuoto che fino a dieci minuti prima era stato occupato da Totò. Poi si concentra sull'orologio che porta al polso: non manca molto alle nove e sicuramente farebbe in tempo. Pensa alla serata che hanno passato insieme tutti e quattro, alle parole di Newt (posso dirti che non so se sia gay, ma so per certo che con un ragazzo ci starebbe)...e se...
"Grazie, grazie davvero. Però ti prego di chiama' subito se qualcosa non va."
"Certo."

E così riesce ad arrivare al Coming Out quasi in orario.
"Mi dispiace se ho fatto tardi...ma ho avuto un problema con un mio amico. Ora dovrebbe essere tutto risolto." Si giustifica con JB. Non ha voglia di raccontare di nuovo tutta la storia, gli basta sapere che ora è li pronto a svolgere il suo dovere di servire ai tavoli.
"D'accordo, ma in futuro ti prego di essere puntuale. Ora vai a lavorare." Si congeda velocemente il capo. Manuel indossa il suo solito grembiule (ha una macchia, mi toccherà lavarlo) e si dirige, blocchetto per le ordinazioni in mano, verso i suoi tavoli.
Non ci arriva. Viene intercettato da una mano, una ragazza, che lo trascina nel solito sgabuzzino. Sa chi ne è l'artefice ancora prima di sentire la voce di Veronica.
"Ma che stai a fa qua? Pensavo che saresti stato in ospedale con Sasà. L'hanno già fatto uscire?" E nonostante la scarsa illuminazione è evidente che gli occhi le brillano.
"No, quando so' andato via stava a fini' degli esami. L'ho lasciato co n'amico."
"L'hai lasciato solo!?" Veronica quasi lo urla. Il ragazzo è costretto a portarsi, in un gesto simbolico, le mani alle orecchie per attutire quella voce. Fa segno all'altra di abbassare il tono.
"Zitta, che già JB è arrabbiato per il ritardo. Se me becca a non fa' gnente so cazzi. Ma poi, si può sapere che te pija?" Nota che la ragazza è nervosa. Si torce le mani e improvvisamente scoppia a piangere.
"È che...sento che...come se fosse colpa mia. Insomma...siamo state io e Claudia...a lasciarlo solo." Cerca di asciugarsi gli occhi per non mostrare le lacrime, ma quella tecnica non risulta essere molto efficace. Allora Manuel fa una cosa che non crede di aver mai fatto con lei. Si sporge in avanti e la abbraccia. Sente i loro corpi uniti che sobbalzano a ritmo dei singulti di lei. Veronica ha sprofondato il viso nel grembiule dell'altro, così che il pianto risulti attutito dalla stoffa.
"Te sei forse dimenticata quello che m'hai detto pe telefono? Che è adulto e non c'ha mica bisogno della baby sitter."
"Lo so, lo so è solo che..."
"Ascoltami." Manuel le solleva gentilmente il mento, portando la voce al minimo. "Mo non ce pensa'. Lassa perde'. È acqua passata. Facciamo semplicemente che non capiti più. Va bene?" Veronica annuisce debolmente, asciugandosi con la manica gli ultimi rimasugli del pianto.
"Va bene. Ora torniamo al lavoro prima che qualcuno ce venga a cercare." E così esce dal piccolo sgabuzzino. Manuel aspetta un paio di minuti prima di seguirla e dirigersi verso i tavoli.

6.725 KmWhere stories live. Discover now